martedì,Febbraio 18 2025

Suicidi in carcere, il grido disperato della famiglia di Davide: «Salvatelo, è una bomba ad orologeria» – VIDEO

Detenuto nel carcere di Rossano, ha già tentato il suicidio sette volte: l'ultima stamattina, e ora intraprende lo sciopero della fame. La famiglia denuncia condizioni disumane e chiede misure alternative prima che sia troppo tardi

Suicidi in carcere, il grido disperato della famiglia di Davide: «Salvatelo, è una bomba ad orologeria» – VIDEO

È una storia che non lascia presagire nulla di buono. Davide deve scontare una pena ma quella denunciata dalla sua famiglia è una realtà che si scontra con il fine della detenzione, ovvero la rieducazione. Davide sta male. E la sua condizione è ormai da tempo sotto i riflettori. Perché la famiglia teme il peggio. Il dolore, quello visibile, ancor più quello invisibile, ha portato già a tentativi di suicidio e le richieste adesso sono tormentate dalla possibilità che Davide non ce la faccia. È una richiesta di aiuto che non trova pace nelle lacrime di chi vede il proprio figlio soffrire da solo e senza intravedere una via d’uscita. Una condizione estrema, quella carceraria, che lascia emergere limiti e lacune, purtroppo, in tutta Italia.

Davide Divino, 37 anni, è detenuto nel carcere di Rossano, in Calabria. Deve scontare ancora due anni per una pena la cui esecuzione si è trasformata in una tortura quotidiana, come raccontano i familiari. La famiglia racconta di un uomo ormai piegato dal dolore fisico e psichico. Serena, la sorella, descrive il fratello come una «bomba a orologeria» pronta a esplodere. «Mio fratello non riesce più a stare seduto, non riesce a stare sdraiato, non dorme la notte, e ha dolori che ormai sono insopportabili». La madre, Marisa, aggiunge: «Oggi Davide è come un morto vivente. Si trova in una galleria buia, senza vedere la minima luce. Io desidero che trovi questa luce, che diventi un sole che illumini tutta la sua vita».

Davide ha già tentato il suicidio sei volte. Sei episodi che hanno lasciato segni indelebili sul corpo e sull’anima, ma non hanno scosso il sistema carcerario che continua a ignorare il grido di aiuto della famiglia. Stamattina, raccontano i familiari, Davide ha nuovamente minacciato di togliersi la vita, fermato solo dalla disperazione dei suoi cari. Ora ha intrapreso uno sciopero della fame e delle cure, una scelta che nelle sue condizioni di salute potrebbe avere conseguenze fatali. La madre e la sorella denunciano che non è la pena a schiacciare Davide, ma le condizioni disumane in cui viene scontata.

La storia di Davide è quella di tanti detenuti in Italia, uomini e donne che entrano in carcere con l’illusione di potersi rieducare, ma che si ritrovano schiacciati da un sistema che li abbandona. Davide era prossimo alla laurea; gli mancava solo la tesi per completare un percorso che avrebbe potuto cambiare la sua vita. Sognava di aprire una palestra, di costruirsi una famiglia, di avere dei figli. Ora, invece, è un uomo spezzato. Serena racconta: «È entrato in carcere sano, aveva una fidanzata, dei sogni. Ora non ha più nulla. Non è ancora uscito, ma già oggi è profondamente depresso, senza una via d’uscita».

Il carcere di Rossano rappresenta una delle tante realtà italiane dove le difficoltà strutturali, la carenza di supporto psicologico e medico, il sovraffollamento e le condizioni igieniche spesso precarie mettono in luce le sfide di un sistema che fatica a garantire la dignità umana. Questi problemi, diffusi in molte strutture del Paese, rischiano di trasformare le carceri in luoghi di ulteriore sofferenza, invece che in spazi dedicati alla rieducazione. Serena non ha dubbi: «Il carcere, con la sua disumanità, è ciò che gli ha tolto tutto».

A complicare ulteriormente la situazione è l’inerzia delle autorità competenti. L’avvocato della famiglia, Angela Cannizzaro, ha presentato una denuncia-querela contro il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Calabria, Cinzia Barillà, accusata di aver rigettato ripetutamente le istanze per l’applicazione di misure alternative alla detenzione, nonostante la conclamata incompatibilità di Davide con il regime carcerario. La famiglia chiede che Davide venga trasferito agli arresti domiciliari per ricevere cure adeguate. Ma ogni richiesta sembra cadere nel vuoto, aumentando la disperazione di chi teme di non vederlo uscire vivo da quella prigione.

«Temiamo che, quando uscirà, non lo farà più sulle sue gambe», dice Serena con voce spezzata. La madre Marisa conclude con un appello accorato: «Io vorrei che fosse a casa, che potesse curarsi per riprendersi e tornare a vivere. Voglio solo che mio figlio abbia un’altra possibilità».

La vicenda di Davide Divino è un pugno nello stomaco. La vicenda di Davide racconta una realtà che simboleggia le gravi falle di un sistema penitenziario incapace di bilanciare giustizia e umanità. Le lacrime di una famiglia non possono rimanere inascoltate. «La vita di Davide è appesa a un filo».

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