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«Invitiamo i ragazzi a stare vicini, proprio fisicamente e visivamente, alle categorie fragili, a fare un’esperienza di cittadinanza attiva, di vigilanza diretta, di contatto con la fragilità. E amiamo facilitare il contatto con tante categorie, magari anche con ambiti che non sono immediatamente noti, ma che sono sicuramente molto significativi. Perché? Perché pensiamo che ognuno di voi possa trarre un guadagno da questo contatto».
Con queste parole il presidente di Civitas Luciano Gerardis ha salutato gli studenti del liceo artistico Preti – Frangipane che hanno iniziato un percorso di volontariato “Evadere da fuori”. È stato un momento di confronto inportante grazie alla sensibilità e umanità portata dal procuratore Stefano Musolino che in una vera e propria lezione magistrale di filosofia morale ha coinvolto i ragazzi mettendoli di fronte a una realtà spesso celata. Con loro ha parlato di desiderio, libertà, paura. Insomma quelle tematiche tanto scomode al Governo del consenso.
Ed è proprio questo che Civitas vuole fare con i giovani, renderli cittadini liberi, responsabili, attivi. «Pensiamo che si cresca molto – ha detto Gerardis – e noi stessi ci applichiamo ogni giorno – proprio grazie al contatto con le persone che hanno più bisogno, che hanno maggiori necessità di tutela. Il contatto umano colpisce sempre, e le esperienze, anche quelle più forti, finiscono sempre per farci capire qualcosa di profondo, anche su noi stessi. La scuola ha il compito non soltanto di insegnarvi le materie, ma anche quello di avviarvi ad essere cittadini. E questo essere cittadini attivi passa, secondo noi, anche da questo tipo di esperienza.
Allora, che cosa abbiamo fatto quest’anno? Abbiamo chiesto alle varie associazioni del circuito Civitas – che ormai conta una settantina di associazioni di volontariato, tutte operanti gratuitamente nel sociale – di collaborare. Ci teniamo molto a questo aspetto: chi non opera gratuitamente non entra nel nostro circuito. Fanno parte del circuito tutte le scuole superiori della provincia e anche molti istituti comprensivi. Ogni scuola ha scelto uno o più progetti. Per esempio, nel vostro caso, avete la fortuna di avere una preside Lucia Zavettieri molto avanti, devo dire, e anche un corpo docente molto preparato su queste tematiche».
Ogni scuola ha scelto la soluzione più adatta ai propri ragazzi, quella che potesse davvero essere utile, coinvolgente. E oggi, in particolare, si è parlato di carcere. La CVX ha portato un’esperienza che da almeno quindici anni va avanti. «Noi vorremmo che tutto questo vi servisse, che fosse anche solo un piccolissimo supporto alla vostra crescita come cittadini, e che soprattutto vi aprisse la mente a una riflessione più ampia. Voi non siete soltanto studenti, voi siete cittadini. E come cittadini, dovreste essere impegnati a migliorare la società in ogni ambito e con ogni vostro contributo.
A spiegare il perché l’incontro è stato fatto a scuola e non in carcere è stata Paola Schipani di CVX. Il progetto di volontariato doveva inizialmente essere svolto come laboratori di lettura in carcere ma «nel momento in cui l’autorizzazione ci è stata negata, per ragioni di sicurezza, potesse essere recuperata in parte da una persona che potesse restituirci un po’ dell’esperienza mancata dell’ingresso diretto in carcere. Che, intendiamoci, non è recuperabile del tutto, perché è prima di tutto un’esperienza fisica. Però è anche un’esperienza di relazione profonda. Quando si supera il trauma delle porte che ti si chiudono alle spalle, entri in un altro mondo, entri in relazione con le persone. E lì scatta qualcosa. Tu sai che sei lì, e basta. Quella è una condizione che non si spiega, la devi vivere. E questa cosa, poteva essere restituita solo dal procuratore Musolino. Può sembrare paradossale, ma era l’unico modo che avevamo per recuperare, almeno in parte, quell’esperienza. Un’esperienza che è unica, ed è piena di risorse».
Ed è stato Musolino in modo delicato a raccontare ai ragazzi una realtà brutale costringendoli a confrontarsi con quello che di solito viene loro edulcorato. «Secondo me, in quella che è la nostra attualità – e nel modo in cui la nostra attualità si relaziona con la nostra Costituzione – la dirigente vi ha parlato di minoranze, di diritti delle minoranze, di prossimità alle minoranze. E vi ha declinato questo concetto riferendosi a una specifica specialità: le persone fragili.
E tutto questo sta dentro a un’idea fondamentale della nostra Costituzione. Un’artista, come voi, in una bellissima canzone è riuscito a sintetizzare questa idea in maniera molto efficace. Uno spirito che sta dentro ai primissimi articoli della Costituzione, quelli più importanti. Lì si dice, in sostanza: «Io posso essere libero e felice solo se lo sono anche gli altri».
Questa è la base di una serie di principi che stanno proprio al cuore della nostra Costituzione. E Musolino ai ragazzi lo ha detto chiaramente che «L’idea che la mia libertà e la mia felicità non siano solo questioni che riguardano la mia persona, ma siano strettamente collegate alla possibilità che anche gli altri siano liberi e felici. Senza che gli altri siano liberi e felici, io non riesco a godere appieno della mia libertà e felicità. È una cosa così profonda che una delle intelligenze più lucide che ha contribuito a formare la Costituzione, Piero Calamandrei – che era sì un avvocato, ma anche un intellettuale straordinario – diceva che la nostra Costituzione è una polemica contro il presente. Una polemica costante contro il presente, perché l’immagine di società che la Costituzione propone è sempre più avanti rispetto a quella che la società è in quel momento».
Ma perché parlare di libertà e felicità che poco hanno a che vedere con il carcere? «Se non vi preparate ad essere cittadini, vi mancherà qualcosa. Ma tra l’essere e il dover essere, spesso c’è uno spazio. E quello spazio può essere colmato solo dal desiderio. Da ciò che veramente desiderate. C’è un “dover essere”, che è la pienezza dei diritti che la Costituzione vi riconosce. Il diritto ad essere cittadini liberi e felici, solo se lo sono anche gli altri. Ma c’è un “essere” che magari è ancora indietro, preso dalle comodità, dalle origini, dal proprio mondo.
E allora, come si colma questa differenza? Solo attraverso il desiderio di essere qualcos’altro. Se non vi interrogate su questo desiderio, su dove stia il vostro desiderio, farete fatica a capire se vi interessa davvero il volontariato. Perché, vedete, la scuola vi fa delle proposte, ma non è una cosa che si deve fare. È una cosa che si può fare. E decidere se farlo o no dipende da quello che volete voi. Però è anche vero che, alla vostra età, si mordicchiano un po’ di frutti per vedere quali ci piacciono, no? Ci sta fare delle prove: questo mi piace, questo no. Ma accanto a questo ci sono domande più profonde, domande da adulti. E temo che questa sia un’epoca storica in cui queste domande fondamentali stanno cambiando».
Filosofia, dicevamo. Ma Musolino ai ragazzi lo ha detto chiaramente che sta cambiando qualcosa di profondo: la logica che sta alla base del nostro spirito costituzionale, cioè la tutela dei più deboli. «Sta entrando sempre di più un’idea diversa: quella secondo cui conta solo la logica del potere, il bisogno del più forte. Ed è il più forte a dettare le regole. Non è un caso che, in tutte le democrazie occidentali, partendo dal nostro Paese – ma anche nella laburista Gran Bretagna o negli Stati Uniti – quelli che vengono messi in discussione sono i contropoteri. I poteri che bilanciano il potere esecutivo, cioè il potere del governo, di chi ha vinto le elezioni.
Il nostro sistema costituzionale è fatto di bilanciamenti, perché si riconosce che le minoranze possono essere tutelate solo da organismi che ne garantiscono i diritti. Perché la maggioranza – anche quella elettorale – potrebbe avere interessi confliggenti con quelli delle minoranze. E allora i diritti delle minoranze vanno in difficoltà. E vengono messi in discussione».
E non poteva non spostarsi su un piano politico anche se mantenendo sempre la lucidità filosofica e morale. «In tutto il mondo occidentale, questa cosa riguarda soprattutto i migranti. Che sono la minoranza per definizione, aggravata dal fatto di essere percepiti come i nemici della nostra sicurezza. Non come singoli, ma come categoria. Il problema della gestione della sicurezza rispetto all’immigrazione esiste, certo. Ma la logica che si sta imponendo è quella per cui il migrante è l’emblema della minaccia, e quindi i loro diritti vengono attaccati. E con essi, anche chi quei diritti li tutela: la magistratura.
Allora, quando sentiamo autorevolissimi esponenti del governo dire – come è stato già accennato – a proposito delle persone in carcere: «Buttate la chiave», stiamo davanti a qualcosa di molto grave. Quando il carcere diventa sistematicamente la risposta attraverso la creazione di nuove norme penali, l’aumento delle pene… è una finzione. Si fa finta di risolvere problemi sociali reali aumentando le pene. E si ripristina così la regola del più forte, marginalizzando i più deboli».
Il messaggio è stato chiaro: non sempre chi va in carcere è una persona debole. A volte ci finiscono persone strutturate, con una famiglia, un’educazione, mezzi economici. Ma molto più spesso finiscono in carcere persone che non hanno avuto nulla di tutto questo. «In carcere ci può andare chiunque, ma dentro c’è una straordinaria varietà umana. Con una prevalenza evidente di chi proviene da condizioni di debolezza originaria. E accanto a questi ci sono anche detenuti particolari, che fanno della scelta di vita in contrasto con il sistema un elemento fondante della loro identità: i grandi trafficanti, i mafiosi, persone che scelgono di vivere in opposizione sistematica alle regole.
Davanti a questa varietà, il modo in cui guardate queste persone cambierà il vostro sguardo. Se li guardate come persone da emarginare, da buttare via, come chi merita che si butti la chiave… allora in quella breve visita che farete in carcere, quell’oretta passerà come nulla, con la porta che si chiude e voi che pensate: «Problemi loro».
Ma se invece li guardate pensando che forse siete fuori da quel mondo solo per una serie di combinazioni fortunate, che non dipendono da voi, allora lo sguardo cambia. E questo cambia il modo in cui vedete il carcere. Secondo me, siete già dentro questo conflitto, anche se nessuno ve ne parla in questi termini. Ma c’è: è un conflitto culturale, tra il diritto e il potere del più forte, tra il prendersi cura del più debole e il dire: «Non mi riguarda».
E il conflitto non è necessariamente una cosa negativa. Anzi. Uno dei primi grandi sostenitori del conflitto è stato Gesù Cristo. Disse: «Non pensate che io sia venuto a portare la pace, ma la spada». Perché il conflitto mette in luce chi siamo davvero, ci costringe a guardarci dentro e a scegliere da che parte stare. Il problema è quando non ci accorgiamo nemmeno di essere dentro un conflitto, e immaginiamo che tutto sia tranquillo. Ma c’è qualcuno che decide sopra le nostre teste, e noi non capiamo cosa stia cambiando. E qualcosa sta cambiando, profondamente. Ma abbiate la consapevolezza di stare dentro a un conflitto. Il fatto di scegliere se andare o non andare, se prendersi cura o no della fragilità, se stare o meno vicino alle minoranze, oggi è espressione di un modo di vivere quel conflitto.
Se vi interessa solo ciò che riguarda i vostri sogni e i vostri interessi, allora state dalla parte del più forte, di chi può permettersi di ignorare le debolezze. Ma la Costituzione ci dice che dobbiamo prenderci cura. E allora vi consiglio: partite dall’essere. Chiedetevi: qual è il mio desiderio? Lì, dove è veramente il vostro desiderio, troverete la chiave per capire se il volontariato in carcere è una cosa che volete fare, anche solo per provarla. O se, semplicemente, non fa per voi».

