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Giovanna 10 anni, Antonietta, Giuseppa e Maria Stella 12 anni, Antonia 14 anni, Agata e Antonina 16 anni, Carmela 18 anni, Francesca 19 anni, Consolata 20 anni, Angela, Marianna 38 anni, vive ma segnate per sempre. Rosa 17 anni con il piccolo Gaetano non ancora nato, la modenese Maria con il suo piccolo mai nato, e Fortunata non sopravvissute.

Giovani, addirittura bambine, maltrattate e insultate, rapite e costrette con violenza ad avere rapporti sessuali o indotte a darsi da false promesse di matrimonio e dichiarazioni d’amore, poi diffamate e abbandonate. Violate dal padre tra le mura domestiche, ostacolate nella loro libera affettività. Avviate alla prostituzione da altre donne, morte suicide con il loro “figlio illegittimo”, salvate dalle madri oppure severamente giudicate dalle stesse e punite dai fratelli per aver disonorato la famiglia. Tutti oltraggi che non hanno mai avuto giustizia piena. A volte non ne hanno avuta alcuna.
Storie di giovani di umili origini, in cui lo stato di necessità ha condizionato la loro vita di figlie femmine, ma anche di qualche giovane benestante ingannata. Attestazione di un destino duro per le figlie e per le donne e ma anche preludio del fenomeno trasversale che oggi quello della violenza sulle donne è diventato. Storie di abusi in cui, anche la fragilità cognitiva, è stata bieco motivo di ulteriore discriminazione.
Un affresco a tinte fosche di un’epoca neanche poi così lontana è la mostra “I mille volti della violenza, storie senza tempo”, allestita dall’Archivio di Stato di Reggio Calabria nella galleria di palazzo San Giorgio fino a ieri e visitabile fino alla fine della settimana a palazzo Alvaro, è un viaggio storico e documentale, ma inevitabilmente anche emotivo, dentro il dolore senza tempo vissuto dalle donne. Attraverso i versamenti dei fondi del Tribunale penale e della Corte d’Assise di Reggio Calabria, dunque attraverso gli atti contenuti nei fascicoli processuali, come denunzie, verbali di interrogatorio, la mostra riflette la tragica condizione sociale e familiare della donne tra le seconda metà dell’Ottocento e la prima metà del Novecento a Reggio Calabria.

I documenti riprodotti sui pannelli delineano uno spaccato drammatico di una società maschilista e patriarcale che annienta la dignità della donna, riducendola ad essere inferiore, al mondo solo per soddisfare sordidi piaceri. Una patriarcato talmente radicato da permeare di sé anche l‘agire di altre donne verso altre donne, persino di madri verso le proprie figlie. La cronaca ancora oggi ci consegna storie di donne che hanno conosciuto e conoscono questa condizione di sofferenza, discriminazione, violenza e emarginazione, questa sopraffazione intollerabile e questo dolore senza fine.
I reati: dal ratto al femminicidio
Ratto a scopo di libidine, violenza carnale anche verso minorenne e con l’aggravante per incapacità di intendere e di volere della vittima, incesto, istigazione al suicidio, induzione alla prostituzione, intimidazioni, minacce di morte con aggravante dovuta a ritardo mentale della vittima, femminicidio all’epoca definito delitto d’onore. e ancora linguaggi discriminatori, diffamazione, violenza e maltrattamenti in famiglia, lesioni mortali a figlia e neonato, tentato omicidio, abuso di patria podestà, violenza fisica e psicologica continuata.
Pene risibili e facili assoluzioni

Questi i reati faticosamente denunciati dalle giovani e qualche volta dalle loro famiglia. Una quadro di enorme allarme sociale, allora anche percepito come normale come tollerabile al punto che per simili reati, inaudite violenze, violazioni della dignità, della libertà e dell’integrità delle donne, per Giuseppe, Antonio, Santo, Luisa, Maria, don Sebastiano, Arturo, Pietro, Antonino, Leone, Angelo, Letterio, le pene sono state risibili, quando comminate. Se non ostacolate, da false testimonianze e abusi di posizione culminate in assoluzioni, o compromesse da intervenute riduzioni, esse non hanno superato i cinque anni di reclusione arrivando anche ad essere ridotte fino a tre mesi, con ammende comprese tra 1000 e 100 lire.
La violenza del linguaggio
La mostra “I mille volti della violenza, storie senza tempo”, si inquadra nell’ambito delle iniziative istituzionali in occasione della giornata internazionale per l’eliminazione della Violenza sulle donne. È stata allestita su iniziativa della Consigliera di Parità della Città Metropolitana, Paola Carbone, in stretta sinergia con l’archivio di Stato e con il patrocinio del Comune e della Città Metropolitana.

Spiega la genesi dell’iniziativa, la consigliera di Parità della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Paola Carbone. «L’idea proposta dall‘Archivio di Stato è stata subito da noi sposata e condivisa. Il mirabile lavoro di ricerca sulle fonti primarie di processi intentati da giovanissime donne per abusi e violenza svolto dall’Archivio di Stato diretto da Angela Pulejo, dimostra come la violenza sia sempre esistita e come ancora aggressivo e fortemente discriminatorio sia il linguaggio che l’accompagna. Anche se il quadro legislativo è cambiato, e neanche tanto tempo fa se pensiamo che il delitto di onore è stato abolito solo nel 1981, il cammino è ancora lungo.
Occorre un impegno serio anche sull’aspetto drammaticamente attuale del linguaggio e dunque sull’aspetto culturale. Ancora oggi, spesso alle vittime di violenza nei processi viene chiesto come si era vestite. La mostra dunque è strumento di sensibilizzazione e riflessione quantomai attuale che speriamo di poter mantenere allestita a palazzo Alvaro. È intenzione del sindaco Giuseppe Falcomatà ospitarla anche oltre la fine di questa settimana». Così la consigliera di Parità della Città Metropolitana di Reggio Calabria, Paola Carbone.
Violenze invisibili che i documenti rivelano
Concorda sulla necessità di un intervento deciso di carattere culturale, la direttrice dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria, Angela Puleio.
«La mostra offre uno spaccato di anni di violenza che restavano invisibili. Frutto di retaggi storici molto forti, restavano silenti. Noi abbiamo cercato di dare voce ai documenti, per altro di natura tecnica perché prodotti dal Tribunale, attraverso la storia delle donne, vittime di quegli abusi e di quelle violenze. Abbiamo voluto conferire documenti, quali denunce, perizie psichiatriche e mediche, testimonianze e quanto fosse contenuto negli incartamenti processuali, una dimensione narrativa e dialogante.

Siamo convinti che la storia serva per ricordare e conoscere il passato allo scopo, però, di acquisire consapevolezza sul presente e sul futuro. I documenti che abbiamo selezionato raccontano anni di violenza in tutte le sue drammatiche sfumature. Non solo il culmine del femminicidio ma tutte quelle forme di violenza fisica e psicologica, spesso meno tangibile ma non meno opprimente, che ancora oggi si rischia di essere percepita come normale. Invece non lo è. Occorre una rivoluzione culturale decisa per spezzare questo ciclo che si ripete». Così la direttrice dell’Archivio di Stato di Reggio Calabria, Angela Puleio.
Atavica supremazia maschile e l’inferiorità della donna
Un fenomeno ancora grave e diffuso che deve alimentare in tutti una profonda riflessione. «Le giornate come quella odierna – sottolinea l’assessora comunale con delega alle Pari Opportunità, Anna Briante – sono occasioni per richiamare le coscienze su temi che devono vederci impegnati ogni giorno. Registriamo, soprattutto in questo frangente, unanimità eppure il fenomeno resta grave e diffuso. Le donne continuano ad essere vittime di violenza. Ancora si muore per mano di familiari e congiunti. Non è tollerabile. La questione è culturale ed educativa. Il rispetto si impara in famiglia, poi a scuola e nella società. Oggi la sfida è anche quella di un linguaggio dei social media sempre più aggressivo che così alimenta e aggrava un quadro già preoccupante.
La mostra curata dall’Archivio di Stato purtroppo conferma un’atavica supremazia maschile sulle donne della famiglia o di qualsivoglia contesto di vita. Già nell’Ottocento la posizione dell’aggressore veniva attenuata dall’inferiorità psichica della donna che dunque non era vittima ma, come si legge negli stessi atti, “scimunita”. Il fenomeno non nasce oggi e va affrontato dal punto di vista culturale, intervenendo già nei primi anni di vita». Così l’assessora comunale con delega alle Pari Opportunità, Anna Briante.
Le storie
Antonietta, 12 anni, Reggio Calabria 16 luglio 1892
Tipo di reato: Ratto a scopo di libidine, violenza carnale, minacce.
Giuseppe D.G. 23 anni con inganno, giurando amore e promettendo il matrimonio, irretisce Antonietta, 12 anni. L’incontro tra i due era avvenuto per volere delle famiglie. Una notte la rapisce, costringendola a rapporti intimi dopo i quali Antonietta resta incinta. La ragazza si ammala anche di sifilide prima di essere abbandonata da Giuseppe a casa di una sua amante. I genitori, portandola via dalla miseria in cui era stata abbandonata, denunciano l’uomo che aveva abusato della loro figlia. Condannato a tre anni di reclusione, dopo ricorsi in appello, grazie ad amicizie e alla sua posizione agiata. Giuseppe ottiene la riduzione della pena ad un anno. Inventario 68 tribunale penale di Reggio Calabria B677F 1440
Agata, 16 anni, Reggio Calabria 10 maggio 1895
Tipo di reato: Ratto, minacce, lesioni, istigazione alla prostituzione e violenza carnale,
linguaggi discriminatori.
Agata presta servizio presso un pittore di nome Giuseppe L., dove conosce Maria G. che diventata sua amica. Approfittando di un ricovero in ospedale di Agata, facendo leva sulle attenzioni prestate, Maria riesce a convincere Agata ad andare a vivere con lei. Ci aveva già provato in precedenza ma senza successo. L’insistenza di Maria ha svelato presto la sua ragione quando una volta convinto Maria a vivere con lei la costringe a prostituirsi. Appena scoperta la verità, la madre di umili origini e residente in periferia, porta via la figlia e denuncia Maria condannata a tre mesi di reclusione e una multa di lire 300. Inventario 68 Tribunale Penale di Reggio Calabria, B.698, F. 2164
Carmela, 16 anni, Reggio Calabria (Cerasi) 14 maggio 1885
Tipo di reato: violenza carnale, minacce e lesioni. Carmela è una contadina di Cerasi. Nelle prime ore antimeridiane del 14 maggio 1885, si reca come di consueto in raccogliere foglie per bachi da seta. All’improvviso compare Antonio C. di 26 anni, sposato con figli, armato di fucile quale, che importuna la ragazza. Lei lo respinge ma lui, armato, la afferra con forza per le braccia e abusa di lei. Antonio, conosciuto nel paese come un uomo dedito a questa specie di reati, cerca di comprare il silenzio della ragazza ma lei lo denuncia. Riconosciuto l’abuso e solo dopo vari rinvii a giudizio, poiché l’imputato era solito non presentarsi alle udienze, l’uomo viene condannato per stupro violento a cinque anni di detenzione. Inventario 68 Tribunale Penale di Reggio Calabria, B.447, f.343
Giuseppa, 12 anni, Reggio Calabria 2 aprile 1892
Tipo di reato: Ratti, minacce, maltrattamenti e lesioni, avvio alla prostituzione, linguaggi discriminatori.
Giuseppa, rimasta orfana di madre e con un padre già anziano, viene avvicinata e adescata da una donna di nome Maria che la convince a stare a casa sua con lo scopo di avviarla alla prostituzione. La donna minaccia Giuseppa con violenza e la costringe a concedersi a sconosciuti a scopo di lucro, arricchendosi. La ragazza viene ridotta in schiavitù, mangia solo qualche volta fina a quando non denuncia Maria e i suoi complici Luisa D.S. e Antonio D. condannati a un anno di reclusione per favoreggiamento alla prostituzione e ad un’ammenda di lire 500, e la sua carnefice. Maria G. viene condannata a tre anni di reclusione e a un’ammenda di 1000 lire. Inventario 68 Tribunale Penale di Reggio Calabria, B. 650 f. 379
Giovanna, 10 anni, Catona settembre 1882
Tipo di reato: violenza carnale verso minorenne e lesioni
Nel 1882, dopo la festa della Madonna della Consolazione, Giovanna, si trova nella vigna del padre a Concessa, e porta con sé dei grappoli d’uva appena raccolti. Le si avvicina Santo S., armato di fucile che la afferra dalla gola, le dà un pugno e la scaraventa a terra abusando di lei. Dopo circa quaranta giorni, Giovanna, che intanto sta male, racconta tutto alla madre ma non si sono testimoni che possano avvalorare quanto raccontato. La denuncia viene sporta comunque e
e una perizia medica conferma lo stupro che l’imputato nell’interrogatorio nega. Viene comunque condannato al lavoro forzato. Inventario 68 tribunale penale Reggio Calabria B4 135 F 78
Antonia, 14 anni, Reggio Calabria anno 1862
Tipo di reato: violenza carnale verso minorenne, minacce e intimidazioni
Antonia svolge servizio di domestica presso il sacerdote Don Sebastiano L.. Un giorno nella stalla, dove l’ha mandata a prendere del fieno, abusa di lei in modo talmente brutale da causare una forte emorragia. La giovane non denuncia subito e gli abusi si ripetono per un anno. La famiglia non era d’accordo che la figlia prestasse servizio presso la casa del sacerdote, data la sua reputazione. Eppure lì era stata mandata. Il prete viene assolto per mancanza di indizi. Il reato non sussiste. Inventario 68 Tribunale Penale di Reggio Calabria, B. 231, f. 29
Consolata, 20 anni, Reggio Calabria 15 maggio 1924
Tipo di reato: violenza carnale inflitta dall’ex fidanzato, istigazione al suicidio, diffamazione, linguaggi discriminatori. Consolata S. viene ricoverata presso l’ospedale civile di Reggio Calabria per un tentato suicidio. ha tentato di avvelenarsi. Consolata vive con il nonno, suo tutore, quando il 7 maggio 1934 incontra per strada il suo ex fidanzato, Arturo G. che con la scusa di doverle parlare, la trascina in un albergo costringendola ad avere un rapporto sessuale. Consolata denuncia Arturo, dando inizio a un lungo processo in occasione del quale l’uomo tenta di discolparsi, accusando la ragazza di aver avanzato pretese di matrimonio e di aver accettato, dopo il suo rifiuto perché “civettuola”, di essere comunque sua amante. Il processo dura per anni ma l’incompletezza dei documenti rinvenuti in Archivio non permette di conoscerne l’esito. Inventario 68 Il versam., Processi Penali, B.66, f.8
Maria G. Reggio Calabria agosto 1922
Tipo di resto: Violenza carnale, minacce, rotto, istigazione al suicidio, furto.
La giovane Maria G. di Modena nell’agosto del 1922 conosce durante un viaggio in treno per Venezia, il giovane Pietro S. di Reggio Calabria che subito le dichiara il suo amore. Con le lusinghe la convince a venire a Reggio, ma fermandosi a Roma dove si fa trovare anche lui. Lei parte da Venezia e si ferma a Roma dove, in albergo, lui abusa di lei. Poi la convince a proseguire il viaggio verso Reggio, promettendole il matrimonio. Invece la relega in un appartamento dove la tiene in ostaggio e continua ad abusare di lei, minacciandola con una pistola. Resta incinta e quando Pietro ammette che non la sposerà, lei lo denuncia. Essendo lontana dalla famiglia, il magistrato incaricato le trova un appoggio a Napoli, presso un Istituto di maternità.
Purtroppo Maria muore con il suo bambino in grembo, ingoiando una sostanza velenosa. Pietro cerca di difendersi, screditando la ragazza etichettandola come donne di facili costumi e trovando anche persone capaci di testimoniare il falso. Inventario 68 Il versam., Processi Penali, B. 56, f.146
Francesca R., 19 anni, Reggio Calabria 30 giugno 1922
Tipo di reato: Tentato omicidio, abuso di patria podestà, violenza carnale continuata su minore, incesto, minacce fisiche e verbali
Francesca R. orfana di madre, viene abusata ripetutamente dal padre Antonino R. che la sorvegliava a vista, maltrattata, insultata e minacciata con il fucile. Quando arriva in città Salvatore R. di 26 anni, Francesca si innamora di lui. In un primo momento, il padre la concede in moglie, per poi revocare il consenso. I due innamorati cercano invano di scappare. Raggiunti dal padre, costui spara contro di loro tre colpi di fucile, senza per fortuna arrecare alcun danno, Inizialmente Antonino R. viene condannato alla pena di mesi 2 e giorni 3 di reclusione per lesioni personali.
Poi, però, a causa probabilmente delle forti pressioni psicologiche, la vittima succube del genitore ritratta la sua versione, accusando invece il fidanzato. Inventario 68 Il versam., Processi Penali, 8.40, f.153
Rosa, 17 anni, Reggio Calabria 5 aprile 1921
Tipo di reato: violenza e maltrattamenti in famiglia, linguaggi discriminatori, lesioni mortali a figlia e neonato. Rosa A., incinta e scappata di casa con il ragazzo che amava, a pochi mesi dal parto decide di tornare dai suoi familiari per chiedere perdono e aiuto. Invece di ricevere il perdono, viene accolta con ostilità e violenza. I due fratelli “la malmenavano schiaffeggiandola, dandole pugni ai fianchi e buttandola più volte a terra”. La madre infierisce colpendola con un coltello. A seguito dell’aggressione, Rosa partorisce prematuramente all’ottavo mese il piccolo Gaetano.Purtroppo, entrambi, non sopravvivono: Gaetano muore dopo circa 10 giorni e Rosa dopo 15 giorni. Il vedovo di Rosa, Giuseppe C., cerca giustizia e denuncia la suocera e i cognati. La condanna per la madre di Rosa sarà di 9 mesi e 7 giorni di reclusione. Inventario 68 II versam., Processi Penali, B.40, f. 152
Angela, Gallico 11 maggio 1919
Tipo di reato: violenza carnale con aggravante per incapacità di intendere e di volere della vittima, linguaggi discriminatori, diffamazione.
L’11 maggio 1919 Angela percorre la strada che dalla sua abitazione porta al forno del paese e incontra il quindicenne Leone T. che la segue e la blocca con forza e poi ne abusa con violenza. Nella querela del 15 giugno del 1919 la mamma di Angela, Vittoria denuncia, riferendo che la figlia ha “un non sufficiente sviluppo cerebrale e può dirsi per lo stato di inconsapevolezza in cui vive, una vera idiota”. La perizia psico/fisica conferma lo stupro e i limiti cognitivi. L’imputato riferisce, a sua discolpa e spalleggiato anche dalle testimonianze di altri conoscenti, che la ragazza si era data a lui dietro pagamento e che era solita avere rapporti a pagamento anche con altri uomini. La controperizia tenta di definire la ragazza in piena volontà di intendere e volere ai fini di scagionare Leone T., che comunque verrà condannato per aver commesso il fatto ma con riduzione della pena trattandosi di minorenne. Inventario 68 Il versam., Processi Penali, B.11, f.311
Maria Stella, 12 anni, Cannitello 23 ottobre 1889
Tipo di reato: violenza carnale, incesto e induzione alla prostituzione.
Dal 1885 al 23 ottobre del 1889 a Cannitello si consumano atti di violenza e incitamento alla prostituzione. A commetterli è un padre, Angelo P., 58 anni,ai danni della figlia. La madre, accortasi di tali violenze sporge denuncia. Dalle dichiarazioni della madre e della figlia, sembra che il padre volesse a tutti i costi da Maria Stella il figlio maschio che tempo prima era morto. Inoltre, la madre racconta di aver più volte cercato di fermare quel “mostro” che abusava continuamente della ragazzina. Maria Stella dichiara che in più occasioni che si fingeva morta per sottrarsi a quelle sofferenze atroci. La ragazzina venne sottoposta più volte a perizie che hanno confermato i danni subiti dalle continue violenze. L’imputato, di fronte al Pubblico Ministero avvalendosi di vari testimoni tenta di discolparsi in ogni modo. Viene condannato in via definitiva alla pena di anni quattro di reclusione. Inventario 68 / versam., B. 446, f. 332
Antonina, 16 anni, Villa San Giuseppe maggio 1893
Tipo di reato violenza carnale verso minore minacce. Il 14 dicembre 1893 i genitori di Antonina S. sporgono denuncia contro Letterio B. accusandolo di avere violentato la loro figlia, da circa due anni al servizio presso la sua casa. Secondo il racconto dei genitori e la deposizione della stessa Antonina, Letterio B. abusava della ragazza, promettendole di comprarle una casa e rassicurandola che, in caso di gravidanza, si sarebbe occupato di farla abortire. La ragazza dopo poco si era ammalata e i genitori avevano deciso di riportarla a casa. “Quando l’addome diventò grosso, non potendo più nascondere la gravidanza” Antonina raccontò della violenza. Il Pretore non accetta, in un primo momento, la denuncia, volendo ascoltare l’uomo, il quale manda in sua vece i fratelli e l’avvocato che cercano un compromesso promettendo alla famiglia lire 100 e il sostentamento delle spese quotidiane. I familiari rifiutano il compenso ed espongono formale querela costituendosi parte civile e dando inizio a un processo di cui non si ha esito data l’incompletezza dei fascicoli.
Inventario 68 Tribunale Penale di Reggio Calabria, B. 761, f. 1604.
Marianna, 38 anni, Cataforio settembre ottobre 1920
Tipo di reato: violenza carnale e minacce di morte con aggravante dovuta a ritardo mentale della vittima, linguaggi discriminatori.
Tra il settembre e l’ottobre del 1920 a Cataforio, Marianna di anni 38, presumibilmente affetta da ritardo mentale, mandata dalla madre a prendere la legna in una delle contrade del paese, incontra Antonino, di anni 45, che abusa di lei per tre volte, minacciandola con una scure e tenendole la bocca serrata con la mano. La madre, accortasi mesi dopo dello stato di gravidanza della figlia, le chiede spiegazioni. Dopo un iniziale diniego, Marianna svela quanto accaduto. La madre denuncia Antonino, forte anche del fatto che la figlia fosse affetta da “cretinismo” e che vi fossero testimoni a favore. Alla denuncia, seguono due perizie psichiatriche sulla giovane che però la dichiarano capace di intendere e volere e quindi in grado di respingere le violenze dell’imputato. Antonino durante i vari interrogatori nega lo stupro. Alla fine viene condannato a 4 anni di reclusione ma nell’ottobre del 1926 viene assolto per insufficienza di prove. Inventario 68 II versam., Processi Penali, B. 19, f.265
Il femminicidio: assolto dall’accusa di delitto d’onore
Fortunata, Reggio Calabria 5 maggio 1930
Tipo di reato: Femminicidio all’epoca definito delitto d’onore, linguaggi discriminatori.
Nel pomeriggio del 5 maggio 1930, verso le ore 16, Fortunata viene uccisa con due colpi di rivoltella dal marito. Cade esanime mentre l’amante ferito scappa. A detta dei testimoni, operai impegnati nella costruzione del Teatro Comunale, da circa tre mesi i due amanti si incontravano attraverso le terrazze contigue, e verso le 15:30 del pomeriggio i due entravano all’interno dell’abbaino. Nell’ interrogatorio il marito racconta che quel pomeriggio, intorno alle ore 14, sul posto di lavoro a lavoro è raggiunto dalla cognata, sorella della vittima, che gli racconta come andando a trovare la sorella rimane perplessa dall’atteggiamento della nipote che non la fa entrare e si accorge della presenza di un giovane sconosciuto nella loro casa. A quel punto il marito si reca a casa propria, e munendosi di arma sale le scale della terrazza dove coglie la moglie abbracciata al giovane vicino, immediato l’uso della rivoltella a mettere fine alla vita di Fortunata. Il marito di Fortunata viene “definito come un marito e un povero padre su cui si è abbattuta tanta sciagura, dedito alla famiglia e al lavoro, lei come una moglie indegna e madre adultera…” Il 4 ottobre del 1930 il “povero padre e marito”, così definito, viene assolto dall’accusa di delitto d’onore, l’amante viene condannato a sei mesi di reclusione per violazione di domicilio.
Inventario Corte d’Assise di Reggio Calabria, B.323, f.4.