«Le recenti dichiarazioni del Ministro della Giustizia Carlo Nordio, che ipotizzano misure straordinarie come il richiamo in servizio dei magistrati in pensione, l’impiego dei tirocinanti anche presso le Corti d’Appello e lo spostamento dei giudici da tribunali “virtuosi” a quelli in difficoltà, non affrontano in alcun modo il problema più grave e strutturale della giustizia italiana: la grave carenza di personale amministrativo e la condizione di precarietà in cui versano oltre 12mila lavoratori già selezionati, formati e pienamente operativi».

A dichiararlo è Patrizia Foti, segretario Nazionale Uilpa Giustizia con delega a Precariato.

«Dispiace constatare come ancora una volta non si faccia alcuna menzione al personale amministrativo, che rappresenta l’ossatura del sistema giustizia. Sono lavoratrici e lavoratori che ogni giorno, fianco a fianco con il personale di ruolo, garantiscono il funzionamento degli uffici giudiziari. La loro esclusione dal dibattito politico è una grave mancanza, oggi ancora di più inaccettabile.

In un contesto in cui si stimano oltre 15mila posti vacanti e circa 5mila pensionamenti entro il 2026, è evidente che la giustizia non può reggersi su misure tampone.

Siamo di fronte a una forza lavoro indispensabile – prosegue Foti – che svolge le stesse mansioni del personale a tempo indeterminato, con competenza, impegno e spirito di servizio. Non sono lavoratori in prova, ma persone che già oggi reggono l’intero impianto della giustizia italiana.

Anche il personale di ruolo è fermo da anni, bloccato da un contratto integrativo che risale al 2010, senza progressioni giuridiche, senza percorsi di carriera, senza alcuna valorizzazione professionale da oltre 15 anni.

È inaccettabile – continua Foti – che mentre si ricorre a misure emergenziali come il richiamo dei magistrati in pensione, si continui a ignorare chi da anni tiene in piedi il sistema.

I precari, che chiedono stabilizzazione e il personale di ruolo, che attende da troppo tempo una riqualificazione seria, dignitosa e strutturale.

La precarietà non è quindi un incidente, ma una scelta politica che rischia di paralizzare tutto il sistema giudiziario, che oggi si regge per la maggior parte sull’incertezza.

Non è un sistema giusto.

Non è un sistema degno di uno Stato di diritto.

E noi questo non possiamo accettarlo.

Noi chiediamo una sola cosa: rispetto.

Rispetto per chi lavora ogni giorno.

Rispetto per chi ha superato selezioni pubbliche.

Rispetto per chi ha dimostrato, nei fatti, di essere indispensabile.

A Reggio Calabria, lo scorso primo luglio, abbiamo raccolto testimonianze importanti e concrete – aggiunge Foti – come quelle della Presidente del Tribunale, dottoressa Maria Grazia Arena e del Procuratore aggiunto dottor Stefano Musolino. Hanno entrambi riconosciuto il ruolo insostituibile del personale precario, senza il quale la giustizia in quella sede rischierebbe concretamente di fermarsi.

Ma ancora più forti e toccanti sono state le parole delle stesse lavoratrici e degli stessi lavoratori precari, che hanno raccontato la loro condizione con dignità e determinazione.

Donne e uomini che svolgono da anni un lavoro essenziale, senza sapere se domani potranno continuare a farlo.

Una forza lavoro che non può più essere considerata “usa e getta”, né sottoposta a un’inaccettabile incertezza.

Noi – prosegue Foti – abbiamo già fatto sentire la voce delle lavoratrici e dei lavoratori precari e continueremo a farlo con fermezza e responsabilità.

Non vogliamo promesse, vogliamo soluzioni. E non ci fermeremo finché tutti i lavoratori precari non verranno stabilizzati entro il primo luglio 2026.

La questione non riguarda solo la natura del contratto: si parla di futuro, di giustizia e di dignità.

Uomini e donne che lavorano vanno rispettati sempre, a prescindere dalla natura del loro contratto.

Per questo – conclude Foti – continueremo a lottare fino a quando non riusciremo a ottenere giustizia e dignità per tutti i lavoratori precari della giustizia. Il nostro obiettivo è chiaro: costruire un sistema giusto, stabile e degno di un Paese che si definisce democratico e fondato sul lavoro».