9 agosto 1991: Antonino Scopelliti, una vita da giudice e una morte rimasta senza giustizia
Trent'anni fa, nel 1994, Totò Riina e gli altri capi di Cosa Nostra davanti alla Corte di Assise di Reggio, imputati nel processo di primo grado le cui condanne all'ergastolo furono tutte annullate in appello. E non furono le uniche
Il processo per il delitto Scopelliti si svolse presso la corte di assise di Reggio Calabria, nel palazzo dello storico tribunale di Reggio Calabria, in piazza Castello, oggi sede della corte di appello. La pubblica accusa era rappresentata dal pm reggino Salvatore Boemi. Si stava celebrando in un clima abbastanza incandescente. Nell’aprile del 1995 era stato, infatti, necessario l’intervento a Reggio del capo della procura Antimafia Bruno Siclari. Lo aveva richiesto il sovraccarico di lavoro a fronte di risorse umane scarse.
I processi in corso erano tre: processo Olimpia, sulla seconda guerra di mafia reggina, il processo per la morte di Lodovico Ligato, il processo per l’assassinio del giudice Antonino Scopelliti. Nell’ambito di quest’ultimo era stato accertato l’asse ndrangheta – cosa nostra.
Trent’anni fa il processo a Reggio con Totò Riina
Era il maggio 1994 e a Reggio Calabria si stava svolgendo il processo contro la “cupola” di Cosa Nostra per l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti. Nel processo era imputato anche Totò Riina, come mandante, unitamente agli altri capi mandamento e componenti della “commissione” di Cosa Nostra. Era presente e invocava l’abolizione della legge sui pentiti e sugli sconti di pena, accusando gli stessi collaboratori di giustizia di essere bugiardi. Così aveva fatto anche quando in aula era tornato, il 26 aprile dell’anno successivo, del 1995, sempre a Reggio Calabria. Infami e menzogneri dunque coloro che svelavano l’organizzazione di Cosa Nostra, causando l’inizio della fine.
Riina era stato arrestato poco più di anno prima, il 15 gennaio 1993, dal Crimor (Criminalità Organizzata), squadra speciale del Ros, guidata dal capitano Ultimo Sergio De Caprio, dopo ventitrè anni di latitanza; si trovava a Palermo nella villa dove da un pò di tempo viveva con la moglie Antonietta Bagarella e i quattro figli, nati tutti durante la latitanza.
La girandola delle condanne e delle assoluzioni
Per l’omicidio del magistrato la corte di assise di Reggio Calabria, arrivò l’11 maggio 1996 la sentenza di condanna all’ergastolo dei vertici di cosa nostra, Salvatore Riina, Pippo Calò, Francesco Madonia, Giacomo Gambino, Giuseppe Lucchese, Bernardo Brusca, Salvatore Montalto, Salvatore Buscemi, Antonino Geraci. Loro avevano, secondo i giudici di primo grado, ordinato la morte di Scopelliti. Il quadro venne stravolto dalla sentenza di assoluzione emessa dalla corte d’assise di appello di Reggio Calabria nell’aprile del 1998.
Un altro processo venne incardinato dinnanzi alla Corte d’assise di Reggio Calabria nel dicembre dello stesso anno. Furono condannati Bernardo Provenzano, i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, Raffaele Gangi, Giuseppe Farinella, Francesco Giuffrè e Benedetto Santapaola. Stesso copione. La corte di assise di appello di Reggio Calabria il 14 novembre 2000 riformò la sentenza di primo grado e assolse tutti. La Cassazione confermò nel 2004.
Nel luglio del 2012 nel corso del processo Meta contro la ‘ndrangheta a Reggio Calabria, il pentito della cosca De Stefano, Antonino Fiume, dichiarava che ad uccidere il giudice erano stati due reggini su richiesta di Cosa nostra ma nulla di più.
Le indagini ancora aperte ma difficili della procura di Reggio Calabria
Nel 2019 tra i nuovi diciassette indagati tra esponenti di cosa nostra e della ‘ndrangheta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, quindi dal procuratore capo Giovanni Bombardieri, dall’allora procuratore aggiunto Gaetano Calogero Paci (oggi procuratore capo a Reggio Emilia) e dal procuratore Giuseppe Lombardo, anche l’allora superlatitante, la primula Rossa, Matteo Messina Denaro, catturato nel gennaio 2023 e deceduto nel settembre successivo.
Il ritrovamento, nel 2018, nel catanese di un’arma indicata dal pentito Maurizio Avola come quella utilizzata per il delitto aveva fatto ben sperare sperare in una svolta concreta delle indagini. Invece…
«L’inchiesta sull’omicidio del magistrato Antonino Scopelliti non si è ancora conclusa e, allo stato, vede la necessità di sviluppo di alcuni accertamenti tecnici sull’arma del delitto che all’epoca fu rinvenuta su indicazione di uno dei collaboratori di giustizia di cui ci siamo avvalsi. Si tratta di accertamenti difficili – questo dichiarava il procuratore capo della Repubblica a Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, in audizione davanti alla commissione Antimafia lo scorso settembre – perché si svolgono a distanza di tantissimo tempo su un’arma che, nel momento in cui fu ritrovata, era in condizioni pessime.
Attraverso una consulenza tecnica molto articolata, disposta anche per individuare il lotto di armi da cui proveniva il fucile, si sta cercando di ricostruire e ottenere dei riscontri a quanto riferito del collaboratore. Quindi un’indagine molto importante alla quale la Procura di Reggio Calabria tiene tanto, ma che incontra una serie di ostacoli oggettivi». Così concludeva il procuratore capo della Repubblica di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri.
Un quadro complesso dove a rimanere sullo sfondo c’è la commistione di interessi per destabilizzare lo Stato comune a cosa nostra e alla ‘ndrangheta. È emersa con forza nel recente processo ‘Ndrangheta stragista. Nella sentenza d’appello del processo il nome del giudice Antonino Scopelliti, infatti, ricorre.
Un accordo, dunque, tra le più spietate mafie del Sud Italia per fermare nell’unico modo possibile, l’azione coraggiosa ed imperturbabile di un giudice onesto, integro e incorruttibile, quale Antonino Scopelliti è stato.
L’agguato
In località Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, nel comprensorio di Reggio Calabria, mentre era alla guida della sua auto, il giudice Antonino Scopelliti veniva ucciso in un agguato, il 9 agosto 1991. Senza scorta, venne avvicinato da due persone a bordo di una moto, armati di fucili calibro 12 caricati a pallettoni. Fu colpito con due colpi alla testa esplosi in rapida successione. Morì istantaneamente e la sua auto finì in un terrapieno. A settembre di quell’anno avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa nel giudizio di appello avverso le condanne seguite al Maxiprocesso di Palermo istruito da Falcone e Borsellino; il processo penale più imponente di sempre. Gli fu impedito.
Da sostituto procuratore Generale presso la suprema corte di Cassazione proprio nella casa a Campo Calabro quell’estate, Antonino Scopelliti, studiava i faldoni contenenti le carte redatte e messe insieme da Paolo Borsellino e Giovanni Falcone, che subito dopo l’agguato si era recato arrivò a Campo Calabro per manifestare vicinanza ai familiari.
Antonino Scopelliti, magistrato
Magistrato integro e incorruttibile, indipendente e rigoroso. Pubblico ministero presso la procura della Repubblica di Roma, poi presso la procura della Repubblica di Milano, quindi procuratore generale presso la Corte d’appello e infine sostituto procuratore Generale presso la Suprema Corte di Cassazione.
Si occupò di mafia e anche di terrorismo, rappresentando la pubblica accusa nel primo processo sul caso Moro ed in quelli relativi al sequestro dell’Achille Lauro, alle stragi di Piazza Fontana e del Rapido 904. Tra i processi a lui affidati anche quello contro Cosa Nostra. L’estate del 1991 lavorava proprio al rigetto dei ricorsi avverso le condanne in appello presentati, dinnanzi alla corte di Cassazione, dagli imputati nel maxiprocesso di Palermo, istruito da Falcone e Borsellino nella prima metà degli anni Ottanta, con 460 imputati, 19 ergastoli e di oltre 2600 anni complessivi di reclusione.
In questa data, il “silenzio” della fondazione Scopelliti
Già lo scorso anno, in occasione della commemorazione a Piale, assordante era stato il silenzio della figlia Rosanna, presidente della fondazione intitolata alla memoria del padre. Aveva solo 7 anni quando suo padre fu ucciso. A distanza di oltre trent’anni scoraggiata dalla mancanza di nuovi elementi nella indagini sulla morte del padre, già lo scorso anno aveva deciso di non rilasciare dichiarazioni e di non intervenire. Quest’anno anche l’anticipazione del premio per le eccellenze reggine, non più ricadente nel giorno dell’anniversario della morte.
«Ho sempre amato ricordare papà con un sorriso, soprattutto il 9 agosto, data della sua uccisione. È questo il motivo – spiegava la figlia Rosanna e presidente della fondazione Antonino Scopelliti lo scorso luglio – con la Fondazione Scopelliti, onoravamo questa data con un’iniziativa gioiosa: il Premio intitolato alla sua memoria.
Purtroppo però, questi anni di silenzi, questo continuare a stringersi le mani in maniera contrita negli anniversari chiedendo pazienza alla mia famiglia anno dopo anno in attesa di una svolta che pare sempre più lontana, non basta più. Infatti, fino a che non verrà fatta chiarezza sul delitto e papà non riceverà verità e giustizia, so che non avrò la forza di vivere quel giorno come un momento di memoria e speranza, un giorno in cui ricordare papà con un sorriso, nonostante tutto. Ecco perché – concludeva Rosanna Scopelliti – ho deciso di anticipare il Premio Antonino Scopelliti di un mese esatto: per poter condividere al meglio e con la serenità del quotidiano lavoro realizzato dalla Fondazione, il ricordo di mio padre accanto a chi si impegna giorno per giorno a rendere migliore il nostro territorio».
«Con l’approssimarsi di questa data noi familiari – racconta il nipote del giudice Scopelliti, l’avvocato Natale Polimeni – veniamo assaliti da tristezza mista a rabbia. Percepiamo come statica la situazione delle indagini, a meno che non vi siano elementi non resi ancora noti. Nel 2019 avevamo creduto davvero in una svolta e in una verità meno lontana. Ma a distanza di 33 anni, ci ritroviamo ad ammettere di non registrato neppure un minimo riscontro concreto».
La commemorazione promossa dai Comuni di Villa San Giovanni e Campo Calabro
Una due giorni è stata promossa dai comuni di Villa San Giovanni e Campo Calabro.
Oggi alle 17:30 la Santa Messa commemorativa nella chiesa di Santa Maria Maddalena di Campo Calabro. Seguirà alle 18:30 la deposizione della corona presso la Stele sul luogo dell’agguato. Alle 19:30, sulla Terrazza del lido del Finanziere l’incontro dal titolo “La lotta alle mafie: un impegno di tutti”. Interverranno Wanda Ferro, sottosegretaria di Stato al Ministero dell’Interno, Clara Vaccaro, prefetta di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, procuratore Capo Reggio Calabria, Luciano Gerardis già Presidente Corte d’Appello reggina, Rosanna Scopelliti, presidente Fondazione Antonino Scopelliti.
Modererà l’incontro Domenico Santoro, giudice della sezione Gip del tribunale di Milano. I momenti di riflessione saranno curati dall’associazione Ponti Pialesi – MuMe Museo delle Memorie, presidio della legalità intitolato alla memoria del giudice Scopelliti e dal presidio di Libera intitolato alla memoria
del compianto vicesindaco Giovanni Trecroci, anche lui vittima della mafia.