Uno sciopero per difendere l’autonomia della magistratura. È in questa cornice che il consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura (Csm) Antonino Laganà ha preso la parola per contestare la riforma della giustizia proposta dall’attuale governo. Durante l’assemblea indetta a Reggio Calabria, Laganà ha affrontato diversi temi sensibili, dai meccanismi di elezione dei componenti del Csm fino alla separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, evidenziando quelli che, a suo dire, rappresentano «grave pregiudizio per l’indipendenza dei magistrati e per la tutela dei diritti dei cittadini».


La critica alla riforma


Secondo Laganà, presentare l’intervento legislativo come un adeguamento all’articolo 111 della Costituzione, che sancisce il principio del giusto processo, sarebbe fuorviante:
«Non è vero che la riforma della giustizia mira all’attuazione dell’art. 111 della Costituzione, perché i suoi contenuti non hanno nulla a che vedere con il principio del giusto processo. L’obiettivo di questo governo è solo quello di indebolire la magistratura nell’ottica di un nuovo equilibrio dei poteri costituzionali».
Tra i punti più contestati, emerge l’istituzione di un’Alta Corte disciplinare che sottrarrebbe al CSM la prerogativa di stabilire ciò che sia rilevante dal punto di vista disciplinare. «Oggi il Consiglio Superiore della Magistratura “parla ai magistrati” tanto nella fase fisiologica amministrativa quanto in quella patologica. Sottrarre questa prerogativa alla Sezione disciplinare per affidarla a un organismo estraneo al CSM significa ancora una volta togliere legittimazione, autonomia e indipendenza all’organo di autogoverno».


A suscitare ulteriori perplessità sono anche la mancata possibilità di ricorso in Cassazione contro le decisioni dell’Alta Corte e la diversa composizione tra membri laici e togati:
«Attualmente l’organo disciplinare interno al Csm è presieduto dal membro laico e si compone di 4 togati e 2 laici. Con la riforma, i magistrati sarebbero in proporzione numericamente inferiori. Questo accadrebbe solo per la magistratura e per nessun’altra categoria». Il consigliere per caso e la separazione delle carriere: conseguenze “devastanti”

Un altro punto nodale riguarda la fine dell’elezione diretta dei membri togati del Csm, sostituita da un meccanismo di sorteggio. «Con il sorteggio si degrada il Csm da organo costituzionale a organo di mera amministrazione. Lì si fanno scelte di politica giudiziaria e non vale la regola “uno vale uno”. Il “consigliere per caso” non eletto ma sorteggiato, privo di un proprio modello di giurisdizione e non avvezzo a scelte di politica giudiziaria, non sarà mai in grado di svolgere efficacemente il proprio mandato».

La separazione delle carriere


Sul fronte della separazione delle carriere tra pubblico ministero e giudice, Laganà ha espresso forti timori. «Separare il pm dal giudice e allontanarlo dalla giurisdizione, rendendolo un avvocato dell’accusa legato al vincolo del risultato e non al rispetto della giurisdizione, avrà effetti devastanti sulla tutela delle garanzie dei cittadini».
Secondo il consigliere del Csm, infatti, esiste una sostanziale differenza tra legalità e giurisdizione: la prima si limita al rispetto delle norme, la seconda impone al Pm di cercare anche le prove a favore dell’indagato e di compiere «un passo indietro» quando le prove non risultino sufficienti.
Un confronto mancato
Nella parte finale del suo intervento, Laganà ha insistito sulla necessità di un dialogo più ampio e inclusivo. «Quando si intende mettere le mani sulla Costituzione e cambiare in modo così radicale l’assetto della tripartizione dei poteri, ci si aspetta un confronto con tutti i tecnici del diritto e le altre forze politiche. Non è stato consentito un solo emendamento». La conclusione è una netta bocciatura di un impianto ritenuto, ad oggi, «non accettabile», specie perché riguarda temi «che mettono in gioco la libertà dei cittadini».
Con questa protesta, la magistratura cerca di portare all’attenzione dell’opinione pubblica un cambiamento che, secondo Laganà e i suoi colleghi, potrebbe minare l’indipendenza del potere giudiziario, uno dei pilastri della democrazia, e lasciare spazio a una riorganizzazione dei rapporti istituzionali tutta da verificare, con conseguenze imprevedibili.