Francesco Billari, rettore dell’Università Bocconi, porta con sé radici calabresi che non ha mai dimenticato. Nato a Milano, ha trascorso le estati a Fossato, frazione di Montebello Jonico, dove il tempo sembrava scorrere in modo diverso e ogni giorno si riempiva di paesaggi intensi e profumi mediterranei. In quelle strade ha imparato il valore dell’appartenenza e della resistenza silenziosa, elementi che oggi riconosce come parte integrante del suo percorso umano e accademico. Non è un dettaglio folkloristico: è il nucleo che accompagna la sua responsabilità di guidare un’università riconosciuta tra le più autorevoli d’Europa.

«Sono nato a Milano – racconta – ma ho passato tante estati a Fossato. Grazie a mio padre sono legatissimo a queste terre e continuerò a esserlo per sempre». Il padre, partito giovanissimo dalla Calabria per cercare fortuna al Nord, non ha mai reciso il filo con la sua comunità. Quel legame, trasmesso ai figli, è diventato la base di una consapevolezza precisa: le radici sono un patrimonio che non si perde, neanche a migliaia di chilometri di distanza. Billari lo rivendica con orgoglio, senza concessioni alla retorica: «Questo essere calabresi dentro, nel cuore, ci porta quello sprint in più per andare avanti».

Per lui la Calabria non è un luogo da cartolina, ma un metodo di vita. Significa non fermarsi mai, rifiutare la logica dell’accontentarsi, imparare a fissare obiettivi sempre più alti. «Non bisogna mai accontentarsi – sottolinea – ed è giusto pensare di avere un impatto positivo sul mondo. Questo è qualcosa che mi guida e spero mi guiderà ogni giorno anche in futuro». L’esperienza internazionale vissuta tra il Max Planck Institute, Oxford e il rientro a Milano non ha cancellato quel seme originario: lo ha reso più visibile. Il rettore che discute di modelli demografici globali porta ancora con sé il ragazzo che scopriva il mondo a Fossato, dove ogni estate era una scuola di vita.

I ricordi si intrecciano con i paesaggi: i tramonti sulla costa jonica, il profumo dell’origano e del finocchietto selvatico, la luce che avvolge Pentedattilo. Dettagli che per lui non sono nostalgie ma strumenti concreti per leggere la realtà con occhi diversi. In quelle immagini si ritrova la stessa forza che oggi trasferisce nel suo ruolo di guida universitaria: uno sguardo ampio, capace di partire da un piccolo borgo per rivolgersi al mondo.

Da quel legame nasce anche un pensiero rivolto alle nuove generazioni calabresi. Non un discorso accademico, ma un invito diretto: «È importante che tutti, ragazze e ragazzi che crescono qui, possano porsi obiettivi ambiziosi. Non importa il punto di partenza: la cosa fondamentale è provare ad avere un impatto positivo sul mondo». Parole che trasformano il ricordo personale in mandato collettivo, un messaggio che restituisce dignità e possibilità a chi oggi vive le stesse strade.

La sua biografia dimostra come l’intreccio tra milanesità e radici calabresi non sia contraddizione ma risorsa. Milano gli ha dato il rigore degli studi e l’orizzonte internazionale; Fossato gli ha consegnato la concretezza, il senso della misura e quella spinta emotiva che lui stesso definisce “sprint in più”. Due mondi apparentemente lontani che hanno trovato un equilibrio naturale nella sua visione accademica e nel modo in cui interpreta la formazione come motore di cambiamento.

Nell’immagine di un rettore che discute di strategie globali e allo stesso tempo rievoca i vicoli assolati di Fossato si coglie l’essenza di un legame profondo. Un filo che tiene insieme l’infanzia nel borgo e la responsabilità di guidare una delle università più prestigiose del continente. È la dimostrazione che le radici, se custodite, non diventano catena ma trampolino.

Francesco Billari lo ripete con convinzione: «Pensare al mondo partendo dalla Calabria è possibile». È questa la lezione che attraversa tutta la sua storia: l’orgoglio di sentirsi figlio di due terre, con la certezza che la Calabria non sia un confine, ma un orizzonte che continua ad allargarsi.