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La musica vola leggiadra e lieve su una delle pagine più buie e tragiche dell’umanità: l’olocausto. L’infinita bellezza per tramutare quell’orrore in speranza. In occasione della Giornata della Memoria delle vittime delle Shoah, l’atrio di palazzo Alvaro, sede della città Metropolitana di Reggio Calabria ha fatto da cornice allo spettacolo Memorie.
Il progetto di Educazione al Teatro, diretto da Nick Mancuso e prodotto dal Centro Studi Quasimodo, collettivo Soleluna, richiamando fatti realmente accaduti durante la Seconda Guerra Mondiale e la persecuzione degli Ebrei, ha intrecciato testimonianze ed emozioni. Ad accompagnare le performance canore e teatrali di Enzo ed Alessandra Dè Liguoro, al piano Pier Paolo Levi, erede di una pregnante storia collettiva. Nel giorno della memoria, come nel resto dell’anno e tutti gli anni, egli esegue, restituendo loro vita e dignità, le musiche silenziate, come le persone, dal nazifascismo.
La musica, la storia e le storie
«La musica ha pagato tantissimo. Anche in Italia. Nel 1938, in forza delle leggi razziali, furono tantissimi i musicisti che non poterono più suonare i loro brani. Ad essere zittiti – ha sottolineato il pianista Pierpaolo Levi – grandi come Leone Sinigaglia e Renzo Massarani e ancora a Trieste Emilio Russi, compositore di grande prestigio, uno degli azionisti del liceo musicale che poi sarebbe diventato il conservatorio. Venne espropriato di tutto. Si nascose tra il ’43 e il ’45 in una piccola cittadina dell’Istria, a Pirano. La moglie raccontò che aveva sempre con sé una pillola di cianuro, data da un amico farmacista, ed era pronto ad assumerla per suicidarsi nel caso in cui fosse caduto nelle mani della Gestapo.
Fu zittita e silenziata anche la musica di grandi compositori ebrei, vittime dell’olocausto, come Viktor Ullmann, di cui abbiamo proposto il secondo tempo della Sonata n. 5, e di Erwin Schulhoff, di cui abbiamo proposto un piccolo Tango.
La musica va suonata innanzitutto perché, a mio modesto parere, è bellissima e appartiene a una cultura europea anche particolarmente sopraffina. La musica di Ullmann è veramente straordinaria, soprattutto le ultime tre Sonate composte ghetto di Terezin dov’era stato internato e dove io eseguito quegli stessi brani, provando un’emozione veramente unica. In particolar modo la settima Sonata è dedicata ai suoi figli, che erano scappati rifugiandosi a Londra. L’ha lasciata a loro in eredità ma con gioia e allegria e mai con disperazione e tristezza».
Far risuonare la musica come atto di giustizia
«Insieme al festival Viktor Ullmann di Trieste – ha raccontato il pianista Pierpaolo Levi – mi ero ripromesso di reperire queste musiche così belle e poco eseguite, ritenendo il loro recupero e la loro esecuzione una forma di riparazione. L’unica giustizia per il torto subito da questi grandi compositori è ridare vita a queste musiche, farle risuonare, perché questi compositori le avevano scritte perché venissero suonate. Così ho fatto, avviando delle ricerche e cercando in biblioteche e archivi dove nella maggior parte dei casi non erano mai in evidenza. C’erano ma ancora nascoste.
Questo il nostro impegno e non solo il 27 gennaio. Personalmente mi onoro di aver eseguito Ullmann in Malesia, in Thailandia, in Cina. Il prossimo anno lo porterò in Argentina e di questo sono veramente orgoglioso. Di Emilio Russi, sicuramente, e anche altri autori che triestini, in tempi moderni, credo di essere stato il primo a riproporle».
La Piccola e la Grande Storia
«Fortunatamente nessuno dei miei parenti stretti è stato deportato nei campi di concentramento. Sono riusciti a scappare chi rocambolescamente in Svizzera, chi si è nascosto in montagna, chi si è rifugiato in Veneto. Si sono ritrovati solo dopo, alla fine della guerra. Hanno però conosciuto – ha sottolineato ancora il pianista Pierpaolo Levi – la persecuzione, avendo subito le leggi razziali. Il mio papà ha fatto l’università a Grenoble perché non poteva iscriversi all’università a Trieste, in Italia.
I miei nonni dopo il ’43 e sono riusciti a fuggire in montagna, sull’Alpago a Belluno, e lì a nascondersi grazie all’aiuto e al coraggio di persone meravigliose che a rischio della loro vita li hanno aiutati, grazie ai Carabinieri che con spirito estremamente umano si sono messi in mezzo e hanno letteralmente salvato i miei nonni. La nostra casa a Trieste era stata occupata dalle SS, di cui era diventata sede. La casa è stata poi recuperata dai miei che però avevano perso letteralmente tutto».
La memoria e il perdono
«La memoria va coltivata ma occorre anche coltivare il perdono. Ricordiamo e allo stesso tempo in qualche modo poi lasciamo andare. Le musiche vanno suonate. Sempre. Perché sono belle e meritano di essere eseguite e ascoltate, non perché siano state concepite nei campi di concentramento o perché siano state scritte da persone che sono finite nei forni crematori, purtroppo. Sono una testimonianza di grande cultura e di grande bellezza». Così ha concluso il pianista Pierpaolo Levi.
La musica degenerata e le testimonianze dal ghetto di Varsavia
«Il nostro progetto – ha spiegato l’attore Enzo Dè Liguoro – si permea della profonda ricerca del maestro Levi sulle musiche degenerate e anche su tutto un repertorio che comunque è presente nella sua famiglia. Una ricchezza che noi abbiamo cercato di intrecciare con le interpretazioni ispirate alle testimonianze degli ebrei del ghetto di Varsavia, raccolte grazie alla sua famiglia e alla Comunità Ebraica che ce le ha messe a disposizione.
Tra i personaggi rievocati anche Slavoj Slavik, giovane attivista antifascista e amico di Mario La Cava che raccontò di lui nel romanzo “Una stagione a Siena”, e anche personaggi delle commedie di De Filippo. Questo spettacolo che gira da anni, per il momento si ferma. Adesso spazio sempre a quel contesto storico – ha annunciato l’attore Enzo Dè Liguoro – con Cinque cerchi, ispirato alle Olimpiadi del ’36, richiamando Luz Long, Jesse Owens e altri personaggi mitici, senza dimenticare la parte femminile di questa storia».
La forza della Memoria
«Dobbiamo coltivare la memoria ogni giorno. Non è un capitolo che possiamo chiudere né una tragedia che possiamo relegare al passato. Quelle atrocità – ha evidenziato il consigliere metropolitana con delega alla Cultura Filippo Quartuccio – sono e devono restare un monito per le generazioni future, affinché mai più l’odio l’intolleranza e la violenza possano prendere piede come allora avvenne.
Non solo ebrei ma anche disabili, omosessuali, prigionieri politici e altre minoranze persero la vita. Famiglie distrutte, sogni spezzati nel tentativo di cancellare un intero popolo.
Nonostante la brutalità, c’è una forza che non possiamo dimenticare. È la forza di chi è sopravvissuto e ha avuto il coraggio di raccontare e di testimoniare, affinché tutto ciò non fosse dimenticato. La memoria – ha concluso il consigliere metropolitana con delega alla Cultura Filippo Quartuccio – è la nostra arma contro l’oblio e contro ogni forma di negazionismo, di divisionismo e di indifferenza ed è nostra responsabilità difenderla con forza».
La giornata della Memoria
Il 27 gennaio 1945, 80 anni fa, le truppe dell’Armata Rossa liberarono il campo di concentramento di Auschwitz. L’Italia nel 2000, 25 anni fa, ha istituito in questa data la Giornata della Memoria. È giusto commemorare le vittime ma è altrettanto giusto conoscere e riconoscere, al di là facili autoassoluzioni, il contributo reso a quella persecuzione alla quale, anche dal nostro Paese attraverso le sue leggi razziali.
Quella scelta, cui si arrivò in Italia cinque anni prima della risoluzione delle Nazioni Unite del 2005, avvenne su proposta dell’intellettuale e giornalista di origini ebraiche e deputato del Pds, Furio Colombo, scomparso appena due settimane fa.