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«Racconto il martirio del popolo palestinese, il suo calvario interminabile. Sono un attivista per i diritti e da quarant’anni, nel mio piccolo, manifesto il mio sostegno al popolo palestinese, invoco il suo diritto a essere riconosciuto come tale nella sua dignità, a autodeterminarsi nella sua indipendenza».
Moni Ovadia, attore, scrittore, attivista per i diritti, è una voce ferma e determinata a difesa del popolo palestinese. Nel monologo “Carta Bianca Palestina: dalle origini del sionismo al conflitto attuale” spiega la genesi di quello che anche lui definisce un genocidio in atto ad opera di Israele, partendo dalla Palestina in cui potenza mandataria era la Gran Bretagna. Il suo monologo ha chiuso, nell’auditorium di Santa Caterina di Reggio Calabria, la rassegna teatrale “Oltre i Confini: Voci di Resistenza e Speranza, Storie di Lotta e Solidarietà”, promossa dalla fondazione Girolamo Tripodi, presieduta dal figlio Michelangelo Tripodi.
«Siamo onorati – ha dichiarato Michelangelo Trpodi, presidente della fondazione Girolamo Tripodi – di chiudere la rassegna teatrale in cui abbiamo trattato temi di grande attualità e impegno sociale. Siamo orgogliosi di chiudere con Moni Ovadia. Un’occasione per manifestare la nostra vicinanza al popolo palestinese sottoposta a una vera azione di sterminio e di pulizia etnica. Noi vogliamo lanciare un grande messaggio, come fondazione Girolamo Tripodi. Esprimiamo la piena solidarietà a un popolo che da ottant’anni subisce l’occupazione israeliana e non trova pace. Siamo a esso vicini».
Uno stato binazionale e laico
Una forte denuncia che sfocia nell’unica soluzione da Moni Ovadia ritenuta praticabile per riconoscere ai palestinesi la dignità di popolo e costruire finalmente la pace.
«Lo slogan con cui il sionismo si presentò al mondo fu: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Ma in quella terra il popolo c’era e non vollero vederlo. Occorre una mobilitazione soprattutto in Occidente, corresponsabile di questo orrore, perché finalmente si capisca che la soluzione non può essere quella di due popoli e due Stati. Questo è un raggiro, una truffa infame. L’unica soluzione è quella di uno Stato binazionale e laico per tutti coloro che abitano in quel territorio. Qualunque altra soluzione sarebbe a detrimento di questo popolo che da 75 anni subisce violenze inenarrabili, uccisioni e torture e altri crimini e condotte arbitrarie».
Hamas
Su Hamas, l’attivista chiarisce: «Il problema non è Hamas. Questa è un’altra delle tecniche per scaricare le responsabilità. Hamas è una reazione al sionismo e non è il popolo palestinese. È un’organizzazione che usa il terrorismo. Anche gli ebrei hanno usato il terrorismo in violazione di ogni diritto internazionale. Paradossalmente non ha rispettato anche la risoluzione 181 che istituiva lo Stato di Israele, pretendendo di possedere, non abitare la porzione assegnata, tutto il territorio. Per altro è la stessa carta Onu a prevedere che un popolo vessato e perseguitato possa ribellarsi con la lotta armata».
Identità antisionista
Da ebreo italiano racconta anche la storia sua e di altri come lui, di come le radici abbiano dovuto fare duramente i conti con dolorose consapevolezze, fino a maturare una ferma posizione antisionista.
«Se solo gli ebrei avessero capito la lezione della loro persecuzione. Io l’ho capita e spero che gli ebrei, anche gli israeliani che ancora non abbiano perso il senno, rivendichino un’identità antisionista. Oramai siamo centinaia di migliaia ad averlo fatto. E chiedo a voi giornalisti di non usare più la parola Stato ebraico, ma Stato sionista che con noi avrà non ha niente che vedere. Io sono un ebreo italiano, europeo. Sono un cittadino del mondo. Sono nato in una famiglia ebraica e naturalmente ho subito la narrativa israeliana. Nel tempo mi sono reso conto della retorica e delle menzogne in cui tanta brava gente ha creduto mentre si consumava la persecuzione ininterrotta del popolo palestinese, in particolare dalla fondazione dello Stato di Israele. Nella cosiddetta guerra di Indipendenza, come la chiamano gli israeliani, sono stati commessi crimini, pulizia etnica, distruzione di 500 villaggi con 750mila palestinesi espulsi dalle loro case, dalle loro terre e dalle loro topografie esistenziali.
L’Occidente è correo di questi spaventosi crimini. Progressivamente mi sono, dunque, reso conto che in quanto ebreo mi avevano pugnalato al cuore e alla schiena. Per me la lezione derivata dalla grande epopea degli ebrei era combattere contro ogni ingiustizia sotto qualsiasi cielo e da chiunque perpetrata. Oggi mi rendo conto che il sionismo è un’ideologia perversa, colonialista e quindi razzista, segregazionista, diventata in questo ultimo turno di violenza, anche genocidaria. A parlare con autorevolezza di genocidio è stato Amos Goldberg».
Una storia con il marchio di Caino
Dello storico israeliano, professore di Storia dell’Olocausto al dipartimento di Storia Ebraica dell’Università Ebraica di Gerusalemme, Moni Ovadia ha proposto al pubblico la lettura di uno scritto dello scorso anno: «Sì, è un genocidio. È difficile e doloroso ammetterlo, ma non possiamo più evitare questa conclusione. La storia ebraica sarà d’ora in poi macchiata dal marchio di Caino per il “più orribile dei crimini”, che non potrà essere cancellato. È così che sarà considerata nel giudizio della Storia per le generazioni a venire. Gli obiettivi militari sono quasi obiettivi incidentali mentre uccidono civili, e ogni palestinese a Gaza è un obiettivo da uccidere. Questa è la logica del genocidio. Sì, lo so, quelli che lo dicono “Sono tutti antisemiti o ebrei che odiano se stessi” (…)Ciò che sta accadendo a Gaza è un genocidio perché livello e ritmo di uccisioni indiscriminate, distruzione, espulsioni di massa, sfollamenti, carestia, esecuzioni, cancellazione delle istituzioni culturali e religiose, disumanizzazione generalizzata dei palestinesi creano un quadro complessivo di genocidio, di un deliberato e consapevole annientamento dell’esistenza palestinese a Gaza. La Gaza palestinese come complesso geografico-politico-culturale-umano non esiste più».
Il balsamo della poesia
Il recital si è chiuso con la declamazione di alcune liriche di poeti palestinesi tra le quali una del grande Mahmoud Darwish con le sue “Case assassinate”: «In un minuto, la vita di una casa finisce. Quando una casa viene uccisa si tratta sempre di un omicidio seriale, persino se l’edificio è vuoto: è una tomba comune di tutte le cose che davano un senso alla casa».

