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«Caro dott. Melidona, accolgo con piacere il suo invito al “chiarimento” in un’ottica, da parte mia, di confronto tra soggetti e categorie portatori, evidentemente, di idee contrapposte, senza infingimenti e/o velate allusioni.
Ho letto e riletto il mio comunicato, così come il suo e, ad essere sincero, non ho colto frase alcuna che potesse ingenerare la sua levata di scudi in difesa della categoria dei pubblici ministeri, semplicemente perché mai da me sono stati attaccati né con il comunicato, né in occasione del mio intervento del 27 febbraio. Così Francesco Siclari, il presidente della Camera Penale di Reggio Calabria, replica a Santo Melidona, pubblico ministero in servizio presso la Procura di Palmi.
Se, da un lato, il “brusio” che anche lei ha colto in quell’occasione (con una sensibilità decisamente originale) quando si è affrontato il tema della perdita della cultura della giurisdizione da parte del PM, paventata dalla magistratura stessa come conseguenza della riforma costituzionale in atto, può avere in lei ingenerato un’errata percezione del contenuto del mio intervento, dall’altro lato la chiarezza dello scritto mi rende incomprensibile la sua piccata risposta alle mie parole, alle quali ha dato un’interpretazione eccentrica legata ad inesistenti “sottointesi”, “allusioni” o “insinuazioni, neanche troppo velate”.
Ma, lo scopo di questo scritto non è certo quello di alimentare inesistenti scontri su un tema che, invece, mi pare trovare pienamente d’accordo il dott. Melidona non solo con il sottoscritto ma anche con quella parte dell’avvocatura da sempre fautrice della separazione delle carriere.
Sta tutto nella frase del mio comunicato, che lei ha riportato e commentato, basta leggerla ed interpretarla secondo il significato proprio delle parole e la connessione di esse, senza alcuna dietrologia da accerchiamento.
“Dicono, ancora, che il Pm perderebbe la cultura della giurisdizione separando la sua carriera da quella del giudice. Incomprensibile la ragione per la quale il Pm dovrebbe caratterizzare la sua azione dalla cultura della giurisdizione, a tutti noi ed ai cittadini in primis basterebbe una magistratura requirente guidata dalla cultura della legalità per essere la migliore versione possibile di sé stessa. Nessuno si aspetta di essere giudicato da un PM, né tantomeno aspira ad esserlo”.
Di questa frase, lei si è evidentemente perso l’inizio che, però, è inscindibilmente connesso al resto del pensiero ed inserito in un più ampio contesto di valutazione delle ragioni del no alla riforma perorate dalla magistratura, o almeno da parte di essa, ed esposizione, da parte mia, delle contro argomentazioni ad ogni singola ragione: “Dicono (i magistrati sostenitori del no alla riforma) che il PM (evidentemente, e senza sottointesi, il PM nel nuovo assetto costituzionale) perderebbe la cultura della giurisdizione separando la sua carriera da quella del giudice…”
Mi chiedo, come possa ragionevolmente sostenersi che ogni mio successivo riferimento alla cultura della giurisdizione ed alla cultura della legalità del PM (di quello stesso PM del nuovo assetto costituzionale di cui discutevo e ragionavo, di quello stesso PM al quale la magistratura preconizza un destino da superpoliziotto o da asservito al potere esecutivo) fosse invece riferita al pubblico ministero di oggi?
La chiarezza dello scritto non credo possa ammettere l’interpretazione che delle mie parole ha dato il dott. Melidona che, peraltro, conosco personalmente, stimo da sempre ed al quale riconosco tutte le qualità che lo stesso ha declinato come appartenenti alla categoria dei pubblici ministeri.
Quelle stesse qualità che, ritengo, si continueranno a rinvenire nel pm del nuovo assetto costituzionale, nel Pm magistrato requirente separato dal magistrato giudicante, nel pm la cui autonomia sarà garantita dal nuovo art. 104 della Costituzione, in un nuovo assetto costituzionale nel quale “basterebbe una magistratura requirente guidata dalla cultura della legalità per essere la migliore versione possibile di sé stessa” (cito me stesso).
Senza infingimenti, senza inesistenti sottintesi, senza allusioni, senza insinuazioni…
Anzi, auspico che le sue parole, caro dott. Melidona, trovino fertile terreno e fonte di ispirazione nei Pm di domani (quelli, ribadisco a scanso di equivoci, che saranno quando entrerà in vigore della riforma) la cui funzione, per usare le sue stesse parole, non è (sarà, n.d.r.) quella di giudicare e quelli che, ancora con parole sue, “se c’è un principio che guida l’azione del pubblico ministero, è proprio la legalità”.
Mi trova pienamente d’accordo!
Mi assumo, ovviamente, la responsabilità di quanto liberamente scrivo ed altrettanto liberamente penso; non mi assumo, al contrario, la responsabilità della eccentrica interpretazione che lei ha dato del mio scritto e del mio pensiero.
Mi consenta, infine, di ricordarle che gli Avvocati, nel loro operare, sono sempre mossi da un dovere deontologico di verità, probità e correttezza, ma sono oltremodo sicuro che quando ha fatto riferimento alla legittimazione dell’avvocato a nascondere prove (sic!) non volesse insinuare, alludere o sottintendere alcunché». Così Francesco Siclari, il presidente della Camera Penale di Reggio Calabria.

