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29 maggio 2016, quando a Reggio Calabria l’accoglienza dei migranti andò oltre la vita

Giunti a bordo della nave militare Vega al porto, con l’aiuto dei vigili del fuoco, 45 salme toccarono terra. L’inizio di una storia dentro la storia di cui oggi il cimitero monumentale di Armo è presidio di memoria

29 maggio 2016, quando a Reggio Calabria l’accoglienza dei migranti andò oltre la vita

Ci sono momenti che, pure in un fluire del tempo gravido di altri eventi forti e altrettanto drammatici, non perdono intensità. Non smettono di decantare e di interrogare. Eventi che costituiscono uno spartiacque nella vita di una comunità e che parlano al di là del luogo e del momento storico in cui sono avvenuti.

Tra questi c’è indubbiamente lo sbarco straziante avvenuto al porto di Reggio Calabria sette anni fa. Dopo il terzo naufragio registrato in pochi giorni nel canale di Sicilia, 45 corpi erano stati tratti dal mare senza vita. Trentasei uomini, sei donne e tre bambini.

Il barcone su cui viaggiavano era affondato. Il giorno prima, oltre 1.900 erano stati i migranti soccorsi nel Canale di Sicilia. Erano state 16 le distinte operazioni, coordinate dalla centrale operativa della guardia costiera di Roma. Secondo i dati diffusi dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati Acnur. 700 i migranti non sopravvissuti e tra questi quaranta bambini.

Toccare terra senza vita

Una pagina straziante di questa interminabile storia di migrazione verso l’Europa destinata a non esaurirsi. Appesi a quattro fili i corpi di uomini, donne e addirittura bambini, non sopravvissuti al viaggio verso un futuro diverso, sono stati fatti lentamente “scendere” dalla nave militare Vega sulla banchina di levante del porto di Reggio Calabria. Era il tiepido pomeriggio della giornata del Corpus Domini. Una delle ultime domeniche di un’altra primavera fermata nel tempo.

Prima sospesi nel cielo, poi hanno toccato terra ma senza più vita. Per loro è stata quella di Reggio Calabria quella sponda europea che inseguivano fuggendo da un’Africa, insanguinata da guerre e attanagliata da povertà e violazioni dei diritti umani. La prima e già ultima sponda europea. Un trasbordo avvenuto in un ossequioso silenzio, come un rituale. Un’atmosfera interrotta solo da una debole brezza.

Il silenzio e il dolore nella condivisione

Invece del ritmo serrato dell’accoglienza nella tensostruttura allestita sulla banchina di levante del porto di Reggio Calabria, oggi rimossa, un profondo silenzio e per qualcuno già il pensiero e l’interrogativo: come accogliere anche oltre la vita?

Il trasbordo delle 45 salme nel camion frigorifero messo a disposizione dalla Croce Rossa nazionale, è stato eseguito dai vigili del fuoco con la loro imponente autogru, sotto la supervisione della prefettura e con il supporto di forze dell’ordine e protezione civile.

Lì l’uno accanto all’altro, dinnanzi alla discesa delle salme, don Nino Pangallo, allora direttore della Caritas diocesana reggina, e Hassan Elmazi, rappresentante del centro islamico di Reggio Calabria. Una pagina di fratellanza e sorellanza dolorosa e vibrante ricordata anche in occasione della recente veglia organizzata al Duomo dopo la strage di Steccato di Cutro. Presenti anche tante volontarie e tanti volontari e tra questi pure quelli del coordinamento diocesano sbarchi. 

Un pomeriggio straziante dopo una mattinata di intenso lavoro nell’accoglienza di 629 migranti (419 uomini, 138 donne e 72 minori di varia nazionalità provenienti dal Pakistan, Libia, Senegal Eritrea, Nigeria, Siria, Marocco e Somalia).

Non bastava accogliere

Qualcosa scattò quel pomeriggio. Il giorno dopo una toccante processione alla quale prese parte la città guidata dall’allora arcivescovo metropolita Giuseppe Fiorini Morosini. Dalla chiesa del Buon Consiglio di Ravagnese un corteo dietro una croce raggiunse l’aeroporto. Nell’hangar del reparto Volo dello scalo Tito Minniti sostava la cella frigorifera mobile che ospitava le salme. Non bastava accogliere i vivi per dare una risposta da quel dramma umano epocale e annunciato. Non bastava seguire e pregare per quelle anime. Era necessario dare degna sepoltura a chi era morto in mare lontano o forse senza una casa e una famiglia.

Umanità e unione di intenti

La risposta a questa urgenza fu immediata e fu corale. Il comune di Reggio Calabria, guidato dal sindaco Giuseppe Falcomatà, e la comunità della frazione collinare di Armo furono pronti. Di concerto con l’arcidiocesi Reggio Calabria – Bova, le salme vennero sepolte nel piccolo cimitero di Armo, insieme ad altre persone morte in solitudine e povertà. Quel cimitero di terra smossa con amore divenne negli anni un luogo di memoria ma anche di impegno e denuncia. Tanti gruppi di volontari provenienti anche da fuori regione e dall’estero, furono accolti dalla comunità di Armo, vennero a Reggio per dedicare tempo e attenzione a questo luogo e a queste tombe.

Dalla terra al “monumento”

Un cammino di amore e accoglienza oltre la vita, culminato lo scorso anno nella consegna alla città del cimitero monumentale di Armo alla città di Reggio Calabria. Opera segno frutto del progetto finanziato da Caritas Italiana che anche con l’aiuto di molte donazioni e dell’arcidiocesi tedesca di Paderborn. Prezioso l’apporto di Martin Kolek, attivista in mare, giunto a Reggio Calabria dalla città tedesca di Delbrück. Seguendo le tracce dei piccoli Mohamed e Maryam, i cui corpicini senza vita aveva tratto dalle acque del Mar Mediterraneo proprio quel maggio 2016, è giunto in riva allo Stretto, ad Armo, dove i corpicini sono stati seppelliti.

Con le sue parole si apre il docu-film del regista reggino Antonio Melasi dal titolo “Armo, storie di volontari e di migranti”, fortemente voluto dalla stessa Caritas Italiana per non disperdere la memoria di quanto condiviso a Reggio. I frutti di quei semi hanno bisogno di cura per continuare a vivere. Quelle storie devono continuare a essere raccontate. L’accoglienza è ancora un dovere essenziale oggi come allora. Un intento sottolineato dal direttore di Caritas italiana, don Marco Pagniello, e dalla direttrice della Caritas reggina, Maria Angela Ambrogio.

“Armo, storie di volontari e di migranti”

Il docufilm è stato presentato proprio la settimana scorsa in un gremito auditorium Sant’Antonio di Reggio Calabria. Una presentazione organizzata in vista dell’imminente giornata di commemorazione delle vittime della migrazione che il Comune di Reggio Calabria ha istituito per il 3 giugno. Proprio in questa data nel 2016 ebbe luogo la sepoltura ad Armo. Quest’anno la celebrazione avrà luogo, lunedì 5 giugno, al cimitero di Armo.

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