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Fatti e opinioni. Realtà e convinzioni. Diritto alla Verità e bisogno di certezze. Torna in scena, come in ogni guerra che l’umanità non sia stata in grado di risparmiare agli innocenti e alla Storia, il sipario vergognoso di una politica inerte che non fa quello che dovrebbe e dice solo quello che le conviene, che tollera, si auto assolve, non esponendosi o inventando o strumentalizzando nemici per creare consenso a qualunque prezzo. Una politica inerte è complice. E mentre i giornalisti restano uccisi sotto le bombe e le ong sono sempre più in pericolo a Gaza, i familiari degli ostaggi vivono nell’angoscia, un altro genocidio (in cui chi è stato in passato vittima oggi si sente legittimato a diventare carnefice) viene negato e non solo da chi lo perpetra.
La verità negata o “ridimensionata” dalla politica
E il massacro continuerà fino a quando il premier israeliano Benyamin Netanyahu non finirà «il lavoro». Egli lo ha dichiarato in sede Onu qualche giorno fa, dinanzi a un’aula disertata da molti rappresenti di governo, negando, tra i fischi, il genocidio in atto e la fame del popolo di Gaza, isolata da tempo, da prima del 7 ottobre 2023.
Un «lavoro» che consiste nell’occupare, violando ancora una volta gli accordi del 1948, tutti i Territori palestinesi, pretendendo con la forza e con la violenza di relegare il popolo della striscia di Gaza che ancora la abita (oltre 1 milione e mezzo di persone) in un fazzoletto di terra sempre più ristretto, affamandolo e costringendolo così all’esilio. Con l’86% della Striscia occupata, è il punto più affollato e pericoloso della Terra.
L’assedio di Gaza city
Gaza City è ridotta in macerie. Palestinesi in esodo con la paura che, questa volta non sarà possibile tornare. E intanto l’avamposto umanitario di Medici senza Frontiere è «costretto a sospendere le attività mediche a causa dell’incessante offensiva israeliana. L’intensificarsi degli attacchi delle forze israeliane, a meno di un chilometro dalle strutture, ha creato un livello di rischio inaccettabile per il personale Msf». Tutto ciò mentre il premier israeliano Benyamin Netanyahu racconta al mondo di condurre, nell’interesse universale, una crociata contro i terroristi palestinesi di Hamas.
Ma Gaza non è Hamas. La Palestina non è Hamas e non è una sorpresa per il mondo. Dal 7 ottobre 2023 la situazione è solo degenerata, oltre ogni alibi di proporzionalità. Un ignobile tentativo di auto legittimazione a uccidere innocenti, al pari degli avvisi alla popolazione prima sganciare le bombe sui bambini in fila per il cibo e sugli ospedali. Ciò che il Governo di Israele ha messo in atto è una vasta operazione militare con bombardamenti. Un assedio che sta causando una catastrofe umanitaria gravissima con il solo scopo di cancellare l’esistenza di un popolo da quei territori. Sotto gli occhi di tutti.
Secondo l’Onu è genocidio
La Commissione di inchiesta indipendente sui Territori palestinesi occupati, istituita dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite nel 2021, lo scorso 16 settembre ha definito quando sta accadendo a Gaza un genocidio, dunque un crimine contro l’umanità.
Eppure continueranno a morire innocenti senza che alcun Governo abbia il coraggio di smentire Hannah Arendt quando, molto prima che si parlasse di post-verità, già consacrava la verità come nemica della politica e la sincerità quale grande assente tra le virtù di chi la esercita. Continueranno a morire innocenti senza che alcun governo (compreso quello italiano) abbia il coraggio di andare fino in fondo, elevando sanzioni o compromettendo i rapporti con Israele per dare un segnale chiaro di disapprovazione assoluta delle continue e violente aggressioni militari alla popolazione inerme di Gaza. Solo il governo spagnolo sta dimostrando coraggio.
La guerra infinita
Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la liberazione dei campi da parte dell’Armata Rossa e degli Alleati, il falcidiato popolo ebraico fu destinato alla Terra tanto Santa quanto travagliata in Medioriente. Era il 1948. Un destino tormentato fu, soprattutto, quello della Striscia di Gaza.
Dalla risoluzione Onu del 1948 mai rispettata, passando per la Guerra dei sei giorni nel giugno del 1967, le due intifade, gli accordi di Oslo del 1994 e l’Inverno caldo con l’operazione Piombo fuso delle forse di difesa Israeliane nel 2008.
Sulla striscia di Gaza oggi si consuma un nuovo terribile capitolo di un conflitto esacerbato, il 7 ottobre 2023 quando Hamas sferrò il suo feroce e brutale attacco a Israele. Un attacco che preparava da due anni. Un orrore perpetrato da Hamas che si accanì addirittura contro neonati e bambini nel kibbutz di Kfar Aza, sprofondando, e facendo sprofondare il mondo, in un abisso dell’inenarrabile. Ma, invece, bisogna narrarlo e avere il coraggio di confrontarsi, senza perdere altro tempo, con questo nuovo orrore di cui Israele, nel reagire, si è macchiato.
Morte, distruzione, riduzione degli spazi vitali
Muoiono bambini a Gaza. Muoiono persone che non possono difendersi a Gaza. Nella Striscia, centinaia di migliaia di persone sono in movimento. Quasi il 90% del territorio è zona militare. 1 milione di sfollati vivono ormai in solo il 15% del territorio di Gaza, e le condizioni di vita sono aggravate dal fatto che quasi il 90% dei sistemi idrici e igienico-sanitari è stato distrutto. Non c’è accesso al cibo e alla cure sanitarie.
Secondo i dati delle Nazioni Unite, oggi lo spazio abitativo disponibile a persona è di soli 0.5 metri quadrati, ben al di sotto dei 3.5 metri quadrati previsti dagli standard umanitari minimi per un riparo adeguato. 65.000 palestinesi sono stati uccisi. 20 mila erano bambini. Ciò solo dal 7 ottobre 2023 e almeno 132 mila minori sotto i 5 anni a rischio morte per malnutrizione acuta. Questi sono i fatti. Questa è la realtà. Questa la verità che priva di fondamento ogni nostra certezza di futuro. Una verità terribile insostenibile, con la quale non si vuole fare i conti. Una verità che mina la nostra umanità, la cancella.
Il ruolo essenziale delle Ong per tracciare il confine tra le verità e propaganda
A denunciare tutto questo sono le organizzazioni non governative, Medici Senza Frontiere, Save The Children Emergency, Amnesty International, Oxfam. Non è la politica dei governi che invece alimenta irresponsabilmente opinioni “illegittime” perché non basate su fatti ma su mera propaganda, che spinge verso la necessità di certezze piuttosto che verso la ricerca della verità. Che rassicura e nutre la ragione a scapito della coscienza.
Un meccanismo che sfuma pericolosamente i confini tra il vero e il falso, che propende a defattualizzare, a relativizzare e così a intorpidire e neutralizzare l’impeto invece vitale e necessario delle coscienze.
Una necessità di certezza che edulcora la realtà, la rende emotivamente più sopportabile, più tollerabile, specie quando la verità è scomoda, sporca e compromettente. In questo caso ignobile. E invece quella verità deve essere cercata, indagata e capita. Deve essere reagita.
Un popolo ancora senza Stato
Il dissenso si leva attraverso le mobilitazioni di questi ultimi mesi che hanno visto scendere in piazza, anche a Cosenza a Reggio e nelle altre città calabresi, come accadrà ancora nelle prossime settimane, le comunità per sventolare le bandiere di un paese che, nonostante il conflitto arabo-israeliano abbia radici antiche anche precedenti agli accordi del 1948 e nonostante l’assedio di Gaza sia degenerato dal 7 ottobre 2023 ma sia di molto precedente, ancora cerca un riconoscimento come Stato.
Il 23 settembre 2025, 157 dei 193 stati membri delle Nazioni Unite hanno riconosciuto lo Stato della Palestina. Trump lo bolla come in regalo ad Hamas e Netanyahu non lascia, a oggi, alcuno spiraglio.
L’Italia, per voce della presidente del Consiglio dei Ministri Giorgia Meloni, pone le due condizioni della liberazione e degli ostaggi e di Hamas fuori dallo Stato. Ma perché si arriva a chiederlo solo oggi? Perché il popolo palestinese non ha ancora il suo Stato?
L’ostinazione della Flotilla per un sussulto di coscienza

Nel disagio, nel dolore, nell’indignazione che una verità ignobile causa bisogna restarci e trovare la via per mettere in luce ciò che è intollerabile e provare a innescare il cambiamento, smuovendo le coscienze e sfidando questa politica come stanno facendo la Global Sumud Flotilla, la Freedom Flotilla Italia e i numerosi attivisti anche italiani, tra cui i reggini Nando Primerano e Dario Liotta, che stanno via mare portando aiuti umanitari a Gaza.
Stanno testimoniando che esiste un mondo, quello delle piazze e della gente che misura la sua coscienza con la storia e, non temendo la verità, sulla storia basa le proprie opinioni e le proprie azioni. Un mondo che traccia e apre la strada giusta alla politica finora infedele alla verità. Denuncia gli orrori e le ingiustizie e, pur sapendo che la realtà terribile dei fatti può essere cambiata solo dai governi, non è complice di quell’orrore, non tace, non tollera, leva la sua voce, il suo forte dissenso rispetto alla disumanità di quanto sta accadendo.
Esiste un mondo che non ci sta, che persevera e che, pur ammettendo la mediazione come strada e pur essendo consapevole delle minacce di Israele, non accetta che i governi, compreso quello Italiano seppure con i toni equilibrati del nostro presidente Matterella, lo distolgano alla missione di solidarietà che la loro imbarazzante inerzia ha reso necessaria e urgente.
Dalla parte della verità e dentro la storia
Un gesto di straordinaria valenza simbolica che sfida la narrazione distorta di una verità invece terribile che non può essere più taciuta. Un gesto necessario che testimonia quando le comunità non siano più disposte ad accontentarsi delle certezze ma vogliamo stare nella verità e dentro la storia e reagire.
Una missione che ha portato la striscia di Gaza, confinante con Israele e con l’Egitto, rivendicata dai palestinesi con la Cisgiordania e Gerusalemme est, zona calda in Medioriente da decenni, e il suo popolo martoriato finalmente e meritatamente al centro dell’attenzione mondiale con il suo diritto di autodeterminazione nei suoi territori e la sua legittima aspirazione alla vita e alla libertà.