Reggio, oltre due mila anni di storia della città affiorano dagli scavi di piazza Garibaldi – FOTO e VIDEO
Il cantiere, chiuso prima dell’estate, è oggi in attesa di essere riattivato. Restano le attività di completamento consistenti nella fase di restauro e di messa in sicurezza dei reperti archeologici, in vista della fruizione pubblica
Chiuso da prima dell’estate, il cantiere che circoscrive l’area degli scavi archeologici di piazza Garibaldi, nel centro storico di Reggio Calabria, dovrebbe dunque essere riaperto a breve per la fase di completamento.
Sono in corso le fasi burocratiche legate proprio a questi ultimi lavori di cui si attende l’avvio per poter al più presto consegnare alla comunità e alla fruibilità collettiva le evidenze archeologiche tra la quali spicca un tempio di età Augustea, forse di prima età Giulio Claudia, dunque dei primissimi decenni del I secolo d.C., rivenuto nell’area sacra della città antica.
Il contratto relativo all’attesa fase finale dovrebbe essere pronto per essere sottoscritto dall’impresa che poi dovrebbe completare l’intervento auspicabilmente entro la fine dell’anno. Tuttavia ancora il cantiere non è stato riattivato e, di conseguenza, l’incognita temporale riguarda anche la piena fruizione dell’area archeologica.
Il punto sui lavori
«La ditta che ha condotto gli scavi dovrà adesso completare l’intervento con il restauro, la messa in sicurezza per garantire la fruibilità di quanto emerso da parte del pubblico». È quanto dichiara l’architetta Michelangela Vescio, direttrice dei lavori e progettista con Giuseppina Vitetta, degli “interventi di messa in sicurezza degli scavi per la valorizzazione e la fruizione dei resti archeologici”, finanziato con i fondi del Decreto Reggio e poi inserito nell’ambito dei fondi “Patto di Sviluppo per la Città Metropolitana”, gli ex “Patti per il Sud”.
L’intervento è stato appaltato dal settore Grandi Opere del comune di Reggio Calabria all’impresa Samoa che ha già operato nel teatro Romano di Neapolis (Na), nel Termopolio di Vetus Placidus e nella Villa San Marco di Pompei (Na). La campagna è stata e sarà seguita dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia.
Il punto sulle scoperte archeologiche
Le indagini archeologiche sono imprevedibili. Indagato il contesto specifico, ci sono sempre spunti per scendere ancora più in profondità.
«Noi abbiamo completato l’indagine – ha spiegato Fabrizio Sudano, direttore scientifico degli Scavi e all’epoca soprintendente – sul contesto del tempio di età romana imperiale e vorremmo approfondire le stratigrafie sotto di esso per capire se siano di età ellenistica o ancora precedente e se siano strutture sacre, o di altra natura. L’archeologia è sempre una incognita e ogni scavo ha esiti imprevedibili e infatti ci siamo dovuti allargare, pur restando nell’area consentita».
Ogni scavo archeologico, dunque, ha una storia a sé da qui la chiusura momentanea del cantiere.
«La sospensione delle attività di cantiere è stata un fatto fisiologico legato ad alcune economie e al conseguente riassestamento delle somme. Il progetto di completamento è pronto e hanno avuto già luogo diverse riunioni con Impresa, Comune e Direzione dei lavori in vista della riattivazione del cantiere che dovrebbe avvenire al più presto, in modo da consentirci di completare entro l’anno. Questo è il nostro auspicio. La fase finale prevede il restauro e la sistemazione finale si fini della fruizione da parte del pubblico». Così ha spiegato ancora Fabrizio Sudano, direttore scientifico degli Scavi.
L’importanza dell’acqua
Abbiamo approfondito l’aspetto squisitamente archeologico con Marilena Sica che ha coordinato la campagna di scavi. Impegnata con lei anche l’archeologa Silvia Ferrari.
«Abbraccia oltre duemila anni di storia questo tratto di piazza. E a un certo punto ci siamo dovuti fermare. L’elemento essenziale e costante fin dall’antichità in questa zona è l’acqua. La posizione liminare, la vicinanza al fiume, al Calopinace, al mare e poi le canalette per assicurarne il passaggio. Abbiamo elementi per ricostruire la storia di questo pezzo della città, segnato certamente dall’acqua e che potrebbe spingersi a ritroso anche fino al I forse II secolo A.C., con tracce che poi arrivano fino a dopo il terremoto del 1908.
Abbiamo lavorato su tre fronti, a Sud lato Calopinace, a ovest verso la statua di Garibaldi, zone che proveremo a indagare ancora, e a nord dove prima era collocata l’edicola e dove la struttura medievale ci ha impegnati molto».
L’area sacra e la ricca e profonda fossa di scarico
«Sul lato sud della piazza e dello scavo ecco il tempio all’interno di un’area sacra, che ha conservato anche una parte della scalinata, con un probabile e notevole sviluppo architettonico in rapporto con la città. Con molta probabilità la strada romana che passa sotto piazza Italia arrivava qui ed era la strada che portava fuori dalla città. Con l’obiettivo di fare emergere un quadro il più possibile completo delle evidenze di epoca romana, abbiamo eseguito un grosso ampliamento dello scavo.
Qui – ha spiegato ancora l’archeologa Marilena Sica– abbiamo anche intercettato una grande e profonda fossa di scarico davvero molto ricca di materiale ceramico. Vi sono vasi di varia forma, interi e frammentati, anche componibili. Tutto materiale che abbiamo recuperato e che andrà lavato, restaurato e studiato.
La fossa, rinvenuta a una profondità compresa tra i tre metri e oltre i quattro metri, occupava tutta la parte a sud dell’edificio sacro. È anch’essa scandita da più fasi e da più momenti, con dinamiche di conferimento e deposito diverse. Essa risale a una fase intermedia tra la distruzione e l’abbandono dell’edificio romano e la fase del costruito di età medievale che abbiamo trovato a nord. Dunque, sempre orientativamente tra il VII e VIII secolo d.C., ossia età alto-medievale.
Non sappiamo nulla della provenienza del materiale. A oggi sappiamo che non appartiene al tempio e alla sua dismissione, se non per il materiale residuale, né alle fasi medievali a nord.
Abbiamo anche trovato delle strutture murarie distrutte, relative alla fase romana. Non abbiamo trovato pavimenti ma solo strutture già soggette a spoliazione. Dunque della fase romana, non abbiamo la fase di vita ma solo quella di distruzione».
Le creste murarie precedenti al tempio
«La cosa interessante – ha sottolineato l’archeologa Marilena Sica – che abbiamo intercettato, tanto con la pulizia della fossa di scarico alto medievale quanto con l’asportazione degli strati di strutture murarie di epoca romana, è stata la testa della fase di vita precedente all’edificio di età romana. Sono emerse delle creste murarie.
Probabilmente siamo in una fase tardo – ellenistica, la datazione non è certa ma resta sempre nell’alveo delle ipotesi. Lì siamo arrivati. Dovremmo approfondire i livelli di frequentazione o di vita o di distruzione e così definire per quanto possibile l’inquadramento cronologico di questa fase precedente alla realizzazione dell’area sacra di età romana, cercando anche di capirne la destinazione d’uso. Potrebbe esserci anche stato un cambio funzionale.
Realizzando il tempio – ha spiegato l’archeologa Marilena Sica – abbiamo appurato come abbiano intercettato strutture precedenti. Quindi si sono innestati in una situazione anche complessa stratigraficamente. Non c’era, cioè, solo terreno ma anche strutture di cui abbiamo intravisto le creste murarie.
Occorre recuperare più materiali e dunque più dati possibili, anche se dopo la ripresa sarà prioritario il completamento ossia, il restauro delle strutture e la sistemazione dell’area in vista della fruizione collettiva e della sua comprensione. La ricerca scientifica potrebbe poi in qualunque momento, riprendere.
Sempre a sud abbiamo trovato anche un tunnel, una sorta di canalone moderno, dismesso naturalmente. Le prospezioni geofisiche rivelavano che in superficie vi erano delle interferenze moderne. Tubature non in uso e anche la parte di un condotto novecentesco, molto in superficie, costruito con mattoni e cemento. Una parte l’abbiamo smantellata per allargarci ma in parte resterà visibile. Esso si dovrebbe innestare sulla condotta moderna in uso e che taglia trasversalmente la piazza».
La struttura medievale
«Nello scavo lato nord, la struttura medievale pare essersi appoggiato al tempio che emergeva, senza intaccarlo. Con le sue stratigrafie – ha evidenziato l’archeologa Marilena Sica – la struttura ha assorbito un pò di tempo perché intervenire tra le strutture murarie richiede maggiore attenzione. Qui c’è stato un approfondimento relativo alle varie fasi che si intravedevano. Siamo riusciti ad arrivare al livello dal quale erano partiti per la realizzazione dell’edificio di età romana. Lì abbiamo individuato due fasi costruttive, con scarto cronologico ravvicinato. Abbiamo registrato una sovrapposizione e l’utilizzo degli stessi muri. Orientativamente la fase di chiusura di quell’area potrebbe attestarsi intorno al XII secolo d.C..
La dismissione della area in età medievale riserva una successione di strati che testimoniano la vita successiva con canali di acqua e il muro alto e consistente sette-ottocentesco demolito prima del terremoto del 1908 e gli scarichi del 1908. Non c’erano probabilmente costruzioni in quest’area e con le carrette hanno scaricato qui le rovine delle case e materiale edilizio, mattoni, intonaci.
Sul lato ovest, abbiamo tolto degli strati di terra. Lì c’erano evidenze di fasi medievali. Abbiamo svuotato il canale e siamo arrivati sui livelli di spoliazione di età romana».
I passi in avanti rispetto ai saggi del 2016
«Rispetto ai tre saggi eseguiti nel 2016, oggi abbiamo conseguito una visuale più ampia. Abbiamo meglio definito lo spazio occupato dall’edificio sacro per intero seppure con la scalinata rotta, e dalle strutture afferenti a esso.
Abbiamo dati cronologici rivelati dalle stratigrafie e dal materiale della fossa di scarico. Poi c’è tutta la parte medievale, che non è mio campo specifico ma che per la ricostruzione della storia delle città mi sembra fondamentale». Lo ha sottolineato ancora l’archeologa Marilena Sica.
Tante epoche …in una sola piazza
«Questo scavo comprime tante epoche, attività umane e non solo. Abbiamo anche stratigrafie naturali, con accumuli e depositi di materiali di esondazioni e alluvioni. Uno spaccato che offre la possibilità di leggere e ricostruire la storia di questo pezzo di città: la città ellenistica, la città romana, la città medievale, la fase post medievale dopo il 1200 – 1300, in cui la zona pare sia stata un pò abbandonata e poi destinata a uso agricolo.
Dopo 1200 e 1300 – ha concluso l’archeologa Marilena Sica – noi abbiamo una serie di strati naturali con tracce di momentanee occupazioni umane tra un’esondazione e un’alluvione, legate a uso agricolo con impianti di canalizzazione per bonifiche e percorsi per le acque che arriva almeno fino al 1700. Man mano che ci avviciniamo alla storia recente vanno cercati negli archivi anche documenti cartacei a supporto».
E la storia, anche quella già accaduta, continua.
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