di Lorenzo Vazzana – C’è un tempio sullo Stretto, ma non ha mura, non ha porte, non ha confini. Si erge come un’eco di ciò che è stato, una rovina senza passato e senza macerie, un’architettura che vive nel respiro della città, nel mutare del giorno e della notte.

Tra le colonne leggere di “Opera” di Edoardo Tresoldi, lo spazio diventa sacro senza bisogno di essere chiuso, la materia si dissolve e lascia il posto all’essenza. Qui tutto è sospeso: il tempo, i passi lenti di chi attraversa questo non-luogo, le parole sussurrate che sembrano risuonare più forte tra le maglie di ferro e vento.

Qui tutto è e non è, presente e assente, visibile e invisibile. “Opera” è un frammento di infinito incastonato sulla costa, una finestra aperta sul futuro e sul passato, dove chiunque passi lascia una traccia che nessuno potrà mai vedere, ma che esisterà per sempre.