Lo strapotere dei “palazzinari” a Reggio: il 28 settembre 1991 l’omicidio (impunito) di Demetrio Quattrone e Nicola Soverino
Il professionista, funzionario dell’Ispettorato del lavoro fu ucciso in un agguato insieme al medico trentenne, suo amico. Un delitto senza colpevoli come quello del giudice Antonino Scopelliti poco più di un mese prima

«L’imprenditore nasce ed investe perché vede un mercato che esprime domanda nel lungo termine. L’affarista si organizza solo per fare l’affare che ha l’intenzione di concludere. Dall’affare trae il maggior guadagno possibile, non accantona ammortamenti ma investe tutto l’utile in beni permanenti che producono solo reddito a chi li possiede (ovvero immobili)».
Così Demetrio Quattrone, ingegnere ucciso per mano ancora ignota a Reggio Calabria il 28 settembre 1991, discerneva tra chi investiva e chi speculava in quello che era il suo contesto di attività, ossia lo scottante settore degli appalti. Così con fermezza e coraggio guardava dentro quell’economia drogata dal cemento e dalla corruzione, gestita dal partito dei “palazzinari” che in riva allo Stretto spadroneggiava, imponendo un processo produttivo appiattito sulle sole logiche di speculazione edilizia, sfruttamento del lavoro e illegalità diffusa. Logiche capaci solo di sottrarre risorse e mai di produrre bene comune.
Il professionista libero e scomodo
Un’analisi libera e lucida e pertanto scomoda in un settore complesso come quello degli appalti di cui, ora come allora, molto si parla e poco si conosce e si capisce davvero. Ambiti inquinati, attivi nell’occulto e che tali devono restare per continuare ad esistere e a prosperare nell’ombra. Ambiti ambigui rispetto ai quali un professionista integerrimo e competente, come Demetrio Quattrone era, costituiva un nemico da neutralizzare.
Nelle maglie delle loro complesse pieghe, gli appalti in mano ai palazzinari nascondono e alimentano floride e appetibili zone grigie di cui solo l’ombra garantisce la sopravvivenza. Naturale, vista il rigore e l’intransigenza morale che lo animavano, fu la posizione da lui assunta. In tale contesto inquinato dal subappalto, dal “cantiere da rapina”, dagli operai cottimisti, in cui i lavoratori erano sfruttati e pagati a cottimo e i materiali di costruzione scadenti, Demetrio Quattrone oppose l’etica del lavoro, il rispetto delle regole e l’attenzione ai diritti e alla sicurezza del lavoratore. Ma non solo.
Da funzionario dell’ispettorato del Lavoro, con il delicato compito di coordinare l’attività di controllo nei cantieri edilizi, si trovò anche a redigere incandescenti perizie nel settore delle costruzioni per conto delle Procure di Reggio, Locri e Palmi, impegnate ad indagare su reati mafiosi negli anni Ottanta. E quello erano gli anni della seconda guerra di ‘ndrangheta, che faceva scorrere fiumi di sangue lungo le strade di Reggio. Una guerra che volgeva al termine proprio nel 1991.
L’agguato a Villa San Giuseppe
Aveva soltanto 42 anni, Demetrio Quattrone quando fu assassinato da una mano criminale ancora ignota e ancora impunita, lasciando la moglie Domenica e tre figlie Rosa, Antonino e Maria Giovanna che ancora attendono giustizia.
Era il 28 settembre 1991 e l’agguato fu consumato nella frazione reggina di Villa San Giuseppe, vicino a quel mulino di famiglia rinnovato e fatto diventare il suo focolare della sua famiglia, mentre era in auto con l’amico trentenne Nicola Soverino, anche lui rimasto ucciso. Era medico presso la guardia medica di Gallico, periferia nord di Reggio Calabria, Nicola Soverino e aveva appena trascorso la serata a casa dell’amico Demetrio e della sua famiglia.
Nell’estate precedente, il 9 agosto 1991, a Piale tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, era appena stato ucciso il magistrato Antonio Scopelliti. Anche quello è ancora un delitto senza colpevoli.
Il suo testamento morale
«Allora il grande disegno da attuare è una vera formazione professionale del lavoratore controllata dai lavoratori stessi e finalizzata ad occupazione stabile perché, tolto dallo stato di bisogno e dalla conseguente continua ricerca del soddisfacimento dei bisogni indispensabili, il lavoratore aumenterà la capacità critica, condurrà la battaglia con i compagni di lavoro e saprà di non essere solo quando definirà scelte», scriveva Demetrio Quattrone che invece solo, invece, era rimasto. Accanto a lui l’amico Nicola Soverino, altra vittima innocente di questa tragica storia.
La memoria senza verità
Ci sono, così, anche i nomi di Demetrio Quattrone e Nicola Soverino tra quelli letti ad alta voce in occasione della Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno promossa ogni 21 marzo da Libera. Ci sono anche i loro familiari in quell’80% che ancora attende giustizia.
La memoria segna, intanto, il suo cammino. Nel 2019, in piazza Castello a Reggio Calabria, un largo è stato intitolato alla memoria di Demetrio Quattrone, alla presenza dei familiari. Nel 2023 a Torino, dove Demetrio Quattrone aveva studiato al Politecnico, un appartamento di 130 metri quadrati confiscato alla famiglia mafiosa Lo Surdo è stato intitolato alla sua memoria. L’immobile è stato ristrutturato con il contributo degli studenti della scuola di formazione professionale Fsc di Torino e ora sarà dedicato proprio alla formazione, così centrale nella visione lungimirante di Demetrio Quattrone.