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«Le Politiche contrattuali sono solo il primo argomento affrontato dal segretario generale territoriale Uilpa di Reggio Calabria Patrizia Foti all’ultimo consiglio nazionale tenutosi a Pomezia lo scorso 16 giugno davanti al segretario generale Uil Pierpaolo Bombardieri e al segretario generale Uilpa Sandro Colombi. Dobbiamo concentrarci sulle sfide che ci attendono, perché i dipendenti pubblici chiedono salari dignitosi, percorsi professionali chiari e un riconoscimento reale del loro ruolo, in modo da difendere il potere d’acquisto reale, anche alla luce dell’inflazione galoppante». Inizia così la sua disamina Patrizia Foti, segretario nazionale UilPa Giustizia.
«Quale segretario nazionale UilPa giustizia con delega nazionale al precariato, non posso non focalizzare lo sguardo sul settore perché la situazione sta raggiungendo livelli di emergenza sotto più punti di vista.
In primis – prosegue Foti – è inaccettabile che un contratto integrativo sia fermo da 15 anni! Il Ministero della Giustizia è uno dei pilastri dello Stato eppure, proprio lì, troviamo una delle situazioni più ferme, più opache e più dissennate in materia di gestione del personale. A oggi nessun aggiornamento reale di organizzazione interna, di valorizzazione professionale, di riconoscimento delle competenze si registra tra le fila della giustizia. Quindici anni senza progressioni giuridiche, senza confronto strutturato, senza visione.
Ora si affaccia un’ipotesi di contratto integrativo con nuove famiglie professionali e nuovi profili di ruolo, ma senza alcuna chiarezza sugli effetti reali dell’inquadramento.
Lelavoratricie i lavoratori della giustizia che hanno scelto di votarci alle ultime elezioni Rsu, oggi ci chiedono risposte chiare di fronte a un cambiamento che si potrebbe tradurre in ambiguità, marginalizzazione o addirittura retrocessioni mascherate da riorganizzazione.
E’necessario finanziare le progressioni economiche, l’attribuzione dei differenziali retributivi, prevedere posizioni organizzative e indennità di responsabilità anche nel Dipartimento dell’Organizzazione Giudiziaria e nelle sue articolazioni; Riconoscere l’indennità di sededisagiata, come già riconosciuta ai magistrati, anche al personale che opera al loro fianco.
È necessario realizzare le progressioni giuridiche già concordate e rimaste inattuate – chiosa Foti -dando piena attuazione all’accordo del 26 aprile 2017, prima che entri in vigore la riorganizzazione delle famiglie professionali.
A questo immobilismo sulle politiche del personale si aggiunge una situazione drammatica di carenza di organico. Al 31 dicembre 2024 si registrano oltre quindicimila posti vacanti a cui vanno aggiunti i quasi cinquemila pensionamenti tra il 2025 e il 2026.
Una vera e propria emorragia di lavoratori del comparto giustizia, che il sistema non è in grado di reggere. E mentre gli uffici si svuotano, chi resta lavora in condizioni insostenibili. A questo caos delle risorse umane dobbiamo aggiungere i circa dodicimila dipendenti precari che garantiscono, assieme al personale a tempo indeterminato il funzionamento quotidiano della giustizia italiana.
Personale qualificato, già operativo, che svolge le stesse funzioni del personale di ruolo, ma vive nell’incertezza più totale. Il Dl Zangrillo non può diventare la pietra tombale su dodicimila vite professionali. Le stabilizzazioni previste coprono appena tremila posizioni – continua Foti -con un ulteriore incremento da finanziare di altre tremila unità, mentre per per l’altra metà nessuna risposta, nessun piano e nessun confronto.
Abbiamo più volte sollecitato, ma il silenzio del Ministero è assordante. La giustizia non può reggersi sui precari e la precarietà non può essere una politica del personale.
Questa È una scelta sbagliata, miope e dannosa per l’intero sistema giudiziario.
Il personale precario deve essere stabilizzato entro il primo luglio 2026.
Non si tratta di “lavoratori in prova”. Si tratta di lavoratori già selezionati, già formati, già fondamentali per il funzionamento degli uffici giudiziari. Il ministero non può continuare a scaricare la responsabilità sul Mef o sulle procedure burocratiche. Serve una scelta politica.
Serve coraggio istituzionale. Dietro ogni contratto a termine ci sono persone. Donne e uomini che danno il proprio apporto alla giustizia italiana, e che oggi chiedono una sola cosa: rispetto.
Rispetto per il lavoro che svolgono e rispetto per la professionalità dimostrata. Rispetto per un futuro che non può continuare a essere precario. La giustizia non si fa con gli slogan. La giustizia si fa con le persone. La giustizia è un bene pubblico e come tale va gestito e curato. Oltre le legittime rivendicazioni del personale, qui non stiamo a parlare solo di diritti dei lavoratori. Parliamo di un interesse generale, che riguarda l’intera comunità, perché una giustizia inefficiente non è un problema interno al Ministero, ma è un problema per il paese.
Una giustizia lenta significa ritardi nelle sentenze, mancanza di tutela per i più deboli, blocco dell’economia e totale sfiducia dei cittadini nello Stato. E oggi, nonostante le promesse e le risorse del Pnrr, gli obiettivi di abbattimento dell’arretrato (del 40% ndr) sembra che non siano stati raggiunti. Questo fallimento non è colpa dei lavoratori, ma di una gestione politica e amministrativa che ha scelto di non investire sulle Risorse Umane e sulle politiche del personale. Difendere chi ogni giorno lavora in quegli uffici significa difendere la legalità, la fiducia pubblica, i diritti dei cittadini. Noi continueremo a batterci per questo, con serietà, con impegno e con determinazione.
La Uilpa – conclude Foti – ha dimostrato e dimostra ancora oggi affidabilità, determinazione e capacità di risultato e per questo siamo pronti a continuare su questo percorso con responsabilità e passione, al servizio di tutti i lavoratori, nessuno escluso».