venerdì,Ottobre 4 2024

Carcere Reggio, l’attivista curdo-iraniana Maysoon debilitata e sofferente si prepara alla nuova udienza

Si recherà al tribunale di Crotone con il suo avvocato Giancarlo Liberati, mercoledì 18 settembre, La 28enne, sbarcata in Calabria alla fine del 2023, è accusata di essere una scafista

Carcere Reggio, l’attivista curdo-iraniana Maysoon debilitata e sofferente si prepara alla nuova udienza

«Molto depressa, abbattuta e sconfortata. Aveva ripreso anche lo sciopero della fame dal quale ha desistito con lo scopo di arrivare in forze alla seconda udienza dibattimentale fissata per mercoledì 18 settembre dinnanzi al tribunale di Crotone, città dove è sbarcata lo scorso 31 dicembre. Ha intenzione di rilasciare una dichiarazione spontanea per ribadire la sua innocenza e chiedere, questa volta lei direttamente al giudice, di poter uscire al carcere per proseguire la detenzione ai domiciliari».

È quanto spiega Giancarlo Liberati, avvocato dell’attivista per i diritti umani curdo-iraniana di 28 anni Maysoon Majidi, regista, attrice e anche reporter indipendente, espostasi contro il regime e vessata anche dalla “polizia morale” del paese di provenienza dal quale è fuggita insieme al fratello. Sbarcata a Crotone nel dicembre 2023, è stata arrestata con l’accusa di essere una scafista. È stata detenuta nel carcere di Castrovillari fino allo scorso luglio quando le è stato accordato il trasferimento nel carcere di Reggio Calabria. Per lei, infatti, niente domiciliari. L’istanza è stata respinta e il prossimo 17 ottobre sarà il tribunale della Libertà di Catanzaro a pronunciarsi sull’appello cautelare presentato dallo stesso avvocato Giancarlo Liberati.

Il trasferimento nel carcere di Reggio

«La situazione a Castrovillari era diventata particolarmente complicata e dai racconti di Marjan Jamali che era detenuta a Reggio Calabria, prime che a lei fossero concessi i domiciliari, sapevo che il clima qui sarebbe stato meno ostile. Tuttavia la giovane, piuttosto debilitata, patisce una condizione di limitazione della libertà personale di cui non riesce a farsi una ragione. Questo la turba molto. Sta imparando la lingua italiana e con il nostro supporto legge gli atti che riguardano il suo processo e che a breve, come da me richiesto, le saranno forniti nella sua lingua, come è un suo diritto.

Lei manifesta, legittimamente, l’esigenza di capire perché da innocente sia detenuta nel paese dove è arrivata convinta che la sua libertà non sarebbe stata minacciata come già accadeva in Iran. Unica nota positiva, il ritrovato contatto con il fratello Razhan, di cui non aveva notizie da alcune settimane». Così prosegue il suo avvocato Giancarlo Liberati, il cui studio legale ha sede a Reggio e che, dal momento del suo trasferimento, tutte le settimane va a trovarla in carcere.

«Mi hanno arrestato. Non riesco ancora a capire il perché»

«Mi chiamo Maysoon Majidi, sono nata il 29 luglio del 1996. Questa è la mia voce! Sono laureata in teatro e ho un diploma magistrale – ha scritto Maysoon in una lettera aperta pubblicata sul Manifesto nelle scorse settimane – e sono attivista politica e membra dell’organizzazione dei diritti umani Hana, partecipo al coordinamento dei Curdi in diaspora, sono attivista dei diritti delle donne e delle nazioni sottomesse. Ho partecipato alle lotte del popolo curdo per sette anni. Sia io che mio fratello abbiamo ricevuto molti messaggi di minacce da parte del regime iraniano, così abbiamo dovuto lasciare l’Iraq. Nel 2019 sono dovuta scappare dall’Iran con mio fratello. Negli ultimi due anni ho lavorato come reporter e giornalista indipendente. Nell’agosto 2023, insieme ad altri attivisti, abbiamo pagato cinquemila euro per entrare in Turchia come rifugiati. Il 27 dicembre, insieme ai passeggeri di un altro camion, siamo arrivati in spiaggia, camminando in mezzo alle montagne per ore. Abbiamo viaggiato in mare. Dopo lo sbarco il poliziotto e il mediatore mi hanno chiesto chi guidasse la barca. Ho risposto: “Non lo so”. Poi sono venuti ad arrestarmi. Non riesco ancora a capire il perché». Così ha scritto ancora Maysoon.

Una detenzione vissuta come una profonda ingiustizia dalla giovane, accusata di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare ai sensi dell’art. 12 del Testo Unico sull’Immigrazione, che con il suo avvocato sarà presente anche alla seconda udienza dibattimentale presso il tribunale di Crotone mercoledì prossimo. Il processo si è aperto lo scorso 24 luglio e procederà, salvo rinvii e ritardi almeno fino alle fine dell’anno.

Il processo

«Mercoledì prossimo e a seguire il primo ottobre saranno sentiti i funzionari e ausiliari della polizia giudiziaria che hanno operato controlli, accertamenti e tutte le attività successive allo sbarco, dunque i testimoni dell’accusa convocati dal Pubblico ministero. Il 22 ottobre sarà sentita Maysoon e dopo si inizierà l’escussione dei cinque testimoni a difesa di Maysoon. Si tratta del capitano detenuto a Crotone, il cittadino turco Akturk Ufuk che ha già dichiarato che nessun ruolo è stato svolto dalla giovane durante la traversata e che solo lui ha condotto la barca, il fratello Razhan Majidi e altri tre migranti che hanno viaggiato con lei, che adesso si trovano in Germania e che potranno testimoniare come Maysoon non abbia svolto durante la traversata alcuna mansione da scafista. Saranno ascoltati da remoto. Il processo proseguirà con altra udienza, il 5 novembre, per la discussione prima della sentenza». È quanto ha spiegato ancora il legale Giancarlo Liberati che si è poi soffermato sugli argomenti a sostegno dell’innocenza dalla giovane.

Le dichiarazioni “mai rilasciate” e la falsa irreperibilità

«Ad accusare Maysoon sono stati due compagni di traversata Alì, cittadino curdo-iracheno e oggi in Inghilterra, e Hassan, cittadino curdo-iraniano in Germania fino al mese scorso a adesso anche lui in Inghilterra, le cui dichiarazioni sono state raccolte subito dopo lo sbarco. Le stesse dichiarazioni però, contrariamente ad ogni obbligo di legge, non sono state in alcuna modalità registrate e sono state acquisite senza la presenza di entrambe le parti, pubblico ministero e difesa. Dichiarazioni, ancorché fondanti l’accusa, che dal punto di vista giuridico e processuale sono dunque nulle.

L’incidente probatorio per acquisirle ai fini processuali è stato disposto con grave ritardo, due mesi dopo, adducendo poi anche l’impossibilità di reperirli. I migranti non trattenuti, ovviamente si spostano. Tale irreperibilità è stata comunque smentita, avendo io stesso dimostrato che almeno uno dei due, Hassan, fino allo scorso maggio era raggiungibile telefonicamente. Ho io stesso fornito anche il suo numero di telefono.

Al sottoscritto Hassan ha dichiarato di avere subito pressioni dalla polizia per firmare verbali di cui non comprendeva il significato e attraverso i quali, in violazione palese dello stato di diritto e di qualunque procedura di acquisizione di dichiarazioni, affermava circostanze a sostegno dell’accusa di Maysoon. Questo il quadro che continua a tenere in carcere, con tanto di diniego degli arresti domiciliari, Maysoon. Mi trovo costretto a denunciare che ci è stato impedito di dimostrare che nessuna accusa era stata mossa da queste persone a Maysoon Majidi. Come scriveva Plutarco, le tele dei ragni catturano le mosche ma lasciano fuggire le vespe. Ci si ostina a punire innocenti invece di perseguire i trafficanti. Maysoon ha fatto nomi e cognomi di coloro ai quali si dovuto rivolgere per arrivare in Italia. Mi chiedo se siano stati cercati», incalza ancora l’avvocato Liberati.  

Innocenti e colpevoli, migranti e trafficanti

Se si ripensa anche all’approssimazione delle indagini condotte anche con riferimento alla giovane iraniana Marjan Jamali emersa in occasione della prima udienza nel suo processo – la prossima udienza, il 28 ottobre, per il prosieguo dell’esame dei testimoni dell’accusa –  tutto lascia intendere che il sistema che il nostro Paese è stato in grado di mettere in piedi per accertare cosa avvenga prima dell’approdo, cerchi colpevoli più che voler condurre indagini, perseguire i reali responsabili e arrivare ai trafficanti. Tutto ciò, attesa la mole di migranti che arriva e l’evidente impossibilità di sentirli e perquisirli tutti almeno con l’organizzazione e l’organico in servizio a disposizione a oggi.

Maysoon oggi dovrebbe essere una rifugiata politica, come prevede la convenzione di Ginevra del 1951 sottoscritta anche dal nostro Paese, che avrebbe dovuto esercitare il diritto di chiedere asilo e protezione in Italia perché nel suo paese di origine rischiava di subire violazioni dei diritti umani per le sue idee e il suo attivismo per i diritti. Invece Maysoon in Italia è in carcere a Reggio Calabria, impegnata a sopravvivere a un’accusa che non capisce e a difendersi da dichiarazioni nulle.

Violazioni delle procedure

«Le violazioni di procedura riguardano anche altri profili attinenti agli elementi a difesa dell’attivista curdo-iraniana. I dati – prosegue il difensore di Maysoon, Giancarlo Liberati – del suo telefono sono stati sorprendentemente acquisiti senza alcuna notifica al sottoscritto, difensore dell’imputata. In quanto accertamenti irripetibili, anche i consulenti di parte avrebbero dovuto essere presenti. Da quei dati emergono, comunque, una serie di prove che attestato l’estraneità della giovane ai reati contestati. Sono dimostrabili i pagamenti del viaggio. Dunque la difesa prosegue la sua attività allo scopo di dimostrare la piena innocenza di Maysoon», conclude l’avvocato Giancarlo Liberati.

Masha Amini e il movimento Donna Vita Libertà

La prossima udienza cadrà a distanza di due giorni dall’odierno drammatico anniversario che troppo presto, evidentemente, ha smesso di interrogare la coscienza dell’Occidente e anche del nostro Paese.

Il 16 settembre 2022, infatti, Mahsa Amini, la giovane curdo-iraniana moriva, dopo tre giorni di agonia, a seguito del pestaggio della polizia religiosa a Teheran. La sua colpa? Una ciocca di capelli fuori posto, un velo indossato non in maniera corretta. Questo è il paese dal quale è fuggita Maysoon, anche lei una giovane donna e anche lei una voce stonata nel coro silente in cui si vorrebbero relegare le donne e ogni dissidente. Dopo la morte di Mahsa è nato in Iran, che da luglio ha il nuovo presidente riformista Massoud Pezeshkian, il movimento Donna Vita Libertà. All’indomani della morte della giovane, esso ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di persone. Un gruppo di prigioniere politiche nel carcere di Evin, a Teheran, ha iniziato oggi uno sciopero della fame per ricordare Masha e la nascita del movimento Donna, Vita, Libertà.

Questo è l’Iran dal quale sono fuggite Marjan e Maysoon, un paese in cui per altro a subire pressioni ci sono anche le minoranze come quella curda. Il Kurdistan ha una singolare situazione politica: le sue regioni comprendono gran parte della Turchia sud-orientale, l’Iran nord-occidentale, l’Iraq settentrionale e la Siria settentrionale.

L’appello di Amnesty International

Per Maysoon è già attiva una rete di solidarietà composta da numerose associazioni anche in contatto con l’analoga rete formatasi a Reggio a sostegno di Marjan Jamali. Per lei anche la sezione italiana di Amnesty international ha lanciato un appello per chiederne il rilascio e un processo equo. Un appello che è anche occasione per chiedere interventi legislativi necessari per adeguare la legislazione italiana in materia di immigrazione agli standard internazionali dei diritti umani.

«Allo stato attuale, il reato di ‘favoreggiamento dell’immigrazione irregolare’ viene utilizzato per punire persone che stanno semplicemente salvando vite umane senza trarne alcun vantaggio economico, o persone accusate sommariamente di essere scafiste perché in viaggio su imbarcazioni di fortuna, a rischio della propria vita, pur di cercare protezione fuori dal proprio paese. Tutto ciò – incalza la sezione italiana di Amnesty International – è in contrasto con i principi di necessità e proporzionalità della Costituzione italiana e del diritto internazionale sui diritti umani, compreso il diritto dell’Unione europea.

L’art. 12, per come è configurato e per la sua applicazione, si inserisce in una visione criminalizzante della migrazione di per sé, esplicitata all’art. 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, che prevede i reati di ingresso e soggiorno illegali: una norma in contrasto con le disposizioni del diritto internazionale, dove si riconosce che l’ingresso irregolare può essere spesso l’unica opzione per molte persone in cerca di protezione, in mancanza di canali di ingresso regolari e sicuri.

È urgente attuare una riforma del reato di ingresso e soggiorno irregolari e del loro favoreggiamento. Pertanto, chiediamo al governo e al legislatore di:

  • rivedere la legislazione nazionale per garantire che sia necessaria la presenza di un vantaggio finanziario o materiale per criminalizzare il favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno di un cittadino straniero in situazione irregolare;
  • ampliare la clausola di esenzione umanitaria obbligatoria che impedisca di perseguire individui e gruppi che agiscono pacificamente per proteggere i diritti umani e la dignità di persone rifugiate e migranti;
  • depenalizzare l’ingresso irregolare di un/una cittadino/a straniero/a, e assicurare che qualsiasi sanzione amministrativa sia proporzionata e coerente con le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani».

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