È stata un’estate incandescente all’interno delle carceri calabresi. Per questo abbiamo voluto fare il punto con chi l’emergenza la conosce dall’interno. Nell’intervista, Giovanna Russo sottolinea l’impegno costante dell’Ufficio del Garante anche durante il mese di agosto, a conferma che le carceri non vanno in vacanza e che le emergenze non possono essere ignorate. Il quadro delle carceri calabresi è definito preoccupante: sovraffollamento, carenza di personale penitenziario, violazioni dei diritti fondamentali e infiltrazioni della criminalità organizzata rendono la situazione complessa. Per non parlare del tema caldo della sanità che merita un approfondimento particolare.

Attraverso visite ispettive e istituzionali, l’Ufficio monitora le condizioni interne degli istituti di pena, verificando il rispetto della legalità e dei diritti umani, non solo dei detenuti, ma anche del personale che opera nel sistema penitenziario. La legalità e la tutela dei diritti sono i due cardini del lavoro svolto.
Particolare attenzione è rivolta all’antimafia penitenziaria, cioè al contrasto del potere esercitato da soggetti appartenenti alla criminalità organizzata all’interno delle carceri.

Russo denuncia come questo potere condizioni la vita quotidiana degli istituti e renda necessarie azioni urgenti e coordinate. La cronaca continua a raccontare episodi gravi – suicidi, evasione, droga e cellulari in carcere – che dimostrano la persistenza di problemi strutturali. La ‘ndrangheta ha ancora un ruolo pesante nel controllo di certe dinamiche interne.

Russo rivendica una “rivoluzione silenziosa” avviata in meno di sei mesi di mandato, con una forte collaborazione con procure e Direzioni distrettuali antimafia, sebbene permangano difficoltà nei rapporti con la pubblica amministrazione regionale. Il lavoro dell’Ufficio continuerà senza interruzioni, con l’obiettivo di rendere il carcere un luogo di giustizia, rieducazione e rispetto dei diritti. Chiude con un appello alle istituzioni: il sistema penitenziario non deve essere dimenticato, ma integrato nel dibattito pubblico e affrontato con responsabilità collettiva.

Dottoressa Russo, lei ha dichiarato che “si torna nelle carceri anche ad agosto”. Il suo mandato, quindi, non si è mai fermato?

Assolutamente no. Come promesso sin dal mio insediamento, il mio mandato non si è mai interrotto, nemmeno nel mese di agosto. Le carceri non vanno in vacanza, e nemmeno il Garante può permetterselo. Le emergenze sono tante e spesso gravi, ed è doveroso monitorarle costantemente. È un lavoro che richiede presenza, ascolto, vigilanza.

Qual è, ad oggi, il quadro generale delle carceri calabresi?

Il quadro è complesso e presenta criticità strutturali e sistemiche. Parliamo di sovraffollamento, carenza di personale – in particolare tra gli agenti della polizia penitenziaria – e difficoltà nel garantire diritti fondamentali alle persone detenute. Ma non solo: ci sono problematiche legate alla sicurezza, alla sanità penitenziaria, alla formazione e al reinserimento sociale. Sono temi che si intrecciano e che rendono il sistema fragile, spesso inefficace.

Qual è l’obiettivo delle vostre visite all’interno degli istituti penitenziari?

Attraverso le visite – che siano ispettive o istituzionali – cerchiamo di monitorare e verificare le condizioni reali all’interno delle carceri. È un lavoro fondamentale per comprendere il livello di legalità presente e per garantire i diritti delle persone private della libertà. Ma il nostro sguardo non si ferma ai soli detenuti: tuteliamo anche il personale, dagli agenti agli educatori, perché il carcere è un microcosmo in cui convivono professionalità, storie, sofferenze e responsabilità.

Legalità e garanzia dei diritti: quanto sono centrali nel suo lavoro?

Sono i due pilastri del nostro monitoraggio. La legalità non è solo il rispetto delle norme, ma è anche garanzia di dignità e umanità. E i diritti, anche in carcere, non si sospendono. Ogni persona detenuta deve essere trattata nel rispetto della Costituzione e delle convenzioni internazionali sui diritti umani. Allo stesso tempo, però, dobbiamo garantire un regime di sicurezza che sia davvero efficace, senza che diventi punitivo o disumanizzante.

In questo contesto ha parlato di “antimafia penitenziaria”. Di cosa si tratta?

L’antimafia penitenziaria è un concetto chiave. Significa intervenire su quelle situazioni in cui il potere della criminalità organizzata continua a esercitare un’influenza sulle dinamiche carcerarie. Parliamo, ad esempio, dei cosiddetti “soggetti forti”, che all’interno degli istituti continuano a esercitare un controllo psicologico, economico e organizzativo sugli altri detenuti. Questo mina profondamente la sicurezza e la possibilità di rieducazione. L’antimafia penitenziaria è prima di tutto protezione dei più fragili.

La cronaca, purtroppo, continua a raccontare episodi drammatici: suicidi, evasioni, ritrovamenti di cellulari e droga…

Purtroppo sì. Sono segnali allarmanti, che raccontano di un sistema che fatica a contenere dinamiche illecite anche all’interno degli istituti di pena. I cellulari, ad esempio, rappresentano un canale diretto con l’esterno e quindi un possibile prolungamento dell’attività criminale. Il sovraffollamento, poi, acuisce ogni problema, rendendo più difficile il controllo e la gestione quotidiana. Sono problematiche che si sono cristallizzate nel tempo, e la presenza della ’ndrangheta continua ad avere un peso determinante.

Come si può contrastare questo sistema illecito?

Con una risposta corale, istituzionale, coordinata. Serve un’azione sinergica tra amministrazione penitenziaria, forze dell’ordine, magistratura e strutture territoriali. Il contrasto alla criminalità organizzata non può essere demandato solo alla repressione, ma deve passare anche da un sistema penitenziario che funzioni, che sia in grado di garantire diritti e legalità. Un carcere che permette a certi poteri di replicarsi al proprio interno, inevitabilmente incide anche sul territorio esterno.

In meno di sei mesi ha parlato di una vera e propria rivoluzione. In cosa consiste?

Dal mio insediamento abbiamo avviato un lavoro profondo, di ascolto e di intervento concreto. Abbiamo visitato numerosi istituti, raccolto segnalazioni, avviato relazioni con le procure e le Direzioni distrettuali antimafia. Con loro c’è un confronto quotidiano e proficuo. Sul piano amministrativo, invece, il riscontro è spesso più difficile, soprattutto a livello regionale, dove si fatica ancora a costruire un dialogo costante e operativo.

Come continuerà il lavoro dell’Ufficio del Garante nei prossimi mesi?

Con la stessa determinazione di sempre. L’autonomia dell’Ufficio ci consente di agire con continuità, senza subire rallentamenti. Continueremo a visitare gli istituti, a redigere relazioni, a segnalare criticità e a proporre soluzioni. Crediamo fermamente che la tutela dei diritti umani sia il cuore del nostro lavoro. E i diritti possono dirsi davvero tutelati solo quando il carcere non è più ostaggio della criminalità organizzata, ma diventa luogo di giustizia, di rieducazione e di legalità.

Un’ultima domanda: cosa si aspetta per il futuro?

Mi aspetto una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni regionali. Il tema penitenziario non può restare ai margini del dibattito pubblico. Serve un’assunzione di responsabilità collettiva, perché il carcere non è un mondo a parte: è parte integrante della nostra società. Solo garantendo dignità e legalità all’interno delle carceri possiamo costruire sicurezza e giustizia anche fuori.