venerdì,Marzo 29 2024

Sette anni fa scompariva Maria Chindamo, il fratello Vincenzo: «Speriamo ancora ma è dura»

Dal 6 maggio 2016 si cerca il corpo dell’imprenditrice di Laureana di Borrello. I familiari chiedono verità e giustizia

Sette anni fa scompariva Maria Chindamo, il fratello Vincenzo: «Speriamo ancora ma è dura»

«Non perdiamo la speranza ma la situazione è davvero difficile. Lo scorso dicembre è mancata nostra madre, Pina. Se n’è andata senza sapere dove sia il corpo di sua figlia Maria, senza conoscere tutta la verità. Adesso restiamo noi ad aspettare. Restano i figli Federica, Vincenzo e Letizia.

Ci dà coraggio sapere che su quanto accadde il 6 maggio di sette anni fa, la Dda di Catanzaro continua a indagare. Non mollare la presa. Sappiamo che i procuratori Gratteri e Falvo non smetteranno. Anche cercare la verità su Maria, equivale a continuare ad alimentare il fuocherello del riscatto della Calabria».

Sono queste le parole di Vincenzo Chindamo, fratello di Maria. L’imprenditrice e commercialista quarantaquattrenne di Laureana di Borrello, è sparita nel nulla la mattina del 6 maggio del 2016. Da quel giorno nessuna notizia. Solo la sua auto ritrovata incustodita, delle macchie di sangue. E intanto la più terribile delle verità è in attesa di un corpo che ancora non è stato trovato.

Era davanti al cancello della sua tenuta agricola in contrada Carini, località Montalto di Limbadi, nel vibonese. Poi il nulla. Quel luogo ritorna ogni anno a rivivere quegli ultimi istanti, facendo risuonare un monito di speranza e il desiderio di giustizia e verità. Un sit-in in programma anche stamattina con lo slogan “Dalle Terre di Maria i Colori della Rinascita”.

Le indagini

Già da qualche anno è la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro guidata da Nicola Gratteri ad occuparsi di questa scomparsa. L’inchiesta era stata avviata dalla procura di Vibo Valentia.

«Ho più volte conferito con i procuratori Camillo Falvo e Nicola Gratteri, magistrati di grande spessore e impegno. Attraverso di loro – racconta il fratello di Maria, Vincenzo Chindamo – ho sempre dato il mio contributo alle indagini, riferendo fatti e circostanze. Le indagini non si fermano e questo è un punto di forza.

È chiaro che l’area della criminalità organizzata di Vibo parla e conosce dei fatti che riguardano Maria. Recentemente abbiamo anche saputo di questioni di confine che Salvatore Ascone, dirimpettaio dell’azienda di Maria, avrebbe dovuto definire con i Bellocco di Rosarno. Gli appezzamenti di terreno ricadenti nell’azienda di Maria sono tre. Unitamente a quello tristemente noto di Limbadi, anche altri due a Rosarno e a Laureana di Borrello. Terreni coltivati ad agrumi e kiwi che sarebbero entrati nelle mire del clan Mancuso, come in diverse indagini è emerso», racconta ancora Vincenzo Chindamo.

Una donna volitiva e scomoda

Maria non avrebbe venduto i suoi terreni al clan Mancuso e questa potrebbe essere stata la causa di tutto. «Volitiva e determinata», così la descrive il fratello Vincenzo. Non sorprende, purtroppo che una donna tanto libera e indipendente possa avere rappresentato un ostacolo rispetto a progetti illeciti di espansione e all’accaparramento. Certamente non avrebbe mai ceduto i suoi appezzamenti. E in questa direzione conducono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Antonio Cossidente ed Emanuele Mancuso. Maria Chindamo non voleva cedere i terreni e per questo sarebbe stata rapita e uccisa.

Una morte atroce

Così sarebbe stata uccisa, macinata con un trattore e data in pasto ai maiali per non lasciare traccia, secondo il collaboratore di giustizia Antonio Cossidente, ex boss del clan dei Basilischi, che direttamente da Emanuele Mancuso, dell’omonimo clan egemone a Limbadi e Nicotera e per un periodo suo compagno di cella, sarebbe stato messo al corrente di questi agghiaccianti dettagli sulla morte di Maria.

I pentiti e le ipotesi

Lo stesso collaboratore Cossidente collegherebbe la scomparsa di Maria Chindamo a Salvatore Ascone, detto Pinnolaro, la cui proprietà confinava con quella di Maria, sospettato di avere manomesso le telecamere che puntavano sul luogo in cui Maria fu aggredita e rapita. Avrebbe agito con la convinzione che poi le accuse per il delitto sarebbero ricadute sulla famiglia dell’ex marito di Maria, Ferdinando Punturiero, suicidatosi l’anno prima della scomparsa, per non avere retto alla separazione da Maria. Il suicidio dell’ex marito, i malumori della famiglia di lui e la scomparsa di Maria potrebbero nascondere un legame, al momento rimasto senza riscontri che sono al vaglio degli inquirenti.

La pista di una esecuzione mafiosa sarebbe coerente anche con quanto svelato da Andrea Mantella nell’ottobre del 2016 e il cui verbale è confluito lo scorso febbraio nell’inchiesta Olimpo della Dda di Catanzaro sui clan Mancuso di Limbadi e Nicotera. A parlare ad Andrea Mantella dell’imprenditrice di Laureana di Borrello sarebbe stato il boss Diego Mancuso durante una comune detenzione prima del rapimento. Gli aveva parlato della piantagione di Kiwi dell’azienda di Maria e del fatto che Pantaleone Mancuso, detto Vetrinetta”, li avesse puntati.

Due tragedie alle spalle e la speranza davanti

«Intanto vanno avanti con le loro forze, in miei nipoti, i tre figli di Maria. Io e mia moglie siamo al loro fianco ma per loro, dopo sette anni e una verità ancora negata, nessun altro sostegno. Per lo stato italiano Maria è scomparsa. La sua morte non è stata accertata. A oggi, con due tragedie alle spalle, il suicidio del padre e la scomparsa della mamma, non esistono alcuna verità e alcun giudicato che possano consentire ai miei nipoti di essere riconosciuti vittime e di essere supportati dallo Stato», spiega Vincenzo Chindamo.

Un dono a Maria e ai suoi figli

Di recente su nostra istanza, Goel Bio è stato nominato “curatore” dell’azienda di Maria dal tribunale di Palmi. Dell’azienda agricola che resta a nome di Maria, adesso si occupa Goel Bio, la cooperativa agricola e impresa sociale espressione di Goel – Gruppo Cooperativo e di Comunità Progetto Sud. «In questa fase di riavvio lo farà senza compenso, come un regalo a Maria e ai suoi figli. È la prima volta che a una cooperativa sociale viene affidata la curatela di un’azienda privata. Questo, inoltre, è un dono bellissimo a Maria, un luminoso segno di solidarietà e di speranza soprattutto per Federica, Vincenzo e Letizia», conclude il fratello di Maria Chindamo, Vincenzo.

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