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Palermo, 20 apr. (askanews) - E' attesa per oggi pomeriggio alla 16, nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, la lettura della sentenza del processo sulla trattativa Stato-mafia. La Corte d'assise, presieduta dal giudice Alfredo Montalto, si è ritirata in camera di consiglio lunedì scorso alle 10,30. Si chiude dunque il primo capitolo di uno dei processi più discussi degli ultimi anni, e iniziato nel maggio del 2013. Nove gli imputati, tra i quali figurava anche il boss Totò Riina, deceduto lo scorso 17 novembre. La tesi della Procura di Palermo è che 26 anni fa, parti dello Stato trattarono con la mafia per far cessare l'ondata stragista che insanguinò il Paese nel biennio 1992-94. Tra gli accusati, assieme a capimafia come Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca, ci sono l'ex presidente del Senato, Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza, l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri,ál'ex capo deláRosádei carabinieri,áAntonio Subranni, il suo vice dell'epoca, Mario Mori, e l'allora capitanoáGiuseppe De Donno.
Al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa tra Stato e mafia oggi, al termine di una lunga camera di consiglio, la Corte ha sciolto la riserva aprendo nuovamente l’istruttoria dibattimentale. Il collegio – presidente da Angelo Pellino, giudice a latere Vittorio Anania – ha infatti ammesso le richieste di nuovi testimoni e acquisizioni documentali. Ammesse anche le deposizioni dei collaboratori Antonino Cuzzola, Salvatore Pace e Armando Palmeri, i primi tre già sentiti a Reggio Calabria nel processo alla ‘ndragheta stragista mentre Palmeri dovrà riferire sui presunti legami tra alcuni esponenti dei servizi segreti e ambienti mafiosi. In che veste “sentire” i collaboratori sarà deciso nella prossima udienza, prevista per il 16 marzo, per consentire alle parti di potermi esprimere.
Secondo l’ordinanza della Corte di assise di appello di Palermo dovranno essere sentiti anche, tra gli altri, l’ex capocentro del Sisde Maurizio Navarra e l’ex tenente Franco Battaglini, autore della nota riservata secondo cui il boss corleonese avrebbe avuto un cellulare nella sua disponibilità in cella, a Rebibbia, subito dopo il suo arresto, avvenuto il 15 gennaio 1993.
E verrà pure acquisito il fascicolo dell’indagine – aperta e chiusa con una archiviazione – su questo fatto. La Corte ha ammesso anche gli atti d’inchiesta sul suicidio in carcere del boss mafioso Antonino Gioè e la lettera testamento che lasciò – e che provocò i commenti dell’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e del consigliere giuridico del Quirinale, Loris D’Ambrosio – e i suoi presunti legami con Paolo Bellini, uomo di estrema destra e presunto protagonista di una sorta di trattativa parallela tra mafia ed esponenti dei carabinieri finalizzata al recupero delle opere artistiche rubate.
La Corte di assise, nell’aprile 2018, aveva condannato a 28 anni il boss Leoluca Bagarella, a 12 di l’ex senatore Marcello Dell’Utri e gli ex carabinieri del Ros Mario Mori e Antonio Subranni; stessa pena per Antonino Cinà, medico e fedelissimo di Totò Riina; 8 anni di reclusione per l’ex capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno. La posizione di Massimo Ciancimino (condannato a 8 anni per calunnia) è stata stralciata e sarà discussa in una apposita udienza, in programma il 16 aprile. Nelle precedenti udienze i legali di Ciancimino – Roberto D’Agostino e Claudia La barbera – avevano chiesto sentenza di non luogo a procedere «per intervenuta prescrizione, secondo i nostri calcoli, già prima della pronuncia della sentenza di primo grado».

