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Gioia Tauro 22 luglio 1970, nell’Italia degli anni di Piombo il deragliamento del Treno del Sole

Poco dopo piazza Fontana a Milano, anche in Calabria un attacco violento allo Stato. Sei le vittime. Condannati gli esecutori dopo trent'anni, quando erano già deceduti. Rimasti ignoti i mandanti. Oggi iniziative di commemorazione alla stazione ferroviaria

Gioia Tauro 22 luglio 1970, nell’Italia degli anni di Piombo il deragliamento del Treno del Sole

Dopo Milano, con la strage ancora impunita di Piazza Fontana 12 dicembre 1969, Gioia Tauro in Calabria. Qui il 22 luglio 1970 deragliava il Treno del Sole. Poi Peteano di Sagrado in provincia di Gorizia (31 maggio 1972), Brescia (Piazza della Loggia 28 maggio 1974). E ancora Bologna (stazione 2 agosto 1980, San Benedetto Val di Sambro, Grande galleria dell’Appennino attentati dinamitardi al treno Rapido 904 il 23 dicembre 1984, e all’Italicus la notte tra il 3 e il 4 agosto 1974). In quegli anni roventi, noti come gli Anni di Piombo, la violenza terroristica e l’estremizzazione della dialettica politica attraversavano l’Italia.

Il 22 luglio 1970 mentre da Palermo a Torino erano in viaggio circa duecento persone, dieci minuti dopo le diciassette un’esplosione sui binari del treno direttissimo Treno del Sole. La linea ferroviaria era quella di Battipaglia – Reggio Calabria, soprastante le ferrovie Calabro-Lucane e la stazione quella di Gioia TauroSei persone morirono – Andrea Gangemi, Adrianna Vassallo, Rosa Fassari, Rita Cacicia, Letizia Palumbo, Nicolina Mazzocchio – e settantasette rimasero ferite.

La commemorazione alla stazione

Il sindaco di Gioia Tauro Simona Scarcella e l’amministrazione comunale onoreranno i caduti. Apporranno questa mattina una corona di alloro alla stazione ferroviaria di Gioia Tauro. Al primo binario commemoreranno le vittime anche l’Anpi metropolitana, la Cgil area metropolitana e la Filt Cgil di Reggio Calabria.

I moti di Reggio e la storia d’Italia

A Reggio, capoluogo di provincia, in quel frangente storico bruciava la sconfitta per il capoluogo di Regione assicurato a Catanzaro. Solo una settimana prima dell’attentato a Gioia Tauro, i fatti di Reggio, la protesta guidata dal sindaco democristiano Pietro Battaglia. Poi scontri, barricaterabbiarepressione violentavittime in una città delusa e assediataUna rivolta di popolo consumata e ingurgita da uno scontro tra poteri forti, oscuri. Un contesto che ebbe non pochi riflessi sui tentativi di ricostruire la vicenda di Gioia Tauro di cui restano ignoti i mandanti. Resta fitta l’ombra dell’eversione neofascista

L’attentato al Treno del Sole allora si collocava poco prima della costituzione del Comitato d’Azione per Reggio capoluogo guidato dal dirigente missino Ciccio Franco e quasi cinque mesi prima della data in cui era stato programmato, salvo poi essere improvvisamente annullato, il colpo di Stato in Italia, noto come Golpe Borghese.


Una storia complessa, frammentata e inquinata da depistaggi, deviazioni e sviamenti, occultamenti e sottrazioni di documenti e prove, da verità negate, volti cancellati, voci silenziate, da un passato che ancora sfugge alla chiara e piena resa dei conti.

Le inchieste giudiziarie


La prima indagine giudiziaria sul deragliamento di Gioia Tauro concluse che si trattò di un cedimento strutturale, per un difetto tecnico nel materiale rotabile. Le successive perizie esclusero le ipotesi di errore o di guasto, ma non quelle di impiego di esplosivo che, deflagrato all’aperto, avrebbe potuto non lasciare traccia nelle immediate vicinanze. Nessuna negligenza, dunque, ma neanche prove certe che si fosse o non si fosse trattato di un attentato dinamitardo. Caso chiuso ma mai chiarito. Un mistero o forse un segretoUn incidente o una strage?


Quel deragliamento tornò alla ribalta nel febbraio del 1993 quando rientrò nell’inchiesta giudiziaria che il Gip del tribunale di MilanoGuido Salvini, stava conducendo sulle stragi degli anni Settanta e sul coinvolgimento dell’estrema destra eversiva nella Strategia della Tensione. Strategia che lo stesso giudice Salvini ha definito «guerra civile a bassa intensità condotta tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta con trecento morti, tutti cittadini innocenti, centinaia di feriti e decine di stragi mancate».

Non un manipolo di fanatici, dunque, ma gruppi strutturati e sostenuti da Servizi di Sicurezza italiani e stranieri. In quella occasione alcune testimonianze raccontarono di un attentato dinamitardo eseguito a Gioia Tauro da gruppi vicini a chi stava fomentando in quel momento i moti a Reggio Calabria.

Il processo Olimpia I


Negli anni Novanta, proprio a Reggio Calabria, era in corso anche il processo Olimpia I contro decine di affiliati alla Ndrangheta. I pubblici ministeri erano Giuseppe Verzera, Ettore Squillace Greco e Salvatore Boemi, che dal 1993 al 2001 fu a capo della Direzione Distrettuale Antimafia. In quella sede, le dichiarazioni di due pentiti, Giacomo Ubaldo Lauro e Carmine Dominici, uomo di punta di Avanguardia Nazionale e uomo di fiducia di Felice Genoese Zerbi, dirigente della stessa organizzazione fascista, gettarono luce sui legami all’epoca nascenti tra la criminalità organizzata e l’eversione nera, imponendo la riapertura del caso sul deragliamento di Gioia Tauro. Una riapertura che lasciò, però, ancora una volta domande senza risposta, specie su quel livello superiore rispetto al quale in questo Paese continua a regnare l’impunità.

Mandanti ignoti

Solo nel 2001 la Corte di assise di Palmi stigmatizzò l’insufficienza della indagini condotte nei venti anni precedenti. Vito Silverini, Vincenzo Caracciolo e Giuseppe Scarcella vennero condannati come esecutori della strage compiuta con esplosivo ma erano già tutti deceduti. Da fare le indagini per mandanti e finanziatori. Mai eseguite. Nel marzo del 2003 fu confermata la sentenza dalla corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria.

Oltre mezzo secolo di misteri e segreti

Ignoti rimangono ancora oggi i mandanti di quel deragliamento e dubbi e perplessità sussistono anche su un altro evento drammatico, successivo di soli due mesi e frettolosamente archiviato come incidente stradale. Si tratta dell’impatto mortale tra un’auto e un autotreno con rimorchio, sulla Napoli-Roma in cui, il 26 settembre 1970, morirono gli anarchici reggini Angelo Casile, 20 anni, Franco Scordo, 18 anniGianni Aricò, 22 anni, la moglie tedesca neppure diciottenne Anneliese Borth, e il cosentino Luigi Lo Celso, 26 anni.


Frequentavano la Baracca ed erano tutti giovani, tutti anarchici, tutti appassionati e convinti promotori di un cambiamento volto a realizzare condizioni di giustizia sociale e a ristabilire la verità, tutti arguti animatori di una controinformazione, documentale e fotografica, su quanto stava avvenendo nel Reggino ed in Calabria in quegli anni e in quei mesi così caldi. Una lungimiranza nata dallo studio e dall’osservazione attenta della realtà che potrebbe averli resi scomodi. La loro morte ancora interroga ma solo le coscienze di coloro che cercano la verità.

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