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La Seconda Commissione consiliare di Reggio Calabria, riunita questa mattina a Palazzo San Giorgio, ha compiuto un passo decisivo nel percorso verso l’istituzione della Consulta comunale per la Legalità. Un organismo che, sulla scia di altre consulte già attive, mira a dare alle associazioni cittadine un luogo stabile di confronto con le istituzioni, per rafforzare il protagonismo civico e rendere la lotta alla criminalità un impegno condiviso.
Al centro della seduta l’attesa audizione del procuratore aggiunto Stefano Musolino, chiamato a offrire la prospettiva della magistratura sul significato di uno strumento che intende andare oltre il piano repressivo, per incidere sulla dimensione culturale e sociale della legalità.
Già in apertura, la presidenza della Commissione ha sottolineato il valore della sua presenza, ringraziandolo per un contributo ritenuto «indispensabile a un percorso che deve essere collettivo, capace di unire istituzioni e società civile contro la ’ndrangheta».
Il magistrato ha messo da parte ogni formalismo, scegliendo di usare parole dirette e persino scomode. «Non entro nel merito tecnico della Consulta – ha chiarito – ma apprezzo l’idea di fondo. Quello che voglio dire è che se restiamo prigionieri di schemi vuoti, se il dibattito continua a viaggiare sugli stereotipi, allora parliamo di nulla. La ’ndrangheta sa già come muoversi dentro logiche ripetitive, conosce perfettamente lo schema. È a noi che manca il coraggio di affrontare i nodi veri».
Musolino ha insistito: «Noi conosciamo bene i problemi, li tocchiamo ogni giorno, eppure non entrano mai davvero nel cuore della discussione pubblica. Si continua a parlare di legalità come fosse uno slogan da esibire, ma non ci si interroga su come la città reagisce davvero alle scarcerazioni, a chi cerca di ricostruirsi una vita, alle famiglie che vivono il peso di un cognome. Se non affrontiamo questo, rischiamo di raccontarci la favola della legalità senza incidere minimamente sulla realtà».
Il tema del reinserimento
Il passaggio più forte riguarda il futuro di chi esce dal carcere o prova a distaccarsi da un contesto criminale. «Ci sono soggetti che tornano in città dopo anni di detenzione e nessuno si chiede cosa accadrà. È un errore enorme. Perché da lì dipendono molte dinamiche future. Se non esistono alternative credibili, se la società non offre opportunità, quelle persone rientreranno inevitabilmente nei vecchi circuiti».
Ancora più netto quando parla dei figli delle famiglie mafiose: «La sorte del figlio di un boss non è un fatto privato. È un fatto pubblico, riguarda questa comunità. Quel giovane rappresenta un pezzo di futuro di Reggio Calabria. Se l’unico schema che conosce è quello del padre, è un fallimento che pesa non solo sulla famiglia, ma sull’intera città».
Il magistrato ha raccontato episodi concreti: «Un tempo c’era chi girava con la motoretta chiedendo il pizzo in maniera plateale, quasi a voler marcare il territorio. Oggi questo non avviene più: nessuno si espone così, ma non significa che il fenomeno sia scomparso. Si è solo trasformato, è diventato più sottile, più difficile da riconoscere. E se non ci interroghiamo su come accompagnare i cambiamenti, rischiamo di restare fermi a una fotografia che non esiste più».
Una città che non può fare finta di niente
Musolino ha toccato anche la questione delle scarcerazioni recenti. «Quando un uomo di vertice della ’ndrangheta esce di prigione, la città fa finta di niente. Si abbassa lo sguardo. Ma è proprio lì che bisognerebbe avere il coraggio di dire: cosa succederà adesso? Come reagirà la comunità? Che ruolo giocheranno i suoi familiari? Se non lo facciamo noi, nessuno lo farà».
E ancora: «Un vecchio boss può tornare dopo vent’anni di carcere e riprendere a comandare. Ma come è possibile? Significa che nel frattempo non si è costruita nessuna alternativa, che la società non ha saputo riempire quel vuoto. È su questo che dovremmo riflettere: non solo sul reato, ma sul tessuto sociale che consente al reato di riprodursi identico dopo decenni».
Il procuratore ha allargato lo sguardo al sistema complessivo: «Arrestiamo, celebriamo processi, annunciamo sentenze, ma poi quelle persone prima o poi escono. I figli restano, le mogli restano, i parenti restano. E la domanda è: cosa facciamo noi? Continuiamo a fingere che non esistano? Perché finché restano nell’ombra, la città non saprà mai davvero come quelle dinamiche si muovono. La loro sorte è questione pubblica, che ci piaccia o no».
Il richiamo alla politica
L’invito alla politica è stato diretto e senza mediazioni. «Se pensiamo che la legalità si difende solo con i processi, sbagliamo. La risposta repressiva è necessaria, ma non è sufficiente. Se non costruiamo insieme un dibattito culturale autentico, che parli dei problemi concreti e non di formule astratte, finiremo sempre per inseguire la ’ndrangheta, mai per superarla».
Musolino ha aggiunto: «Non servono dichiarazioni di circostanza. Serve il coraggio di dire cose impopolari, di riconoscere che il destino dei figli dei boss è affare di tutti, che le scarcerazioni vanno affrontate come fatti che incidono sull’intera città, che i percorsi di legalità di chi prova a cambiare vita devono essere sostenuti, non ostacolati dalla burocrazia. Altrimenti avremo solo nuovi processi, nuove condanne e nuove generazioni pronte a prendere il posto di chi è stato arrestato».
E ancora: «La politica deve scegliere se limitarsi a seguire le logiche dell’emergenza o aprire un confronto vero. Un dibattito libero, che non abbia paura di chiamare le cose con il loro nome. Non si tratta di dire colpevole o innocente, ma di guardare al fenomeno sociale nella sua interezza».
Le altre voci in Commissione
Accanto al procuratore è intervenuto padre Sergio Sala del movimento “Reggio non tace”. Il sacerdote ha sottolineato l’importanza di una collaborazione concreta tra istituzioni e associazioni, richiamando il ruolo della scuola nel contrastare già in giovane età i fenomeni di prevaricazione e chiedendo sostegno per i piccoli imprenditori disponibili a offrire formazione a ragazzi provenienti da contesti difficili. Tra gli interventi, oltre a quelli dei consiglieri di maggioranza e di minoranza, anche quello del sindaco Giuseppe Falcomatà, che ha definito la Consulta «uno strumento prezioso per allargare il coinvolgimento dei cittadini e costruire una coscienza collettiva». Un passaggio che ha fatto da cornice, senza scalfire il peso di un’audizione segnata soprattutto dal realismo del procuratore.
Nei lavori della Commissione, già nelle scorse settimane, erano stati ascoltati il referente regionale di Libera Giuseppe Borrello, il vicesindaco Paolo Brunetti dopo l’intimidazione al cantiere dell’ex Cinema Orchidea, e la giornalista e vicedirettrice de ilReggino.it Elisa Barresi. Nelle prossime sedute toccherà ai rappresentanti delle associazioni datoriali, prima che la proposta arrivi in Consiglio comunale.