La Reggina continua a lottare sul campo, senza cercare alibi. Ma gli errori arbitrali ricorrenti, soprattutto a favore del Siracusa, rischiano di compromettere la regolarità del campionato. Serve maggiore competenza per tutelare il lavoro delle società.

In una fase così delicata della stagione, con la promozione diretta in bilico, ogni dettaglio pesa. E gli arbitraggi, purtroppo, stanno diventando un fattore. La Reggina ha sempre preferito parlare poco delle decisioni arbitrali, mantenendo una linea chiara e orgogliosa: si vince sul campo, con le proprie forze, senza cercare scuse. Ma quanto accaduto nelle ultime giornate, e in particolare nella gara Siracusa–Paternò, impone una riflessione.

Troppe le indecisioni, troppi gli episodi discutibili. Il Siracusa, diretto concorrente per la promozione, ha beneficiato di decisioni che stanno sollevando più di un dubbio. E non si tratta solo dell’ultima gara: è un trend che si sta consolidando e che rischia di intaccare la credibilità del torneo.

La Serie D è un campionato duro, complicato, che richiede sacrificio e organizzazione. Le società investono tempo, risorse, energie. La Reggina, con il suo prestigio e la sua storia, rappresenta un patrimonio del calcio italiano. E proprio per questo non può permettersi, né accettare, che tutto venga rimesso in discussione da arbitraggi che non sono all’altezza della competizione.

Non si tratta di cercare alibi, ma di pretendere rispetto. Per il lavoro, per i tifosi, per l’equilibrio sportivo. Gli arbitri, come i giocatori e gli allenatori, devono dimostrare competenza, preparazione e lucidità. Errori così evidenti e ricorrenti non possono più essere derubricati come “sviste”. Sono segnali di un problema strutturale che va affrontato.

La Reggina continuerà a lottare fino all’ultimo minuto dell’ultima giornata, senza abbassare la testa, com’è giusto che sia. Ma non si può ignorare che la qualità di un campionato passa anche e soprattutto dalla sua regolarità. Gli arbitraggi devono essere all’altezza di un torneo difficile e competitivo. È tempo che chi è chiamato a dirigere prenda coscienza del peso delle proprie decisioni. Perché una stagione non si può rovinare così.