La storia di una ribellione estrema: Giuseppe Zangara, l’anarchico di Ferruzzano che tentò di uccidere il presidente Roosevelt
Fu giustiziato sulla sedia elettrica in Florida nel 1933. Aveva solo trentatré anni e da poco più di 10 era emigrato negli Stati Uniti. Non negò mai il suo intento di uccidere. Il suo era un attacco al simbolo degli Stati Uniti e del Capitalismo che stritolava i poveri e gli ultimi

Le origini umili nel comune calabrese di Ferruzzano, nel reggino, dove nacque il 7 settembre del 1900. Giuseppe Zangara del Novecento conobbe le profonde ingiustizie sociali in Calabria come oltreoceano, abbracciando così la fede anarchica.
Dopo un’infanzia e un’adolescenza in cui l’unica grammatica a lui accessibile fu quella della fatica, della mancanza, degli stenti materiali e affettivi, l’Italia si accorse di lui per chiamarlo alle armi sul Carso, durante la Prima Guerra Mondiale. Sopravvisse ma all’età di 21 anni emigrò (anche lui) negli Stati Uniti, nel New Jersey, da una Calabria povera e allo stremo.
Di statura bassa, esile, andò incontro a problemi di salute per i lavori di fatica eseguiti fin da bambino già nella fattoria paterna in Calabria. Una fatica da cui non ci fu modo di affrancarsi. Negli Stati Uniti lavorò come muratore. La cittadinanza americana, il suo nome Joe, piuttosto che Giuseppe, non bastarono a garantirgli il riscatto dalla miseria che lo aveva fatto emigrare dalla Calabria.
L’attentato al presidente Roosevelt
Il suo destino di immigrato italiano negli Stati Uniti si compì in modo tragico il 15 febbraio del 1933, al Bayfront Park di Miami, quando tentò di uccidere il presidente Franklyn Delano Roosevelt. Con la revolver calibro 32 comprata al banco dei pegni, mancò il bersaglio, ferendo però altre cinque persone. Una di loro, il sindaco di Chicago Anthon J. Cermak, mori qualche settimana dopo, aggravando il quadro indiziario di Joe Zangara che fu condannato a morte, nonostante non fosse stato appurato se la morte di Anthon J. Cermak fosse da attribuire ad errori medici successivi al ferimento. Joe Zangara era un anarchico, immigrato, povero e aveva attentato alla vita del presidente.
Non era innocente – e infatti mai si era proclamato tale – Joe Zangara come lo erano stati invece Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, anche loro emigranti italiani, anarchici e per questo perseguitati, anche loro giustiziati sulla sedia elettrica qualche anno prima, il 23 agosto 1927 a Charleston. Condannato per omicidio, Giuseppe Joe Zangara morì sulla sedia elettrica il 20 marzo del 1933 nella Florida State Prison, a Raiford. Aveva trentatré anni. Morì per sentenza dopo avere causato la morte di un uomo. Morì nel tentativo estremo di innescare un cambiamento.
Un contesto tormentato e gravido di tensioni, persecuzioni, ingiustizie sociali, angherie e profonde discriminazioni basate sulle origini, sulla provenienza, sulle idee, sul credo politico, specie se quel credo era anarchico. Questo fu il destino di molti emigrati anche calabresi negli Stati Uniti.
Gioacchino Criaco: «Tutta la sua vita era stata una mancanza»
«Il profumo delle ginestre a primavera, l’odore del mosto che dopo la vendemmia faceva le bolle dentro i tini, le grida felici della mietitura. Tutta la sua vita era stata una mancanza, sua madre l’aveva mollato per il cielo che aveva solo due anni e lui quel cielo perennemente azzurro l’aveva sempre odiato. La scuola l’aveva mollato, mandandolo nei campi dopo i primi due mesi. E gli erano mancati solo pochi centimetri con i quali si sarebbe aggiustato la mira e avrebbe vendicato gli oppressi del mondo. E dopo trentatré anni l’avrebbe mollato la vita, e lui il supplizio della sedia elettrica lo voleva affrontare con più gioia di Nostro Signore. Non aveva paura di morire, solo non gli andava giù di farlo senza un giornalista che raccontasse del suo coraggio, per questo incitava il boia a fare in fretta. E non gli andava giù di averlo fallito il suo obiettivo», scriveva nel 2019 sul Riformista lo scrittore originario di Africo, Gioacchino Criaco.
Una causa giusta, perseguita in modo ingiusto
Joe Zangara aveva subito anche il sospetto di essere un sicario della malavita. Invece lui non negò mai il suo intento di uccidere il presidente, in quanto simbolo degli Stati Uniti e di un Capitalismo che stritolava le persone senza mezzi, impedendo loro una vita dignitosa e qualsiasi forma di ascensore sociale e di meritato riscatto. Una causa giusta, perseguita in modo ingiusto. Una causa giusta che fu lasciato solo a perseguire.
Non nascose mai i suoi intenti e andò incontro a quella giustizia “illuminata” che punì quel delitto contro lo Stato con un delitto di Stato. Una “giustizia” che ancora oggi punisce l’uccisione di una persona con un’uccisione di Stato, applicando la pena di morte. Negli Stati Uniti, secondo il rapporto 2024 di Amnesty International, il totale annuale delle condanne a morte e delle esecuzioni è stato il più alto rispettivamente dal 2019 e dal 2018, pur riflettendo tendenze storicamente basse. Le esecuzioni nel 2023 sono state 24 e quasi 2200 sono le persone detenuti nel braccio della morte.
Una storia di ribellione estrema
Lungi dal tesserne le lodi di eroe o dal voler giustificare l’azione criminale di Giuseppe Zangara, il volume “Muori cornuto. Giuseppe Zanagara, l’uomo che tentò di uccidere il presidente Roosevelt” (Luigi Pellegrini 2019), scritto da due calabresi, il giornalista Arcangelo Badolati e l’attore Peppino Mazzotta, presentato anche a Reggio nel 2020 nell’ambito dei caffè letterari del Rhegium Julii, consegna al nostro tempo uno spaccato della Storia della Calabria e dell’Italia negli Stati Uniti all’inizio del secolo ormai scorso. Un intreccio tra narrazione e teatro che non lascia indietro neppure la lingua dialettale.
Il paese
Giuseppe Zangara non tornò più in Calabria. La sua vita si fermò a 33 anni, come gli anni di Cristo. Ma lui era colpevole seppure aveva inseguito l’ideale di una società più umana e senza ultimi. Non tornò più in Calabria ma la Calabria non si separò mai da lui. «Un pugno di case aggrappate alla collina che guarda al mar Ionio luminoso e profondo. È un mare antico, solcato prima dai Fenici e poi dai Greci, raccontato da Omero e immaginato da Virgilio. La costa, invece, arsa dal sole e abbeverata da torrenti e fiumare, secchi d’estate e gonfi d’inverno, è un impasto di colori cangianti. Al verde broccato della primavera s’oppongono il biondo bruciato d’agosto e il marrongrigio di cui si vestono l’autunno e l’inverno. Ferruzzano vive di agricoltura e pastorizia, sorge lontano dalle città più grandi e conserva il fascino segreto delle comunità piccole e isolate (…) Il vento batte scostante e furioso nei giorni di burrasca (…). È una lotta spaventosa che può andare avanti per ore, una sfida che la Natura muove agli uomini per saggiarne la forza e la resistenza». Si apre così il volume “Muori cornuto. Giuseppe Zanagara, l’uomo che tentò di uccidere il presidente Roosevelt”, con la descrizione del “Paese” e si chiude invocando l’Italia.
Per tutti i poveri del mondo
«Se ai soldi facciamo fare una bella fiammata, bella, grossa e liberativa, cambia tutto. Cambia il mondo! Mio padre mi massacrava di botte perché era povero… e la fame gli aveva dato alla testa. Io ho preso bastonate tutta la vita e per anni non mi sono lamentato. Pensavo che me le meritavo e più me ne davano più me ne aspettavo. Poi, però, ho capito. Ho capito che io sono uno e voi siete tanti. Ma questo non vuol dire che avete ragione (….). Arrivederci a tutti i poveri del mondo. Viva l’Italia!».
E in mezzo a queste sue parole, il racconto di una storia di ribellione mai barattata con la paura, sorretta da una coscienza sempre alla ricerca esasperata di un cambiamento affinché il grano fosse coltivato per fare il pane e non bruciato per fare soldi.
- Tags
- reggio calabria