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Santo Palumbo torna a Reggio Calabria con l’energia di sempre. Ospite sul truck del Network LaC, affacciato sul lungomare Falcomatà, il comico si è raccontato ai microfoni di Elisa Barresi e Silvio Cacciatore, mescolando ironia, aneddoti e riflessioni. Dal ritorno a Zelig On alle radici della comicità reggina, l’intervista ha offerto il ritratto di un artista capace di far ridere e pensare.
Dalla Calabria a Zelig, che stagione ti aspetta?
«Quest’anno parte Zelig On, dieci puntate da ottobre a dicembre, prodotte da Mediaset e condotte da Paolo Ruffini. Sarà un’edizione diversa, molto inclusiva, che apre spazio a tutte le nuove tendenze della comicità. È cambiato il linguaggio: i contenuti devono essere veloci e diretti, perché la soglia di attenzione del pubblico è di pochi secondi. Zelig vuole raccontare questo cambiamento e dare voce a tanti stili».
Parli di inclusione, un tema che ti sta a cuore.
«Sì, sto lavorando a un progetto che si chiama Artisti senza limiti. Sul palco saliranno persone con abilità diverse, non solo comici o cantanti, ma chiunque sappia esprimersi con talento. Nel 2019 a Bova Marina ho sperimentato questa formula con ragazzi di una comunità e hanno dato una lezione di disciplina e passione. Il palco deve essere uno spazio di dignità per tutti».
Che legame conservi con Paolo Ruffini, capofila in Italia di queste esperienze?
«Lo stimo molto, sia come artista che come uomo. Ha aperto la strada all’inclusione nello spettacolo e il suo documentario sull’Alzheimer è stato un capolavoro. Lavorare con lui sarà una grande occasione, spero di imparare tanto».
Quest’estate ti abbiamo visto spesso in Calabria. Che rapporto mantieni con la tua terra?
«È stata un’estate intensa, piena di serate. Per un artista i mesi estivi sono i più belli perché ogni giorno sei in un posto diverso. Ma il vero spettacolo è quello che succede dopo: un panino, una chiacchiera, la leggerezza che solo qui trovi. La Calabria è seria forse: vuol dire che la vita va presa sul serio, ma non troppo».
Il tuo tormentone sugli “ansi” è diventato virale. Cosa significa per te?
«Noi calabresi viviamo di ansi. Ogni frase finisce con “e poi?”. È un atteggiamento che ci frena. Se invece di dirci “ansi” ci chiedessimo “perché” certe cose non funzionano, avremmo più forza per cambiare davvero. Ridere degli ansi è un modo per svelare un problema».
In questi giorni Reggio ha ricordato Giacomo Battaglia. Che eredità ti ha lasciato?
«Per me Giacomo era compadre d’anello, oltre che amico e maestro. Mi diceva sempre: “Il reggino è sputtente”. La nostra comicità non è elegante o costruita, è diretta, spontanea, nasce in casa e per strada. Mi raccomandava di portarla oltre i confini locali, perché chi resta chiuso nel dialetto ride solo fra sé. È stato lui a spingermi verso il nazionale, ed è a lui che penso ogni volta che salgo sul palco».
Sei rimasto legato anche alla tradizione popolare e alla satira sui temi di attualità.
«Sì, penso al ponte sullo Stretto: si parla sempre di ingegneri e fondamenta, ma nessuno considera il malocchio. Io dico che serve una “cumare” per ogni pilastro. È ironia, certo, ma nasce dal nostro immaginario collettivo, dalle superstizioni che fanno parte della vita quotidiana. È anche questo il bello della comicità calabrese: trasformare le debolezze in sorrisi».