La doppia sfida calcistica fra Italia e Israele, valida per le qualificazioni ai Mondiali 2026, continua ad alimentare polemiche in tutto il Paese. Le critiche si concentrano soprattutto sull’assenza di prese di posizione da parte di FIFA, UEFA e FIGC, accusate di non aver adottato misure di condanna nei confronti di Israele né di averne sospeso la partecipazione alle competizioni internazionali.

Negli ultimi giorni un gruppo di cittadini di Corigliano-Rossano, città natale del commissario tecnico Gennaro Ivan Gattuso, ha lanciato una petizione per chiedere all’allenatore un gesto simbolico: non disputare la gara contro Israele in segno di solidarietà al popolo palestinese. L’iniziativa ha raccolto in poche ore centinaia di firme.

La risposta di Gattuso è arrivata in conferenza stampa, ma ha lasciato delusi molti concittadini. L’ex campione del mondo ha spiegato di considerarsi «un uomo di sport» e di essere «contrario a tutte le guerre», ribadendo però la necessità di giocare la partita. Una posizione che non ha convinto i promotori della mobilitazione, che attendevano un segnale diverso.

A Schiavonea, davanti all’abitazione del tecnico, è comparso uno striscione con cui i cittadini hanno voluto ribadire che lo sport non può essere disgiunto dalle vicende internazionali e che oggi più che mai serve una presa di posizione collettiva: «Rino, non si gioca con chi uccide bambini».

Secondo i promotori della petizione, dopo undici anni di assenza dai Mondiali, «per una volta gli italiani sarebbero orgogliosi di non vedere la Nazionale in campo», se questo significasse dare un segnale di coraggio e coscienza di fronte al conflitto in Medio Oriente.

La protesta calabrese si è rapidamente allargata al resto del Paese, trovando spazio anche sui social. Qui il dibattito si è acceso: c’è chi propone apertamente il boicottaggio della partita, chi accusa il calcio di piegarsi solo agli interessi economici, chi scrive «non in mio nome» per dissociarsi da una sfida giudicata inopportuna.

Altri ricordano i vincoli regolamentari: la FIGC non può sottrarsi a un impegno ufficiale senza rischiare sanzioni pesantissime, dalla sconfitta a tavolino all’esclusione dalle competizioni internazionali. Una polarizzazione che conferma come lo sport, in momenti delicati come questo, diventi terreno di confronto e di coscienza collettiva, ben oltre i novanta minuti.

E viene spontaneo pensare alle parole pronunciate pochi giorni fa a Reggio Calabria dal presidente FIFA Gianni Infantino, che aveva ricordato come «il calcio sia uno sport che unisce»: un auspicio che oggi, alla vigilia di Italia-Israele, sembra più difficile da realizzare che mai.