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Un atto di rispetto verso la libertà di essere e di tutela della privacy delle persone trans, il cui genere non è quello assegnato al momento della nascita e che a scuola o all’università vivono situazioni di forte disagio legate all’esigenza assolutamente primaria di riconoscimento sociale. Un atto che realizza una piena aderenza, anche al cospetto della collettività, dell’identità formalizzata nel nome a quella percepita da chi con quel nome è identificato.
Questo è la carriera Alias che si concretizza in una procedura attivata su istanza dallo studente o dalla studentessa trans o dalla famiglia in cui si chiede la sostituzione nel registro elettronico, negli elenchi e in tutti i documenti interni, del nome anagrafico con quello di elezione, scelto da chi fa istanza.
È un accordo di riservatezza tra istituzione scolastica e universitaria, studente o studentessa trans e famiglia (nel caso di studente minorenne), attraverso il quale si chiedono riconoscimento e denominazione con il genere percepito come il proprio, diverso da quello di nascita.
Non occorre presentare alcuna certificazione medica o psicologica dal momento che non trattasi di una malattia o di una patologia mentale, piuttosto dell’estrinsecazione sociale di una delle tante sane espressioni di cui è portatore il genere umano.
La carriera alias, garantendo benessere e sicurezza, previene continui e forzati coming out, le sofferenze inferte dagli atti di bullismo e di discriminazione in quello che è l’ambiente in cui la persona si forma e socializza per eccellenza, trascorrendovi anche tanto tempo.
Un’opzione che garantisce sicurezza e benessere
La possibilità di presentare tale istanza, tuttavia, presuppone che la scuola/università abbia adottato apposita procedura, instaurando quella buona prassi che sopperisca alla perdurante assenza di linee guida da parte del Ministero alle quali le Scuole di ogni ordine e grado possano fare riferimento per redigere appositi protocolli. Un’assenza che non impedisce alle scuole e alle università, che ogni giorno toccano con mano questo bisogno e hanno il compito istituzionale di assicurare benessere e sicurezza a tutte e tutti, di elaborare delle procedure adottate dagli Organi Collegiali competenti, ad integrazione del loro Regolamento.
Ciò interpretando, per esempio con riferimento alle scuole, le competenze attribuite dalle norme nazionali in materia di autonomia: «Nell’esercizio dell’autonomia organizzativa e didattica le istituzioni scolastiche realizzano iniziative di prevenzione dell’abbandono e della dispersione scolastica; le istituzioni scolastiche, nel rispetto della libertà di insegnamento, della libertà di scelta educativa delle famiglie e delle finalità generali del sistema riconoscono e valorizzano le diversità, promuovono le potenzialità di ciascuno adottando tutte le iniziative utili al raggiungimento del successo formativo».
Si tratta di un primo passo verso accordi aventi ad oggetto anche l’utilizzo di spazi sicuri come bagni e spogliatoi che poi sono anche i luoghi in cui avvengono spesse volte episodi di discriminazione e bullismo. Un punto di partenza per mettere in campo pratiche educative in grado di creare senso di appartenenza e consapevolezza in tutta la comunità scolastica e universitaria, rappresentando occasioni di crescita culturale diffusa nel segno di convivenza civile, parità, rispetto delle differenze e prevenzione di tutte le forme di discriminazione.
Il primo passo della Mediterranea
Una buona prassi che farà il suo ingresso all’università Mediterranea di Reggio Calabria che nelle sedute del Senato Accademico e del Consiglio di Amministrazione del 28 gennaio scorso, ha appunto approvato il “Regolamento per l’attivazione e la gestione delle Carriere Alias” per la componente studentesca. Una decisione adottata nell’ottica di attivare uno strumento di tutela dell’identità di genere all’interno dell’Ateneo dove sarà possibile utilizzare un nome diverso da quello anagrafico, come espressione del diritto alla propria autodeterminazione di genere. Una scelta in linea con lo Statuto dell’università Mediterranea e con la programmazione strategica di Ateneo in tema di pari opportunità, inclusione e contrasto ad ogni tipo di discriminazione.
«L’obiettivo – ha dichiarato il rettore Giuseppe Zimbalatti – è quello di favorire la realizzazione di un ambiente inclusivo, sempre ispirato al valore fondamentale della pari dignità delle persone. Un segnale di apertura ed attenzione al benessere psico-fisico di chi studia nell’Ateneo reggino nell’ambito dei corsi di Laurea, corsi di Dottorato, Scuole di specializzazione o Master».
Solo tre scuole in Calabria e nessuna nel reggino
Non lo stesso slancio si registra in Calabria e nel reggino sul fronte scolastico. Secondo un elenco aggiornato al 31 dicembre 2024 e stilato da Agedo nazionale, associazione di genitori, parenti, amiche e amici di persone lesbiche, gay, bisessuali, trans*, +, la Calabria è tra le regioni con il numero più basso di scuole che hanno adottato il regolamento Alias. Sui 418 istituti scolastici in Italia, in Calabria solo tre scuole al pari del Trentino Alto Adige e avanti soltanto a Val D’Aosta, Umbria (2), Basilicata e Molise (1). In Calabria le scuole sono l’istituto di Istruzione Superiore Giovanna De Nobili di Catanzaro, il liceo classico Telesio di Cosenza e il liceo statale Gianvincenzo Gravina di Crotone. Dunque, secondo questo elenco, nessuna scuola a Vibo Valentia e nessuna a Reggio Calabria.
Agedo: «Persone come le altre, non sbagliate»
«Non essere rappresentate nelle narrazioni del mondo che fa la Scuola attraverso i contenuti delle discipline e le attività extracurricolari, rende confuse e disorientate le persone con varianza di genere alle quali, invece, si dovrebbe permettere di “riconoscersi come esseri umani non sbagliati” e di riconoscere per sé, come per chiunque altro, un proprio posto nel mondo. I dati ci raccontano, una realtà agghiacciante, che le e gli studenti trans hanno il più elevato tasso di abbandono scolastico e questo non riconoscersi nella norma che la famiglia e la società si aspetta da loro è un accumularsi di sofferenze e disagi (che possono manifestarsi con depressioni, autolesionismo e atti suicidari, disturbi del comportamento alimentare e altro), talvolta seguito dal ritiro sociale (è in crescita il fenomeno degli hikikomori)». È quanto mette in luce Agedo.
Una questione di uguaglianza, libertà e civiltà
Il cammino è, dunque, ancora lungo ma i riflessi di tale prassi sarebbero ampi e di notevole impatto. Tale possibilità è particolarmente paradigmatica di quella rimozione di ostacoli di cui parla la nostra Costituzione in uno degli articoli fondanti del nostro stato di Diritto, ossia l’articolo 3 sull’uguaglianza. La scuola e l’università diventano il braccio di quella Repubblica che ha il compito prioritario di «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
La critica di Pro Vita & Famiglia
Un cammino lungo o forse inutile e già pronto a terminare se per identità di genere non si intende una manifestazione legittima della propria personalità ma una ideologia che va contro il corso storico della società. Le opinioni su questo passo intanto compiuto dalla Mediterranea sono, infatti, come prevedibile contrapposte. Plaudono Arcigay I due mari e Agedo Reggio Calabria. Critica il gruppo reggino di Pro Vita & Famiglia.
«Mentre tutto il mondo ormai ha capito quali dannose conseguenze produca la teoria gender, l’università Mediterranea decide di assecondare una sparuta minoranza che ha fatto della sessualità una ideologia e di porsi di fatto contro il corso storico. La recente approvazione della cosiddetta “carriera alias” da parte dell’ateneo reggino – commenta il gruppo reggino di Pro Vita & Famiglia – arriva in un momento dove tutti questi provvedimenti vengono ormai messi in discussione e annullati, anche l’Italia non è da meno in questo momento di sana revisione. È di questa estate, infatti, la sentenza della Corte costituzionale in cui si nega la possibilità di riconoscere nei Tribunali una presunta terza identità sessuale “non binaria”, cioè né maschile né femminile.
La Corte Costituzionale ricorda, giustamente, che la natura binaria della sessualità umana (uomo-donna) caratterizza i più disparati ambiti del vivere sociale disciplinati dall’ordinamento giuridico, come il diritto di famiglia, del lavoro, dello sport e dello stato civile, e che quindi il riconoscimento per via giudiziaria di un presunto terzo genere “non binario” sconvolgerebbe l’intero sistema giuridico e sociale italiano in modo tanto pervasivo da non essere compatibile con i poteri e le attribuzioni della Corte Costituzionale né di qualsiasi giudice».
Pro Vita & Famiglia: «Una questione irrilevante di puro e riconosciuto contenuto ideologico»
«La Consulta – prosegue il gruppo reggino di Pro Vita & Famiglia – cita anche il fenomeno della “carriera alias” nelle scuole e nelle Università come un esempio di questione sociale legata al tema dell’identità di genere “non binaria”, ribadendo però che la legge italiana “stabilisce il principio della corrispondenza tra nome e sesso” e che, pertanto, solo un intervento legislativo potrebbe superare o cambiare questa regola.
Bisogna fare anche un’ultima considerazione che supera le autorevoli valutazioni della Consulta, ovvero che qui ci sono in gioco lo sviluppo e la crescita di intere generazioni che invece di essere supportate in un percorso che gli dia forti strumenti di orientamento nella vita, vengono trascinate in questioni assolutamente irrilevanti perché di puro e riconosciuto contenuto ideologico. Siamo convintissimi che i giovani che quotidianamente frequentano l’università reggina abbiano altri interessi da certe questioni e non perché indifferenti o insensibili alle discriminazioni ma semplicemente perché le nuove generazioni hanno già in sé questi anticorpi.
Sarebbe più opportuno valorizzare questi anticorpi e per fare ciò basterebbe semplicemente che l’Università rispondesse alla sua vera vocazione, ovvero non di strumento ideologico foriero soltanto di confusione e contrapposizione ma luogo di trasmissione dei saperi per la formazione integrale della persona che dovrà poi continuare costruire la società del futuro. È la cultura, infatti, a creare dialogo, rispetto, partecipazione, creatività e confronto; tutto il resto – conclude il gruppo reggino di Pro Vita & Famiglia – è macchinazione imposta e che ha sempre e solo portato contrasti, confusione e addirittura violenza».
Scuole in crescita ma non in Calabria
Non dello stesso avviso sono le considerazioni di Arcigay I due Mari e Agedo di Reggio Calabria.
«Queste tipologie di dispositivi rendono migliore il percorso universitario di tante persone che decidono di studiare o lavorare presso l’ateneo mediterraneo. Non possiamo che essere felici come comitato Arcigay Reggio Calabria di questa notizia», ha dichiarato Michela Calabrò, presidente Arcigay I due Mari Reggio Calabria. Fa eco anche Mirella Giuffrè, presidente di Agedo Reggio Calabria.
«Siamo molto soddisfatti che anche sul nostro territorio si stia innescando un cambiamento culturale di inclusione e civiltà non solo per la nostra comunità. Le Università italiane sono state le prime che hanno iniziato e sono ormai numerosi gli atenei che assicurano questo diritto. L’alias compare sul badge-libretto universitario e nell’indirizzo mail istituzionale e possono fruirne, oltre agli studenti, tutti gli appartenenti alla comunità accademica. Secondo la piattaforma Infotrans, sono circa una cinquantina le Università italiane che hanno attivato questo servizio.
Può essere una vera tortura l’essere nominati per un ciclo scolastico o universitario con il proprio dead name, nome in cui una persona trans o non binaria non si riconosce più. Nelle scuole di I e II grado ancora c’è tanta strada da fare, attualmente sono oltre 400 le scuole italiane che prevedono la carriera alias, negli ultimi tre anni, la sua adozione è cresciuta del 188 per cento: un’affermazione dei principi di autonomia, autodeterminazione e diritto allo studio.
Più del 40 per cento delle persone transgender tra i 12 e i 18 anni abbandonano la scuola anzitempo, spesso proprio per l’imbarazzo di dover giustificare l’incompatibilità acquisita col proprio nome (e pro-nome) anagrafico, e sono numerosi gli episodi di depressione e autolesionismo, quando non peggio».
Il coming out già in età adolescente
«Dobbiamo solo proteggere questi ragazzi, che sono come tutti gli altri. A chi asserisce – sottolinea Mirella Giuffrè, presidente di Agedo Reggio Calabria – che prima gli adolescenti transgender non esistevano e adesso sono spuntati come funghi, noi di Agedo facciamo presente che prima non uscivano allo scoperto se non arrivati all’Università. Il battage pubblicitario che c’è stato, persino quello negativo, ha acceso i riflettori sulla questione e i ragazzi si sentono più sicuri e si dichiarano per quello che sono realmente.
Un’altra riflessione da fare è che se fino a tre anni fa ci si rivolgeva all’associazione al quarto o al quinto anno della scuola superiore, ora la richiesta arriva intorno al terzo anno, verso i 16-17 anni. E non mancano richieste già dalle medie, a partire dagli undici anni. L’ostacolo principale è sempre l’ignoranza sulla tematica, le maggiori resistenze si incontrano tra i professori, ma non tra i ragazzi. Loro conoscono bene – sottolinea ancora Mirella Giuffrè, presidente di Agedo – le differenze tra orientamento sessuale e identità di genere.
Mi sento di affermare che negli anni molti muri sono crollati, nonostante i tentativi di cancellare o ridimensionare quest’opzione: soprattutto in una nazione, come la nostra, nella quale il cambio di identità anagrafica resta tortuoso e ancorato a una legge inevitabilmente invecchiata, la 164 del 1982. Legge che pure era entrata in vigore dopo anni di lotte. Le persone transgender esistono, sono sempre esistite e sempre esisteranno».
L’appello alle scuole
«Non è che negando loro la carriera alias spariranno. Semplicemente, vivranno peggio. Per questo mi auguro che anche le Dirigenti e i Dirigenti scolastici della nostra città, più volte sollecitati da Agedo – conclude Mirella Giuffrè, presidente di Agedo Reggio Calabria – possano prendere in considerazione l’introduzione di questa procedura nei loro regolamenti, offrendo così un ambiente ancora più sicuro e inclusivo alle loro studentesse e ai loro studenti».