Una vittoria dal sapore speciale, nata tra le difficoltà e costruita con determinazione. Nino Barillà, capitano e anima della Reggina, si presenta in sala stampa dopo il trionfo playoff contro la Scafatese. Lo fa da leader vero, senza retorica ma con il cuore in mano.

«Abbiamo iniziato questa stagione tra mille incognite, dopo Siracusa la piazza era giù, ma ci siamo guardati negli occhi e ci siamo detti che non era finita», racconta Barillà. «Lì è nato qualcosa. Abbiamo reagito, non abbiamo più perso e siamo arrivati a questa finale con la consapevolezza che eravamo un gruppo forte, trascinati da una città che non ci ha mai lasciato soli.»

Barillà si sofferma su due momenti chiave. Il primo, la sconfitta con il Siracusa: «Poteva abbatterci, ma è stata la spinta per reagire.» Il secondo, l’ultima giornata di campionato, quando «abbiamo mancato il primo obiettivo per un punto. Eppure non ci siamo abbattuti. Abbiamo continuato a crederci.»

Il legame con Reggio Calabria è il motore di tutto: «Giocare per la Reggina è diverso. È casa mia. Oggi i tifosi ci hanno sostenuto anche sullo 0-0, ci hanno alzati con la loro voce. Questo non succede ovunque. Questa gente ci merita nel calcio professionistico.»

Sul campo, anche nei momenti più duri, Barillà non ha mai fatto mancare la sua presenza: «Ho giocato anche quando non stavo bene, ma non è eroismo. È amore per questa maglia. Ho cercato di essere un punto di riferimento tra squadra, mister e società. Quando hai 30 ragazzi da tenere uniti, serve anche questo.»

E alla domanda se abbia mai temuto di non farcela, risponde con fermezza: «Paura? No. Dopo Siracusa, questa squadra ha mostrato di essere viva. Abbiamo giocato una partita vera contro un’ottima Scafatese, ma ci siamo meritati ogni istante di questa vittoria.»

Nino Barillà è stato il simbolo di un gruppo che non ha mollato mai, di una città che ha ritrovato l’orgoglio e il senso d’appartenenza. «Mi auguro che sia solo un nuovo inizio. Reggio merita di tornare dove è sempre stata». E guardando oggi il Granillo pieno, non è difficile crederci.