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Il genio e il mito di Gianni Versace, il fratello Santo: «Ci aspettavano imprese straordinarie ma il 15 luglio 1997 tutto cambiò»

Il lavoro, la visione, l’unicità, la lungimiranza e i primi passi mossi nella sartoria di mamma Franca a Reggio Calabria. Uno stile ancora oggi inconfondibile. Il gigante indiscusso dell'alta moda fu assassinato a Miami all’età di 50 anni, 27 anni fa

Il genio e il mito di Gianni Versace, il fratello Santo: «Ci aspettavano imprese straordinarie ma il 15 luglio 1997 tutto cambiò»

«Dopo Firenze, tra giugno e luglio, la moda si sposta a Parigi, come d’abitudine. Il calendario prevede le sfilate della Haute Couture. Per noi significa presentare la collezione di Atelier Versace all’Hotel Ritz. Prima di Parigi, ci trovammo a Milano. Pranzammo insieme in via Gesù. Poteva essere il 29 o il 30 giugno. Eravamo io, Gianni, Antonio, Donatella e suo marito Paul (…).

Mi resterà negli occhi e nel cuore per sempre il finale della sfilata. Fu straordinario, ancora più del solito. Più Versace che mai. Le modelle erano drappeggiate in maglia metallica, Naomi in bianco, da sposa. Gianni, vestito di nero, apparve per pochi istanti, abbracciò le ragazze e salutò il pubblico.
Ci salutammo anche noi, prima di ripartire. Con un abbraccio, come sempre. Fu un abbraccio più lungo del solito, più forte. O forse sono io che lo ricordo così. Ultimo e indimenticabile».

Così Santo Versace chiude il libro “Fratelli. Una famiglia italiana” (Rizzoli 2022). Lo con il ricordo, nonostante per sua ammissione egli non indugi sulla nostalgia. Alle sue trappole preferisce la frenesia del presente e l’ossessione del futuro. Eppure con l’approssimarsi della data odierna, quel dolore fa capolino perchè Gianni Versace, assassinato a Miami nel 1997, genio indiscusso dell’alta moda che nella storia ha lasciato un segno inconfondibile, era prima di tutto suo fratello. Un fratello con il quale era cresciuto, del quale aveva condiviso i sogni e che aveva sostenuto. «Gianni è sempre nella mia vita», dice costantemente Santo.

La famiglia e la moda, due storie inestricabili

Una verità che emerge leggendo il racconto intimo “Fratelli”. Una storia familiare che necessariamente si intreccia con la storia del nostro Paese, con i roventi anni Settanta, con la storia della grande Moda e dell’ascesa del Made in Italy del mondo. Un’ascesa di cui fu protagonista assoluto lo spirito innovativo e creativo di Gianni Versace, nutritosi nella terra della Magna Grecia delle combinazioni di stoffe e colori che già immaginava fin da bambino nella sartoria di sua madre Franca Olandese Versace a Reggio Calabria. Una sartoria poi boutique Elle e poi Boutique Versace a Reggio Calabria, da anni chiusa, ed emblema delle origini di tutto il successo conseguito nel mondo, di tutta la bellezza e lo splendore irradiati attraverso e le 120 che nel 1990 erano aperte nel mondo.

«Dagli abissi di quel mare di Calabria dove furono scoperti i Bronzi di Riace, da quella storia veniva anche l’immaginario artistico di Gianni e il mondo se ne sarebbe accorto presto», scrive Santo Versace per sottolineare quanto le suggestione di questa terra nutrirono le sue visioni, il suo ideale di bellezza che lo resero mito e stile ormai conosciuti in tutto il mondo.

Della sua ascesa furono anima anche il fratello Santo e la sorella Donatella. Lei, in qualità di direttrice creativa della Gianni Versace «che oggi fa parte del gruppo Capri Holdings e di un polo di lusso che include marchi Michael Kors e Jimmy Choo, ha riannodato il filo della creatività con la tradizione della maison, tiene alto il marchio e fa un ottimo lavoro».

15 luglio 1997

Quel viaggio entusiasmante, infatti, fu violentemente interrotto dalla mano di Andrew Cunanan che uccise Gianni Versace con due colpi di pistola, in circostanze mai chiarite. Accadde il 15 luglio 1997 davanti all’abitazione di Miami Beach, la Casa Casuarina, dove lo stilista viveva con il suo compagno Antonio D’Amico, anche lui stilista, scomparso nel 2022.

«Mi sorprendo a pensare a come sarei, a come saremmo tutti, se Gianni fosse ancora con noi. Alle imprese straordinarie che lo aspettavano, ai progetti che avremmo potuto mandare avanti ancora insieme se la calibro 40 di un serial killer non lo avesse ucciso.
A Miami, il 15 luglio 1997, è morta anche una parte di me. Se riavvolgo il nastro nella mia mente, rivivo tutto. Lo struggente dolore della perdita di mio fratello. La violenza con cui la nostra famiglia, da sempre unita negli affetti e nel lavoro, è stata scaraventata nel lutto.
Il vuoto, incolmabile, che Gianni ha lasciato nella storia della moda ma soprattutto nella vita di tanti, amici e sconosciuti, famosi e non», scrive ancora Santo.

Ricordare rinnova il dolore ma tiene in vita la memoria

«Devo ringraziare Francesca De Stefano, mia moglie, se piano piano sono tornato a essere me stesso e ho ripreso a guardare avanti, al futuro, ai progetti della nostra fondazione per stare accanto ai più fragili che mi tengono impegnato ogni giorno. Però, quando, puntualmente, ogni mese di luglio, si avvicina l’anniversario della morte di Gianni, mi sento come Enea nel Il canto dell’Eneide. «Infandum, regina, iubes renovare dolorem!» (Tu mi costringi, o regina, a rinnovare un indicibile dolore!) dice l’eroico condottiero alla sovrana di Cartagine, Didone, che gli chiede di raccontargli gli orrori della guerra di Troia.


Mi sento costretto a rinnovare quel momento, quel martedì marchiato a fuoco sul cuore.
Sono passati più di 25 anni e ho capito che ricordare purtroppo non serve né mai servirà a comprendere né ad accettare. Ho anche capito, tuttavia, che ripercorrere quei momenti è terapeutico e, in qualche modo, mi riavvicina al pensiero di Gianni e ne tiene viva la memoria fuori, nel mondo». Così scrive ancora il fratello Santo per il quale raccontare la storia della sua famiglia, e quindi la storia di Gianni è stato un atto catartico.

Lady Diana

In quello stesso 1997 morì tragicamente anche la sua grande amica Lady Diana. «C’era un rapporto di stima e sostegno reciproco. Per lui vestire la donna più fotografata del pianeta voleva dire avere conquistato una sorta di Sacro Graal della fama. Per lei significava celebrare la bellezza delle creazioni di Gianni ma anche segnalare al mondo la libertà ritrovata (…).
Poco più di un mese dopo, se ne sarebbe andata anche lei, in quell’estate infernale, quell’estate in cui si sbriciolò un mondo, non solo il nostro. In un certo senso, in quei pochi mesi, finirono gli anni Novanta. All’improvviso, e in anticipo sulla data di scadenza. Si concluse un’epoca intera su cui la moda di Gianni aveva lasciato un segno inconfondibile».

L’infanzia con mamma Franca e papà Nino

Definisce bellissima la sua infanzia vissuta con papà Nino, la sua passione per la lettura e dei classici, e mamma Franca, il suo talento con le stoffe. «Eravamo al Teatro Cilea. Mamma e papà sedevano in platea, io e Gianni nel loggione, secondo le severe ma giuste regole educative di casa Versace. Ai figli si offrono opportunità, ma non li si vizia. Credo si trattasse del Ballo in maschera di Giuseppe Verdi. Per mio fratello fu una rivelazione, per me molto meno. Eravamo già così diversi.

Gianni è sempre stato un sognatore, un eterno bambino, io ero ipercinetico, smanioso di costruire, di affermarmi, di partecipare il prima possibile allo stesso tavolo dei “grandi”. Entrambi abbiamo avuto un’infanzia bellissima, con i genitori che lavoravano duramente ma erano realizzati e soddisfatti. Si viveva comodi, ma sempre consapevoli di avere più del necessario e educati alla generosità verso chi invece manca dell’indispensabile. Se mio padre stracciava le cambiali delle rate di chi non riusciva a finire di pagare il frigorifero, mia madre regalava abiti da sposa alle ragazze che non se lo potevano permettere».

Il dolore della perdita

Una famiglia che aveva già conosciuto il dolore della perdita. Santo con il fratello Gianni aveva già conosciuto il lutto tremendo e precoce che assale quando si perde un familiare troppo presto. La sorella primogenita Tinuccia era mancata quando non aveva ancora 10 anni. In quel momento Santo divenne il fratello maggiore e tale sarebbe rimasto per Gianni e per Donatella, la «bambina magica» che arrivò qualche anno dopo. Un fratello maggiore orgoglioso.

«I rapporti tra fratelli non seguono regole precise. Piuttosto, seguono le onde della vita. Ci si unisce e ci si disunisce – scrive Santo Versace – ci si allontana e ci si riavvicina. Si naviga a vista. Calma piatta o mareggiate. Qualcuno che casca fuoribordo e qualcuno che lo riacciuffa. Si arriva in porto navigando en souplesse o si è costretti a scappare, inseguiti dagli squali. Se devo dire qual è stato e qual è tuttora l’aspetto più straordinario della mia vita, più ancora dei risultati ottenuti, mi ha entusiasmato la navigazione. Ho seguito il vento, ho seguito il vento della nostra famiglia. Ho imparato a vivere dai miei genitori, ho incoraggiato i progetti di Gianni e poi di Donatella, ho protetto il nostro patrimonio».

E infatti Santo è stato un fratello maggiore che ha difeso la famiglia e la Gianni Versace dalle accuse di riciclaggio e rapporti con la ‘ndrangheta e che ha alimentato e sostenuto il lavoro nella moda scoperto insieme insieme a Gianni e alla madre.

«Per me la moda era Gianni»

«Mi sono occupato di moda. Ci ho messo l’anima per seguire Gianni, perché credevo in lui ma, dopo la sua morte, ci sono stato dentro ancora fino a quando è stato necessario per difendere il nostro patrimonio. Per me la moda era Gianni e con la morte di Gianni, su quell’acquario di pesci variopinti, è sceso il buio (…). Erano stati prima mia madre e poi mio fratello a farmi amare la moda, a farmi capire quanta arte, lavoro, disciplina e, al tempo stesso, follia, essa richiedesse. Per questo ho voluto, con il progetto Altagamma, valorizzare i migliori brand italiani. Per questo, oggi, i miei interessi continuano su quella scia di arte e cultura, attraverso, per esempio, la produzione cinematografica», racconta Santo Versace, tra il 1998 e il 1999 anche presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana.

«Gianni aveva scelto la moda per esprimere e coltivare il talento»

Di Gianni Santo ricorda la grinta, la grande personalità, il coraggio e la lungimiranza nel dichiarare la propria omosessualità già nel 1995. E ricorda anche l'”altro” che gli occupava la mente mentre decideva di non conseguire il diploma di geometra, dopo un travagliato percorso di studi. La sua strada aspettava ancora di essere trovata. Era sempre più vicina e orientata da una creatività implacabile e inesauribile, nutrita di fascino ed eleganza. «Disse esplicitamente a mio padre che non gli importava di diplomarsi.

Insofferente alle regole, aveva già altro per la testa. Un “altro” di fantasia che nessun corso di studi tradizionale poteva contemplare. Gianni affinò nel tempo la sua cultura e il suo universo estetico, da autodidatta. Diventò un uomo che poteva conversare a tu per tu con intellettuali e artisti, senza provare alcuna soggezione perché anche se non possedeva una preparazione accademica canonica, si era costruito un suo palinsesto di conoscenze e sapere che nutriva la sua creatività e viceversa (…).

La forza innovativa delle creazioni di Gianni si è affermata nel tempo, si è rivelata un successo di critica e di pubblico e nessuno può saperlo meglio di me, che ho seguito gli aspetti organizzativi, commerciali e finanziari dell’azienda fin dall’inizio. Quella radianza, quella unicità sono state il frutto di una mente creativa, geniale, sostanzialmente autodidatta che, da sola, ha scelto la moda come forma espressiva e ci ha coltivato il proprio talento». Così scrive ancora il fratello Santo Versace.

La prima sfilata, il 28 marzo 1978 a Milano

Da designer a consulente e collaboratore per prestigiosi marchi, ma il suo genio e la sua creatività lo portarono a Milano dove presto arrivò la sua consacrazione assoluta. La prima sfilata tutta sua. Un momento centrale della sua ascesa e che Santo associa ad una pagina buia della storia della nostra Repubblica.

«Quel giorno al bar quasi all’angolo con via Sant’Andrea – scrive ancora il fratello Santo – ricevetti la notizia del rapimento di Moro. Ero nel pieno della preparazione di un momento per noi cruciale. La prima sfilata delle collezioni disegnate da Gianni sarebbe avvenuta di lì a poco e poco lontano: il 28 marzo 1978 al Palazzo della Permanente di via Turati.
Pensare al contrasto tra il rapimento dell’allora presidente della Democrazia cristiana, l’apice più cupo e mortifero del decennio, e la vitalità di quello che per noi era il centro del mondo (la sfilata imminente, la scelta delle modelle, l’eccitazione per questa prova massima che ci attendeva) fa venire i brividi».

I Principi di Calabria

«Mi fa tornare alla mente un articolo che scrisse, tempo dopo, il sociologo Francesco Alberoni. Diceva così: “Durante gli anni di piombo, c’era qualcuno che credeva che il sole sarebbe tornato a splendere. Erano i quattro cavalieri della moda: il duca di Piacenza, i marchesi di Sumirago, la contessa di Bergamo e i principi di Calabria“.

I principi di Calabria eravamo noi– racconta Santo Versace – la contessa di Bergamo era Mariuccia Mandelli più nota come Krizia, i marchesi di Sumirago erano Rosita e Ottavio Missoni. Il duca di Piacenza, ça va sans dire, era Giorgio Armani».

L’olimpo della moda era stato, dunque, espugnato dalla Gianni Versace. Una consacrazione alla quale era riuscita a presenziare anche mamma Franca, morta poco dopo all’età di 58 anni. Solo qualche anno dopo, l’apertura della prima boutique in via della Spiga a Milano. Era il 20 marzo 1980. Poi furono decine le boutique aperte in tutti i continenti. A un soffio arrivarono la quotazione in borsa della società e la fusione con Gucci per formare il primo polo della moda italiano. Un soffio spazzato via il 15 luglio 1997.

Ciò che sarebbe stato, ciò che è e ciò che sarà

«Non esiste davvero un modo per fare i conti con tutto ciò che perdiamo. Io ci sto provando con questo libro. Raccontare è sempre catartico. Questo processo ha evidenziato le mie cicatrici.
Dopo Miami molte cose sono cambiate. La scomparsa di mio fratello ha creato spaccature in azienda e in famiglia.
Non posso impedirmi di pensare che se Gianni non ci avesse lasciato, saremmo rimasti compatti.
L’azienda non sarebbe entrata in crisi, non avremmo venduto e probabilmente avrei traghettato io stesso la Versace verso un destino diverso. La fusione con Gucci si sarebbe fatta e poi avremmo continuato con altre acquisizioni. Ma è inutile fantasticare: ci troveremmo ad affogare nel mare dell’irreversibilità». Emerge così il lato pragmatico e concreto di Santo Versace che, nonostante sappia cosa sia andato perduto, va avanti consapevole di cosa si sia fatto e conquistato.

Oltre la morte vive il genio

Gianni Versace sperava di vivere oltre la sua vita, come a presagire una morte precoce e forse, come nelle aspettative degli artisti desiderosi di vivere nelle opere che generosamente lasciano nel mondo. Possiamo affermare, intanto, che a distanza di quasi 30 anni dalla sua morte ci sia riuscito. Se come sosteneva Kant «Il genio è il talento (dono naturale) che dà la regola all’arte», certamente Gianni Versace ha fatto dono perpetuo del suo talento alla moda e alla bellezza tale in ogni tempo.

«I giovani vestono Versace o sognano di vestire Versace: è un risultato straordinario per un marchio che ha quasi mezzo secolo di vita. Ogni volta che vedo qualcuno con addosso qualcosa di nostro, ripenso a una conversazione che ebbi con Gianni una volta. Parlavamo di investimenti e progetti a medio termine. Lui mi interruppe per dirmi: “Santo, io ho bisogno che tu mi dica dove sarà la Gianni Versace dopo la mia morte”. Citava Hermès, maison nata nel 1837, citava Louis Vuitton, nata nel 1854. Gianni voleva essere immortale – conclude il fratello Santo Versace – e Donatella, oggi, sta prolungando egregiamente la sua storia interrotta troppo presto».

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