La piazza c’era ma non era quella che la memoria di Nicola Calipari avrebbe meritato. Pur riconoscendo al pubblico rimasto fino all’una di notte (nonostante da programma la proiezione avesse dovuto costituire il cuore della serata e avere luogo invece alle 21) il merito di avere compreso che la presenza era dovuta a lui e ben oltre la proiezione del bellissimo film sulla sua storia, resta intorno un silenzio assordante delle Istituzioni di cui Nicola Calipari era autorevole espressione.

In loro nome si spese per compiere atti che per lui restarono dettati innanzitutto dalla coscienza come quello di salvare la vita di italiani sequestrati in zone di guerra. In loro nome compì il sacrificio estremo della propria vita per salvare quella di un’altra persona, che lo stesso governo italiano aveva messo nelle sue mani. Mani che prontamente lui aveva aperto per accogliere quell’ennesima rischiosa ma necessaria missione.

Resta la consapevolezza di una comunità che a Reggio Calabria tanto deve ancora fare per recuperare ed esercitare attivamene questa memoria. Deve iniziare a coltivarla, testimoniando ai familiari di Nicola, alla moglie Rosa e ai figli Silvia e Filippo, ai parenti che ieri c’erano seppure scegliendo di vivere il momento in riservatezza, che questa terra dove Nicola Calipari è nato e cresciuto, li abbraccia, li vuole con sé, li aspetta.

Prima proiezione a Reggio

La prima proiezione nella città natale di Nicola Calipari del film Il Nibbio, a conclusione del Reggio Calabria Film Fest, avrebbe potuto rappresentare quell’omaggio non reso nel recente ventesimo anniversario dello scorso 4 marzo, passato dal punto di vista istituzionale e collettivo del tutto inosservato. Non lo è stato. Ma è stata comunque una serata, per il pubblico che ha sfidato l’ora tarda e che ha partecipato emotivamente a questa vicenda che è collettiva, in cui la storia di Nicola Calipari ha iniziato ad avere voce anche qui, nella terra di quel Nibbio, non caso il titolo del film, che vola nei cieli dell’Aspromonte dove era stato scout. Il rapace che aveva scelto come suo nome di battaglia.

La storia

Nicola Calipari, poliziotto, militare e agente dei servizi segreti italiani, uomo del dialogo, era nato a Reggio Calabria nel 1953. Morì a Baghdad nell’esercizio delle sue funzioni il 4 marzo 2005. Stava riportando in Italia Giuliana Sgrena, la giornalista del Manifesto tenuta prigioniera per un mese perchè ritenuta una spia e che lui dopo contatti e trattative riservatissime, aveva liberato.
Ciò accadeva in un Iraq da due anni teatro di una guerra iniziata con l’invasione da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti d’America per arginare la pericolosa dittatura di estrazione Sciita di Saddam Hussein.

La vicenda della sua morte è ancora oggi controversa. Come controverso è quell’epilogo tragico sul quale neppure le relazioni della commissione parlamentare di inchiesta istituita dopo la sua morte hanno trovato una convergenza. Ma resta umanamente luminosa, l’integrità di un uomo che ha sempre agito per proteggere la vita di chi era in pericolo, nel rispetto di tutte le parti in causa con le quali ha instancabilmente dialogato, senza giudicare ma operando con l’unico obiettivo di proteggere e preservare chi fosse in ostaggio.

Il Nibbio

Determinazione e dolcezza, competenza e sensibilità, forza e mitezza hanno convissuto nell’agente straordinario e nel padre e marito amorevole che è stato. Ne dà atto il ritratto di straordinaria potenza e valenza umana che è il film diretto dal giovane e talentuoso regista Alessandro Tonda e interpretato da un magistrale Claudio Santamaria, entrambi già vincitori del Globo d’oro 2025, presenti ieri sera ma in collegamento. A incontrare il pubblico reggino in piazza De Nava, in occasione di questa prima, il produttore anche lui calabrese Francesco Scavelli e l’attore Andrea Giannini, interprete del ruolo di Omero, il braccio destro di Nicola Calipari.
Un tributo necessario, doveroso. Un film potente, vero e commovente, finalmente arrivato in Calabria. Una storia importante, urgente, oggi più che mai da conoscere da raccontare.

Incontro alla guerra con strumenti di pace

Nicola Calipari andava incontro alla guerra con gli strumenti di pace della mediazione, dell’ascolto, del dialogo. Un uomo di Stato per il quale la parola data alle persone alle quali chiedeva supporto, con le quali trattava, senza giudizio ma con l’ascolto delle ragioni dalle quali anche la causa più violenta muove i suoi passi, aveva guidato sempre ogni sua scelta. Dare voce in Italia e in Europa alla minoranza dei Sunniti del regime caduto di Saddam poi estromessi dagli americani e che avevano in mano la resistenza armata in Iraq, era stata la chiave per mediare e salvare Giuliana Sgrena. Un’analisi politica arguta e lucida, che la trasposizione cinematografica contribuisce a spiegare, necessaria per capire le ragioni dell’altro e trattare per salvare una vita. E forse non solo una vita.

Una grande lezione che oggi si mostra in tutta la sua attualità alla luce oscura del massacro in atto a Gaza e della guerra russo-ucraina nel cuore dell’Europa. Analizzare cosa accade e trovare la via per proteggere il bene supremo della vita oltre ogni interesse ma senza cedere o concedere nulla alla violenza.

Senza indulgere, trovare la via del dialogo

È sottile il filo di questo equilibrio e il film di Alessandro Tonda ha il merito di renderlo con grande efficacia. Un equilibrio sempre delicatissimo in cui la sola bussola per Calipari fu la coscienza. Preziosa fu la sua capacità di arrivare al cuore della questione che esiste anche quando muove frange estreme verso gli atti più deprecabili. Atti mai giustificabili ma vissuti come necessari per i popoli esclusi dalla loro storia. E anche dinnanzi a questi, senza indulgere, trovare la via per non generare altra violenza. Una questione di tragica attualità.

Trattava senza piegarsi, otteneva senza prevaricare. Fu un uomo delle Istituzioni che seppe incarnare la ragion di Stato con coscienza e umanità, senza dimenticare quanto debba essere solo e unicamente lo spirito di servizio, e non altro, a sorreggerla. Un modo di essere e di operare che si trovò a rivendicare e a difendere con determinazione anche da chi lavorava con lui. Un esempio fulgido e raro in un Paese che in cui sono ancora tanti gli angoli della storia, lasciati al buio e senza verità.

Un uomo capace di costruire fiducia, che aveva scelto di essere fedele alla sua coscienza civile, alta e irreprensibile. Questo ha fatto di lui un uomo coraggioso che il nostro Paese e il Sismi hanno avuto la fortuna di avere tra i suoi agenti migliori e noi tra i nostri concittadini di cui essere fieri e orgogliosi.

La promessa

Un’opera di mediazione per riportare a casa Giuliana Sgrena (interpretata da Sonia Bergamasco) sana e salva che si rivelò vincente se non fosse stato per quel fuoco amico, esploso mentre la macchina sulla quale viaggiavano Nicola Calipari e Giuliana Sgrena si dirigeva verso l’aeroporto. L’aveva appena salvata e aveva voluto restarle accanto sul sedile posteriore per continuare a rassicurarla. Le diceva che era finalmente libera e che stava tornando in Italia dai suoi affetti, dai suoi colleghi che lui aveva conosciuto e ai quali aveva promesso la stessa fedeltà alla missione che aveva promesso al Sismi e al governo Italiano. C’è forse ragion di Stato più nobile di quella che non perde il lume dell’umanità?

Fu così che la salvò, una seconda volta. Quando accanto a lei, le fece da scudo al momento del fuoco. Un fuoco amico ma spietato che a lui non lasciò scampo. Lo aveva promesso. Aveva dato la sua parola. L’avrebbe protetta. Lo aveva promesso alle persone e, dunque, allo Stato.