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«Quella di oggi è una seduta senza precedenti nella storia del regionalismo calabrese. Non soltanto per le dimissioni in sé — che pure possono essere un gesto di dignità, persino di nobiltà istituzionale — ma per il modo con cui lei ha scelto di annunciarle e per le (non) ragioni addotte.
Vede, dimettersi da una carica pubblica significa ammettere un fallimento, riconoscere un limite, accettare la responsabilità di non aver onorato fino in fondo il mandato ricevuto dal popolo.
Ma lei no. Lei ha scelto di trasformare questo momento in un’operazione di propaganda tanto clamorosa quanto vuota. Ha annunciato le dimissioni e, nello stesso istante, la sua ricandidatura.
Un paradosso politico e istituzionale senza precedenti, uno sfregio alla dignità delle istituzioni, alla serietà della democrazia».
È quanto afferma in Aula la consigliera regionale del Partito Democratico, Amalia Bruni, durante la riunione del Consiglio regionale.
«Mi approprio di parole non mie, perché non ne trovo di più efficaci: “Noi siamo quel che facciamo. Le intenzioni, specialmente se buone, e i rimorsi, specialmente se giusti, ognuno, dentro di sé, può giocarseli come vuole, fino alla disintegrazione, alla follia. Ma un fatto è un fatto: non ha contraddizioni, non ha ambiguità, non contiene il diverso e il contrario”.
Ma lei non parla di fatti. Dove sono i fatti? Perché si dimette, Presidente? Per colpa dei “gufi”? Per contrastare quelli che da trent’anni, a suo dire, non hanno fatto nulla per la Calabria? Ma non scherziamo.
Anche lei, Presidente, fa parte di quella lunga storia: consigliere comunale a Cosenza, dirigente della Democrazia Cristiana, consigliere regionale, parlamentare per quindici anni, presidente della Regione.
Da trent’anni è nella politica calabrese. Non può sottrarsi a quel bilancio. Non può dipingersi oggi come uno che viene da Marte».
«Noi non siamo affranti per le sue dimissioni. Tutt’altro. Se fossero funzionali al riconoscimento di un conclamato fallimento, saremmo lieti di accompagnarla all’uscita. Ci indigna l’uso personale che lei ha fatto della dialettica democratica, l’idea di piegare il dibattito istituzionale a un progetto esclusivamente individuale, che si muove — ancora una volta — sulle spalle dei calabresi.
Un colpo di teatro, non degno del ruolo che ricopre. E la verità è che lei sta scappando. Da cosa? Non lo dice. Ancora una volta, nessun fatto. Noi non confondiamo la politica con le vicende giudiziarie. La magistratura farà il suo corso, e lei — come ogni cittadino — è innocente fino a prova contraria.
Ma il nostro è un giudizio politico. E i fatti parlano chiaro». «Intercettazioni, discrezionalità, nomine pilotate, zone grigie: ciò che emerge in queste settimane non è il volto di un’amministrazione trasparente, ma l’immagine di un potere opaco, accentrato, autoreferenziale, talvolta piegato a interessi di sistema. La sanità è stata il crocevia dei fallimenti.
Lei è stato nominato commissario alla sanità ancora prima dell’insediamento del Consiglio regionale, il 4 novembre 2021. E ha avuto tutto: tre proroghe del Decreto Calabria, strumenti in deroga, personale dedicato, lo scudo penale, perfino un commissario del commissario per l’edilizia sanitaria. Mai la Calabria aveva avuto un commissario-presidente con così tanto potere e sostegno.
Eppure, la rete dell’emergenza-urgenza è peggiorata, mancano personale, mezzi, organizzazione. Sulle 61 Case di comunità previste dal PNRR, nessuna è stata attivata. La spesa, in alcune misure, non arriva al 10%. E tra dieci mesi, a giugno 2026, tutto dovrà essere completato e rendicontato. Sarà la più grande programmazione di incompiute della storia della Calabria.
Avete puntato tutto su Azienda Zero. E dopo quattro anni non è chiaro cosa faccia, cosa produca, a chi risponda. Avete destabilizzato il Dipartimento Salute, lasciandolo senza un dirigente generale e senza cinque dirigenti di settore. Le aziende sanitarie sono ancora governate da commissari, simbolo di precarietà e leva di discrezionalità. Perché non si dimette anche da Commissario? Sta di fatto conducendo la campagna elettorale in sella a una macchina mastodontica.
Questa seduta è l’atto finale di una stagione politica fallimentare. Una stagione fatta di propaganda social, vuoti monologhi, promesse tradite, fiducia impoverita.
E a chi pensa che basti dimettersi e ricandidarsi, diciamo con chiarezza: la Calabria non è il trampolino di nessuno. La Calabria è una terra ferita, che ha bisogno di verità, di cura, di futuro. E, soprattutto, di rispetto», ha concluso Amalia Bruni».

