A Roccella la lunga processione dei familiari per il riconoscimento delle vittime: la Diocesi sosterrà le spese per il rimpatrio delle salme
Circa 30 le persone arrivate da tutta Europa per le operazioni di identificazione dei corpi finora recuperati in mare. È la Caritas ad assisterli e a occuparsi dei costi di alloggio e trasferimento. Una sola famiglia ha chiesto al momento di riportare il proprio caro nel Paese d'origine
di Vincenzo Imperitura – A piccoli gruppi di due, tre persone per nucleo familiare, negli ultimi giorni, i familiari delle vittime arrivate a Roccella hanno affollato il piccolo ufficio ricavato in un container sulle banchine del porto, in cui vengono effettuati i tamponi per il prelievo volontario del Dna (necessario al riconoscimento dei cadaveri) e, almeno per qualche giorno, l’oratorio della piccola cittadina jonica messo a disposizione dalla Caritas diocesana. Un flusso costante e in continuo aumento di familiari e amici di chi si era imbarcato sul veliero affondato a 120 miglia dalla costa calabrese, che ha reso necessario, per ragioni di privacy e di tranquillità, il trasferimento dei parenti delle vittime presenti in città verso una struttura alberghiera della zona. Con i costi di alloggio, di trasferimento e di vitto, sempre a carico della stessa Caritas.
Sono una trentina finora le persone arrivate a Roccella con la speranza di rintracciare un loro parente tra gli undici sopravvissuti al naufragio, ma finora solo la piccola Nalina – la bimba di 10 anni di origine irachena ricoverata nell’ospedale di Locri – ha potuto riabbracciare una sua zia materna, arrivata qualche giorno fa a Roccella direttamente dalla Svezia. Per gli altri, il rituale segue sempre lo stesso copione triste: le foto mostrate agli agenti della polizia scientifica, l’attesa per il confronto con le immagini dei corpi recuperati dal mare e il prelievo del Dna per avere quelle certezze che il lungo tempo passato in acqua dai corpi potrebbe avere confuso.
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