sabato,Aprile 20 2024

‘Ndrangheta a Scilla, la rabbia del boss contro il sindaco Ciccone: «Non lo voteremo più»

Dalle carte emergono i tentativi di Fulco di condizionare l’amministrazione comunale. Il primo cittadino non avrebbe rispettato gli accordi pre elettorali

‘Ndrangheta a Scilla, la rabbia del boss contro il sindaco Ciccone: «Non lo voteremo più»

È una storia che rischia di diventare una serie a puntate quella che vede protagonista, suo malgrado, il Comune di Scilla. Da anni combattuto tra commissioni antimafia, infiltrazioni della ‘ndrangheta e scioglimenti per mafia, l’ente è nuovamente stato messo a soqquadro dall’operazione “Nuova linea” che, come personaggio politico, vede al centro il sindaco Pasquailno Ciccone il quale, dopo aver fatto i conti, per la seconda volta, con l’accesso della commissione antimafia, si vede indagato con l’ipotesi di reato di scambio elettorale politico-mafioso.

L’accusa

«Più in generale, sulla scorta delle indagini espletate sono stati acquisiti elementi che lasciano trasparire come Pasqualino Ciccone, in occasione delle elezioni comunali del 2020, abbia ottenuto il sostegno elettorale da parte di Fulco, per come dallo stesso reiteratamente affermato nel corso dei dialoghi intercettati. Circostanza, questa, che ulteriormente dimostra come Fulco, anche attraverso la gestione dei voti, mirasse a condizionare il governo locale e ad infiltrarsi nella pubblica amministrazione». Ciccone proprio in occasione delle scorse elezioni nel 2020 è stato rieletto con un vero e proprio plebiscito, raccogliendo il 97% delle preferenze degli scillesi.

Voto di scambio

E nelle informative dei carabinieri si legge come l’attuale amministrazione avrebbe beneficiato dei voti della ‘ndrangheta: «I voti sono comunque tutti canalizzati verso Pasqualino Ciccone il quale una volta eletto, evidentemente conscio dei rischi che corre nel relazionarsi con la ‘ndrangheta taglia i ponti e non rispetta l’accordo stipulato prima della tornata elettorale proprio con Giuseppe Fulco. Il sindaco si limita ad interloquire con la ‘ndrangheta attraverso Giuseppe Maria Fontana ed il fratello Gaetano Ciccone. Quest’ultimo in quanto esercita la professione di avvocato ha maggiore possibilità di interloquire con esponenti della malavita scillese senza dare nell’occhio». Il primo cittadino, dunque, non si interfaccerà con il boss ma sarà il fratello Faetano Ciccone a mantenere i rapporti.

Le pressioni dei Paladino a Ciccone

Ma a finire al centro delle pressioni del boss Fulco tramite i fratelli Paladino è stato proprio il sindaco Ciccone in merito alla “procedura di evidenza pubblica per l’assegnazione di nuove concessioni demaniali marittime previste nel piano comunale di spiaggia”. Dalle carte si evince come il sindaco Ciccone è stato più volte avvicinato dagli imprenditori Paladino Giuseppe, Giovanni e Rocco interessati alla gara pubblica che «esercitavano pressioni sul primo cittadino affinché facesse inserire nel bando di gara un limite alla percentuale di rialzo del canone demaniale marittima. Bruno Doldo in qualità di responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Scilla al fine di favorire i fratelli Paladino e in accordo con essi contrariamente a quanto richiesto dal sindaco Ciccone inseriva nel primo bando un limite alla percentuale di rialzo del canone demaniale marittima, quindi, nel secondo bando di gara pur eliminando il predetto limite, inficiava l’effettiva rilevanza del requisito prevedendo, per la percentuale di rialzo maggiore, l’attribuzione di solo quattro punti».

Ma i bandi di gara erano strettamente attenzionati dal boss Fulco e la conferma che lo stesso fosse riuscito a rientrare in possesso del contenuto della bozza del bando prima della sua pubblicazione si desume dalle intercettazioni: «Da una telefonata si evince come Paladino aveva avuto un accesso confronto col sindaco Ciccone indicato con il soprannome di tre culi. Fulco: “Li ho visti un po’ agitati dopo (…) in piazza, con tre cula gli ho visti che erano un po’ agitati. Poi domani lo chiamo perché voglio sapere che gli ha detto”». Di certo, come riportato nelle carte, l’argomento oggetto della conversazione con il sindaco era strettamente «collegato all’incarico dato a Fulco dei fratelli Paladino, laddove era proprio Giovanni Palladino che dopo l’accesso confronto con il sindaco tentava di mettersi in contatto con Fulco».

Le pressioni ricevute dal sindaco sono state oggetto di una specifica relazione di servizio redatta proprio dal maresciallo dei carabinieri allora comandante della locale stazione. Lo stesso Ciccone riferiva al maresciallo «Di essere stato avvicinato dei fratelli Paladino, di cui tuttavia non specificare il nomi, i quali gli avevano esternato di voler giudicare il bando di assegnazione di un lotto in quanto da anni erano loro a gestire quello spazio e che per tale motivo avrebbero gradito che il bando non prevedesse la clausola dell’offerta economica più alta. Ciccone riferiva di aver risposto ai Paladino che il bando sarebbe stato aggiudicato alla miglior offerta economica e tecnica e che di fatto aveva voltato le spalle agli interlocutori.

Specificava altresì che prima che il competente ufficio tecnico procedesse alla relazione del bando di gara aveva dato mandato al responsabile Doldo di predisporre il bando con determinati requisiti ed in particolare senza fissare un tetto massimo all’offerta economica in modo che tale gara potesse svolgersi senza che alcuno avesse la possibilità di attribuire punteggi in maniera poco trasparente. Tuttavia, Ciccone una volta pubblicato il bando da parte dell’ufficio tecnico constata che lo stesso non rispondeva gli indirizzi che gli aveva fornito ed in particolare era stato inserito proprio il tetto massimo dell’offerta economica. A questo punto riferiva di aver contattato l’architetto Doldo chiedendo spiegazioni in merito alle variazioni apportate al bando chiedendo se avesse ricevuto pressioni o minacce durante la redazione del bando di gara ricevendo tuttavia risposta negativa».

Gli intermediari

Ma che il rapporto tra Ciccone e il boss Fulco fosse portato avanti tramite intermediari sembra emergere dalle carte. Infatti, come riportato agli atti, persino l’avvocato Gaetano Ciccone, fratello del sindaco Ciccone, di rivolgeva a Giovanni Fulco per fare in modo che un cittadino si astenesse dal tenere comportamenti molesti ovvero far urinare il cane dinanzi alla farmacia della moglie. «Aldilà del carattere apparentemente bagatellare della vicenda, ciò che rileva è che il professionista si rivolgeva proprio a Fulco, di cui non poteva ignorare il carisma criminale e la connessa capacità persuasiva, per risolvere la questione ed indurre il disturbatore a più miti consigli. Era sempre Fulco a dare assicurazione al sindaco Ciccone, garantendo che nessuno avrebbe attentato alla sua vita».

Dopo l’esecuzione dell’ordinanza emessa nel procedimento “Lampetra” ampio eco avevano avuto le minacce rivolte dall’indagato Carmelo Cimarosa contro il primo cittadino per come messo nel corso delle intercettazioni: «Vostro fratello, se muore, muore di colesterolo, trigliceridi, e magari muore fottendo». Ma in diversi passaggi delle intercettazioni, emerge come Fulco abbia affermato «di aver portato voti all’amministrazione capitanata dal sindaco Ciccone e che, per tale motivo, pretendesse quanto gli spettava come corrispettivo».

La rabbia del boss

E Fulco lo dice chiaramente anche durante una conversazione con la madre Gioia Virgilia Nasone che, riferendosi al primo cittadino, lo indicavano – contestualmente – con entrambi i suoi soprannomi: “Fulco: Si doveva votare domani! lo vedevi a “Tre Cula!” (.. .) Dalla mattina alla sera con quel Maresciallo, sembra che i voti glieli ha dati Marino!(…) Nasone: Chi? Lui,”Tutù”? … “Due Cula”!(…) Io non lo voto più». Nelle carte si evince chiaramente come «Fulco ambisse ad ottenere favori da parte del sindaco Ciccone.

Le intercettazioni

Le immagini del sistema di videosorveglianza che ritraggono Giuseppe Fontana (nell’occasione ambasciatore del Fulco) ed il primo cittadino, impegnati in una riservatissima conversazione, dopo aver dismesso i telefoni cellulari per timore delle intercettazioni, sono al riguardo la prova più cristallina. Ed infatti, dopo essersi congedato da Fontana ed averlo inviato ad interloquire con il Ciccone, Giuseppe Fulco non aveva sbollito la rabbia contro l’amministrazione comunale, tanto che ironizzava sul fatto che il sindaco (appellato nella  circostanza “otto culi”) potesse avergli mandato i saluti, specificando come “ultimamente” (a differenza, quindi, di quanto era accaduto in passato) i loro rapporti si erano molto raffreddati». 

Anche conversando con altri soggetti Fulco lascia trasparire l’avversità contro il primo cittadino: «Fulco, tornava a criticare Ciccone, confidando di averlo incontrato in Piazza e di averlo minacciato. Evidenziava come il suo originario sostegno al sindaco, un tempo incondizionato, era progressivamente scemato sino a trasformarsi in netta ostilità. “Fulco: io sai come sono? Tanto amore, ah, tanta, tanta cosa, tanto odio” e sosteneva, addirittura, di non aver picchiato il primo cittadino solo per rispetto del fratello avvocato. Fulco rievocava la giustificazione che Ciccone andava da tempo adducendo per declinare le sue richieste (ovvero il timore di essere arrestato), ma sosteneva che si trattasse di una preoccupazione infondata. “Fulco: nessuno ti chiede di andare in galera per, nessuno (.. .) Gli ho chiesto(…) dietro alle scuole(…)Mi dice a me, non si può perché è adibito a parcheggi ma perché io non te lo pago».

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