Una tragica coincidenza, una vendetta trasversale, un’onta da lavare, una morte orrenda a 18 anni ancora senza verità. Le storie di Antonino Scirtò, Bruno Clobiaco, Angela Costantino e Daniele Polimeni sono legate da un tragico destino. Vittime innocenti delle mafie. E le loro, storie dimenticate, hanno scandito la marcia promossa ieri nel cuore del centro storico di Reggio Calabria dal clan Déjà-Vù dell’Agesci Reggio Calabria 7 con Libera, New Deal e le comunità scout reggine. Da piazza De Nava fino a piazza Duomo, facendo tappa a piazza Italia e a piazza Camagna. Per ogni tappa, una storia per tenere accese la memoria e la speranza nel segno di Don Italo Calabrò secondo il quale «La ‘ndrangheta non ha bisogno di complici ma di assenti».

Daniele Polimeni – Scilla Reggio Calabria 30 marzo 2005

La passione per i motori e le avventure all’aria aperta, la Reggina, la sua disponibilità ad aiutare sempre tutti, quei 19 anni ancora da compiere e quel giro sbagliato che lo aveva reso responsabile di reati minori di droga e piccoli furti. Era il 30 marzo 2005 quando la macchina di Daniele Polimeni veniva ritrovata bruciata a San Gregorio, nel reggino. Del giovane nessuna notizia, nessuna traccia fino al 1 aprile successivo quando il suo corpo venne ritrovato divorato dalle fiamme accanto all’acquedotto di Favazzina, vicino a Scilla, sul litorale tirrenico di Reggio Calabria. 

L’autopsia avrebbe rivelato che Daniele, prima tramortito con un colpo alla nuca, era stato dato alle fiamme ancora vivo. Ancora dopo 20 anni, non si conoscono il movente e i responsabili di una simile violenza. Una morte orrenda, rimasta senza colpevoli, che angoscia ancora il cuore di papà Pietro, come ha fatto con quello della madre Anna Adavastro, consumata da un male che le ha fatto raggiungere l’amato figlio nel 2015. Anna non aveva mai smesso di cercare, seppur invano, la verità.

L’appello di papà Pietro

«Un accanimento verso mio figlio che ancora non capisco. Lo hanno bruciato vivo con il gasolio, combustibile che agisce con maggiore lentezza. Neppure il tempo di compiere 19 anni gli è stato lasciato. Io continuo a volere sapere almeno perchè. Qualcuno sa – dichiara il papà di Daniele, Pietro Polimeni – ha sempre saputo ma non ha mai parlato. Anche anonimamente, ciò che si sa, potrebbe essere detto o scritto, affinché questo delitto non resti senza verità e giustizia. Mi appello anche alla Istituzioni e alle forze dell’ordine affinché le ipotesi che sono rimaste solo tali possano portare a una verità. I nuovi mezzi a disposizione degli inquirenti potrebbero forse aiutare.

Io so che Daniele non ritornerà mai in vita ma io comunque vorrei conoscere la verità. Vorrei conoscere il perchè», rinnova il suo appello Pietro Polimeni, padre di Daniele convinto che su Daniele la verità possa ancora essere cercata e trovata. Tutto questo avrebbe voluto dire Papà Pietro, che ieri ha marciato con i giovani scout e con Libera, al momento di rendere la sua testimonianza. Ma si è commosso non riuscendo a dire quanto avrebbe voluto. Suo figlio gli manca, gli è sempre mancato. Anche quest’anno ha ricordato la sua morte con i manifesti in città. Una ferita ancora aperta che non sarà mai sanata.

Bruno Clobiaco – Reggio Calabria 22 luglio 1989

Bruno era fermo al semaforo a bordo della sua Fiat Ritmo nei pressi del Ponte della Libertà a Reggio Calabria. Qualcuno a bordo di una moto lo uccise a colpi di arma da fuoco. Vani i soccorsi. Un agguato, in cui morì anche un medico, unico testimone, che si trovava fermo al semaforo. Un agguato teso per attuare una vendetta trasversale. La sorella di Bruno aveva sposato Paolo Serraino, esponente dell’omonima cosca in guerra con i De Stefano – Tegano.

Antonino Scirtò –  Reggio Calabria (RC) 17 gennaio 1987

Antonino, ferroviere di 41 anni, era in macchina ritorno in auto. Nella frazione collinare di Vito, imboccando una curva, veniva travolto da una pioggia di piombo rivolta alla macchina dietro la sua a bordo della quale viaggiavano tre persone coinvolte nella faida tra le cosche Rosmini e Lo Giudice.

Angela Costantino – Reggio Calabria 16 marzo 1994

Scomparsa nel nulla. Angela si era permessa di tradire l’onore del marito Pietro e della famiglia. Suo suocero era stato Giuseppe Lo Giudice capo dell’omonima cosca mafiosa, attiva nel rione Santa Caterina di Reggio Calabria e protagonista, negli anni 1986 – 1988, della cruenta faida contro i Rosmini per il controllo delle attività illecite nella zona, ucciso nel 1990.

Quell’onore andava riscattato da quella terribile onta. Soprattutto in assenza del marito, in carcere e impossibilitato a ristabilirlo da sé. Così quell’offesa fu lavata con il sangue. Una vendetta tenuta nascosta per 18 anni e rivelata soltanto nel 2012 dai fratelli Nino e Maurizio Lo Giudice.

La ragione di quella condanna a morte, senza possibilità di appello, era stata il tradimento. Un atto necessario per scorgere una possibilità di vita e di felicità oltre quel matrimonio per lei precoce. Oltre quell’unione con Pietrovent’anni più grande quando lei di anni ne aveva solo 16, e con un cognome pesante come un macigno.

Angela Costantino aveva 25 anni e lasciò quattro figli.