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C’è una linea notturna che unisce Bologna a Reggio Calabria. Passa per synth abrasivi, drum machine che picchiano dritte al petto e testi che sembrano scritti tra una sbornia e un ricordo. Si chiama Di Notte, ed è il nome di un duo che sta riscrivendo a modo suo le regole del post punk italiano. Sabato scorso hanno infiammato l’Undead, il club reggino dove la scena underground prova ancora a respirare.
Sul palco, Di Notte sono Luca e Domenico. Il primo viene da anni e dischi nel circuito Brit-rock, il secondo — reggino doc — si è buttato nella mischia per urgenza espressiva, voglia di dire, fare, spaccare. Il loro set è stato crudo, diretto, senza fronzoli. Un concentrato di rabbia malinconica, melodia industriale, ma con l’accento sul vissuto, su quell’umanità che puoi solo raccontare se l’hai passata sulla pelle.
Il progetto nasce “per gioco”, raccontano, in una notte qualunque al Covo di Bologna. «Eravamo belli carichi», dice Luca, «c’era un DJ set di amici nostri, e lì è scattata la scintilla». Ma dietro quella leggerezza c’è un’idea precisa, che affonda le radici nel cinema di Antonioni — La notte è la fonte del nome — e cresce tra prove, viaggi e incontri.
«Ogni concerto è un modo per conoscersi meglio, anche per litigare, ma in faccia», dice Domenico. «Poi magari lo buttiamo in una canzone». La scrittura è tutta sua, istintiva, sporcata di esperienze condivise: «Un viaggio in Galles, una serata ubriachi, un articolo su Tuttosport che ci ha fatto incontrare Casiraghi… Tutto finisce dentro un testo».
Il loro nuovo singolo Deserto uscirà a giugno, e promette di essere «un piccolo gioiello», come lo definiscono loro. Intanto la scena se ne accorge. Rumore li ha già notati. Le date si moltiplicano. «Abbiamo suonato a Bologna, Modena, Milano… e ora Reggio. Quando vedi che la gente canta le tue canzoni, capisci che qualcosa sta succedendo».
La performance reggina è stata speciale anche per questo: un ritorno a casa per Domenico. «Quasi in famiglia. È come se fosse la prima volta, anche se non lo è. Ma l’emozione è quella». In prima fila, il padre. Intorno, gli amici di una vita, sconosciuti, gente incuriosita. E lui sul palco, a sudare parole, senza filtri.
«La musica è anche fatica, eh. Lavoriamo entrambi, ci produciamo da soli, facciamo i social, i contenuti, tutto. Ma vedere la risposta, l’attenzione, ti ripaga», dice Luca. E poi c’è l’ambizione, senza arroganza: «Vogliamo spingere all’estero, sì. Ma intanto suonare qui, in locali piccoli dove devi spaccare per forza, è la vera prova».
Il club che li ha ospitati sabato — e che da anni lavora per tenere viva la scena alternativa — è curato da Daniele Giustra, figura chiave della ricerca musicale in città. Il suo è un lavoro sotterraneo e ostinato, che continua a dare spazio a proposte non scontate, libere, vere. Di Notte è stata solo l’ultima scintilla.
E Reggio, forse, ha bisogno proprio di questo: di musica vera, che viene da sotto e arriva dritta al cuore. Daniele Giustra lo sa. Il pubblico lo sa. E adesso lo sa anche chi sabato sera, senza sapere bene cosa aspettarsi, ha visto due cartoline chiamate Di Notte accendersi e fare luce.