giovedì,Giugno 19 2025

Matteo Gallello: «Il vino è uno strumento multidisciplinare per raccontare la Calabria»

Matteo Gallello, protagonista di un ciclo di seminari all’Enoteca Culturale di Alta Fiumara insieme allo chef Antonio Battaglia

Matteo Gallello: «Il vino è uno strumento multidisciplinare per raccontare la Calabria»

In un panorama enogastronomico sempre più ricco di voci, quella di Matteo Gallello si distingue per profondità, rigore e passione. Giornalista e scrittore, Gallello sa raccontare il vino e il cibo non solo come piaceri della tavola, ma come espressioni culturali, sociali e territoriali.

In questa lunga intervista ci accompagna in un viaggio che sta facendo, in compagnia dello chef Antonio Battaglia, in cui ritroviamo il valore della sostenibilità e l’importanza di una narrazione autentica e consapevole. La scelta, dell’enoteca culturale di AltaFiumara, infatti, è stata fin da subito valorizzare e dare ‘voce’ solo ai vini calabresi.

Qual è stata la tua prima esperienza con i vini calabresi e cosa ti ha colpito di più?

«Sono sempre stato interessato al lavoro della campagna e della vigna in particolare. I miei nonni facevano il vino per casa, e dunque le prime esperienze di “assaggio” avvenivano proprio a tavola. La passione per la geografia e l’antropologia ha fatto il resto: aver preso coscienza, oltre 20 anni fa, delle tante differenze tra vini e territori è stata una scoperta illuminante che ancora oggi coltivo.»

Quali sono, secondo te, i vitigni autoctoni calabresi più sottovalutati e perché?

«Un paio di lustri fa avrei detto il mantonico, ma negli ultimi anni molti ne hanno compreso la statura. Direi che è ancora possibile esplorare ampiamente il magliocco canino, una varietà dalle peculiarità davvero magnifiche: tensione, duttilità, propensione all’invecchiamento.»

Come si sta evolvendo la percezione del vino calabrese a livello nazionale e internazionale?

«La credibilità del vino calabrese è cresciuta molto, inequivocabilmente. Merito delle nuove generazioni di vignaioli e delle aziende, di quel che è scaturito dalla ricerca sui vitigni, dall’adeguata interpretazione dei terroir e dalla sensibilità nei confronti dell’ambiente.»

Come è nata la tua collaborazione con il Polo Culturale AltaFiumara?

«Un vignaiolo FIVI, Cataldo Calabretta, ha fatto da tramite con lo chef Antonio Battaglia. Abbiamo concordato un lungo e profondo seminario sul vino calabrese, iniziato a gennaio e che terminerà a giugno 2025.»

Quali iniziative avete organizzato per valorizzare i vini calabresi?

«Dieci incontri in cui approfondiamo tematiche peculiari: dai ceppi secolari ai vini da vigne a ridosso del mare, passando per confronti tra magliocco e gaglioppo con altri grandi rossi mediterranei.»

Quanto è importante raccontare il territorio attraverso il vino?

«Non solo importante: il vino è uno strumento coinvolgente e multidisciplinare, capace di percorrere e testimoniare il tempo e lo spazio come pochi altri.»

L’esperienza più significativa che stai vivendo in questo contesto?

«La sensibilità dei partecipanti, desiderosi di conoscere ciò che hanno “dietro casa” e di riconoscerne la bellezza per potergli dare valore e cura.»

Che prospettive vedi per il vino calabrese e quale contributo può dare l’Enoteca Culturale di AltaFiumara?

«Se i calabresi imparano a conoscere e rispettare il proprio patrimonio culturale, ambientale e paesaggistico, il vino avrà un futuro positivo. L’Enoteca si sta ponendo come punto nevralgico di conoscenza e confronto: se continuerà così, sarà fondamentale per la crescita del comparto.»

Il mercato considera ancora i vini calabresi di nicchia. Come uscirne senza snaturarsi?

«Essere “di nicchia” non è un male. L’aumento della qualità media, anche dei vini base, è la via giusta. C’è molto da esplorare nelle aree interne, da recuperare nelle vigne storiche. Diversificare e custodire il paesaggio è un investimento per il futuro.»

In che modo l’enogastronomia racconta l’identità calabrese?

«Cibo e vino sono parte della storia di un luogo. Non vanno svuotati di significato con narrazioni superficiali o con interessi economici spropositati. Anche i social, se ben usati, possono sostenere una narrazione credibile.»

Hai incontrato qualcuno che ti ha fatto cambiare prospettiva sul vino calabrese?

«Ogni assaggio può cambiare prospettiva. Il lato laboratoriale degli incontri, unito all’abbinamento coi piatti dello chef Battaglia, offre nuove sorprese e spunti continui.»

La Calabria fatica a fare sistema. AltaFiumara sta cercando di colmare questo vuoto?
«Il fatto che si proponga come “casa comune” è un segnale di apertura. Non è semplice, ma se si sviluppa una coscienza collettiva orientata al futuro, è già un passo avanti.»

Quali storie di viticoltori calabresi meritano di essere raccontate?

«Quelle di Cirò sono emblematiche. Penso a Francesco De Franco, che ha riportato alla luce il gaglioppo autentico e cementato i rapporti tra colleghi. È un esempio di visione e collaborazione.»

E tra dieci anni? Come immagini il vino calabrese e il ruolo di AltaFiumara?

«AltaFiumara deve continuare a fare cultura del vino a tutto tondo: formazione, confronto, iniziative serie. Se i vignaioli manterranno il focus sulla sostanza e gli appassionati resteranno curiosi, il futuro non potrà che essere positivo. Dal 2010 in poi i segnali sono incoraggianti: possiamo essere fiduciosi.»

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