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Giornata della Memoria e dell’impegno, al Circo Massimo di Roma letti ad alta voce anche i nomi di vittime innocenti reggine

Il sacrificio dei padri e delle madri perduti o sopravvissuti ai figli, uomini e donne, bambini la cui vita è stata spezzata dalla brutalità mafiosa. Libera ricorda, marcia e, con i familiari, chiede Verità e Giustizia nella Capitale

Giornata della Memoria e dell’impegno, al Circo Massimo di Roma letti ad alta voce anche i nomi di vittime innocenti reggine

C’è un tempo per le parole della memoria. È il tempo in cui Libera ogni anno tramuta in motore di speranza e impegno, pronunciando ad alta voce i nomi delle 1081 vittime innocenti delle mafie uccise dal 1861 a oggi. Sono i nomi da non dimenticare che risuonano nel primo giorno di primavera ormai da 29 anni, custodendo storie e sacrifici, la maggior parte dei quali ancora invocano, per voce dei familiari, verità e giustizia. Tra i “vivi” nell’archivio di memoria di Libera in continuo aggiornamento ci sono anche 181 calabresi e tra questi molti reggini.

Anche i loro nomi saranno letti ad alta voce anche oggi a Roma al Circo Massimo, in occasione della XXIX giornata della Memoria e dell’Impegno di Libera Nomi e numeri contro le mafie e Avviso Pubblico. Riconosciuta ufficialmente dallo Stato, con la legge n. 20 dell’8 marzo 2017, tale giornata cade ogni anno nella data del 21 marzo.

Un appuntamento che dal 1996 unisce ogni anno familiari di vittime innocenti di tutta Italia in un corteo in cui con il primo giorno di primavera, ogni anno rifioriscono anche la speranza e la fiducia in una società chiamata a scardinare il  malaffare ormai radicato e pervicace e in uno Stato chiamato a assicurare verità e giustizia ai familiari di vittime innocenti. Entrambi i cammini sono ancora lunghi.

Padri e madri, figli e figlie, fratelli e sorelle, nipoti privati di una persona cara dalla brutalità del crimine mafioso e che ogni primavera si ritrovano insieme per marciare e compiere i cento passi per chiedere verità e giustizia con Libera, don Luigi Ciotti e la cittadinanza che crede che la memoria sia un valore.

Nel reggino, le tappe in Calabria

Un cammino partito da Roma e passato per Niscemi (Cl), Reggio Calabria, Corleone (Pa), Casarano (Le), Torre Annunziata (Na), Nuoro, Modena, Gela (Cl), Roma, Torino, Polistena (RC), Bari, Napoli, Milano, Potenza, Genova, Firenze, Latina, Bologna, Messina, Locri (RC), Foggia, Padova, Roma, Napoli e ancora Roma. Tre le tappe calabresi, tutte nel reggino, Reggio, terza città nel 1998, poi la “Calabria in movimento per la giustizia sociale” a Polistena nel 2007 e i “luoghi di speranza e testimoni di bellezza” a Locri nel 2017.

Da Cittanova a Roma

Quest’anno di nuovo la Capitale, prigioniera di zona d’ombra e centro nevralgico di interessi illeciti e malaffare. C’è comunque un forte richiamo calabrese nel manifesto che, recitando lo slogan Roma Città Libera, ritrae la scena del celebre film di Roberto Rossellini “Roma città aperta” (1945).

Il ruolo della protagonista Pina, interpretato da Anna Magnani, è ispirato a Teresa Talotta Gullace, originaria di Cittanova. Il 3 marzo 1944, davanti alla caserma di viale Giulio Cesare a Roma, Teresa Gullace, alla sua sesta gravidanza, era in protesta con altre donne. I loro mariti, figli, fratelli erano stati arrestati dalla Gestapo alcuni giorni prima. Teresa sfidò il divieto di avvicinarsi al marito. Un soldato tedesco la uccise. Così Teresa Talotta Gullace divenne simbolo di resistenza civile durante l’occupazione nazista.

In occasione della recente presentazione in Campidoglio del programma della manifestazione, don Luigi Ciotti ha proposto al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, il gemellaggio tra Roma e Cittanova, nel reggino, proprio in memoria di Teresa Talotta Gullace.

Le storie delle vittime innocenti reggine sono tante e non sarà possibile richiamarle tutte. Pertanto quelle che seguono saranno anche rappresentative di tutte le altre. Richiameranno tutte le persone sradicate dai loro affetti e che nell’impegno dei familiari e della comunità, ogni giorno, ogni anno rifioriscono.

Il sacrifico dei padri

Tanti sono stati, anche nel reggino, i papà perduti troppo presto da figlie e figlie costretti e crescere senza, privati di un affetto sacro. Un’assenza incolmabile che l’esempio lasciato non potrà sanare, pur avendo contribuito ad alimentare speranza in questa nostra terra.

La resistenza civile: Antonio Carlo, Gennaro, Vincenzo, Lollò e Francesco

Il barone Antonio Carlo Cordopatri venne ucciso il 10 luglio 1991 davanti alla propria abitazione a Reggio. Si era opposto alla pretesa della criminalità organizzata di utilizzare i 41 ettari di uliveto a Oppido Mamertina di sua proprietà.

Sempre a Reggio Calabria, il 3 maggio del 1982 una bomba fece saltare in aria l’auto dell’imprenditore edile salernitano Gennaro Musella. Aveva denunciato le irregolarità della gara d’appalto per la costruzione del porto di Bagnara Calabra.

Vincenzo Grasso, commerciante, fu ucciso a Locri il 20 marzo 1989 per non avere ceduto alle richieste estorsive e avere denunciato.

Tre anni dopo, il 22 luglio 1993, nella vicina Bovalino il rapimento di Adolfo Cartisano, fotografo calciatore conosciuto come Lollo’. Fu ucciso in Aspromonte per la sua resistenza al pizzo. L’ultimo dei sequestri di ‘ndrangheta.

Altri tre anni dopo, il 21 febbraio 1996, a Lazzaro frazione di Motta San Giovanni, per un litro d’olio non consegnato al boss della zona, Giovanni Scappatura, anche la vita di Francesco Giorgino andò in frantumi. Così pure quella della sua famiglia.

L’integrità: Antonino, Giuseppe, Giuseppe, Giuseppe, Demetrio e Nicola

In località Piale, tra Campo Calabro e Villa San Giovanni, nel comprensorio di Reggio Calabria, mentre era alla guida della sua auto, il giudice Antonino Scopelliti morì in un agguato. Era il 9 agosto 1991. A settembre di quell’anno avrebbe dovuto rappresentare la pubblica accusa nel giudizio di appello avverso le condanne seguite al Maxiprocesso di Palermo istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Costoro morirono, negli agguati del 23 maggio 1992 e 19 luglio 1992 a Palermo, anche la moglie di Falcone, Francesca Morvillo e le scorte. Con Giovanni Falcone c’erano Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Con Paolo Borsellino c’erano Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

Giuseppe Tizian, funzionario bancario integerrimo di soli 36 anni, stava tornando a casa a Bovalino quando, la sera del 23 ottobre del 1989 a Locri fu assassinato.

Giuseppe Macheda, agente della Polizia municipale assegnato alla squadra antiabusivismo, è stato ucciso a Reggio il 28 febbraio 1985. Sarebbe diventato padre tre mesi dopo.

Giuseppe Marino, anche lui agente della polizia municipale in squadra, è stato ucciso nei pressi della villa comunale di Reggio per una multa di troppo la sera del 16 aprile 1993.

Demetrio Quattrone, ingegnere di 42 anni, funzionario dell’Ispettorato del lavoro di Reggio Calabria, è stato assassinato il 28 settembre 1991 nella frazione reggina di Villa San Giuseppe. Era in auto con l’amico, il medico trentenne Nicola Soverino, anche lui rimasto ucciso. Si era opposto allo strapotere dei palazzinari.

Il coraggio: Antonino, Carmine, Antonino e Vincenzo

Il 6 febbraio del 1985 perse la vita Carmine Tripodi, di Torre Orsaia nel salernitano, giunto per servizio in Calabria alla fine degli anni ’70, prima come brigadiere a Bovalino poi nel 1982 come comandante della stazione dei carabinieri di San Luca.

Era il 9 settembre del 1990, quando durante i festeggiamenti mariani a Bovalino, diversi colpi di arma fuoco uccisero il brigadiere Antonino Marino, originario di San Lorenzo, a capo della stazione dei carabinieri di Platì nella Locride.

Il 18 gennaio 1994, l’appuntato scelto Antonino Fava restava ucciso con il collega, l’appuntato Vincenzo Garofalo, in uno scontro a fuoco, nell’adempimento del dovere. Ciò accadeva sull’autostrada A2 nel tratto reggino che precede lo svincolo di Scilla in direzione Reggio.

La politica del bene comune: Rocco, Peppe, Giovanni e Francesco

Il 12 marzo 1977, Rocco Gatto, il mugnaio comunista con la passione per gli orologi fu freddato a Gioiosa Ionica. Aveva denunciato chi aveva imposto il lutto cittadino per la morte del boss Vincenzo Ursini.

Era la notte tra il 10 e l’11 giugno del 1980, quando il giovane e coraggioso dirigente del Pci di Rosarno, Giuseppe Valarioti, fuori dalla trattoria di Nicotera dove con i compagni era andato a festeggiare la vittoria del partito nel suo paese, non sopravvisse all’agguato.

Giovanni Trecroci era vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici della città di Villa San Giovanni. A condannarlo a morte, interessi legati all’assegnazione degli appalti, la sera del 7 febbraio 1990 dopo una seduta del consiglio comunale, davanti alla sua abitazione a Cannitello.

Francesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale della Calabria, fu ucciso con cinque colpi di pistola, il 16 ottobre del 2005, nell’androne di palazzo Nieddu del Rio a Locri. Lì era stato allestito uno dei due seggi dell’Unione per le primarie. Un omicidio politico mafioso.

Il sacrifico dei figli

Sempre nel reggino, sono tanti i genitori, padri e madri che sono sopravvissuti ai lori figli. Un dolore inconsolabile che non abbandona mai.

Gioventù rubata: Gianluca, Celestino, Massimiliano

Gianluca Congiusta, dedito alla sua azienda a Siderno, nella Locride, è stato assassinato la sera del 24 maggio 2005, aveva 31 anni. Intorno alle 23, era diretto a casa della madre a bordo della sua auto, quando venne raggiunto da diversi colpi di pistola di grosso calibro o forse di fucile a canne mozze caricato a lupara.

Celestino Maria Fava, 22 anni, ucciso a colpi di fucile perché aveva visto troppo. Aveva assistito all’assassinio del giovane Nino Moio, quella mattina del 29 novembre 1996, in contrada Guni nella frazione marina di Palizzi, nel reggino.

Massimiliano Carbone morì all’ospedale di Locri, il 24 settembre del 2004. Era rimasto ferito in un agguato mafioso avvenuto pochi giorni prima, il 17 settembre. Aveva 30 anni. Da qualche anno aveva una storia con una donna sposata e più grande di lui e aveva deciso di riconoscere il figlio nato da questa relazione cinque anni prima. La donna non voleva.

18 anni per sempre: Daniele e Francesco Maria

Il corpo bruciato di Daniele Polimeni, 18 anni, fu ritrovato a Favazzina, frazione di Scilla nel reggino, il primo aprile del 2005. L’azione brutale era stata compiuta il giorno prima, il 30 marzo, giorno in cui anche la sua macchina incenerita era stata trovata a San Gregorio periferia Sud della città dello Stretto.

Anche Francesco Maria Inzitari aveva 18 anni quando dieci colpi di pistola il 5 dicembre 2009, lo uccisero davanti ad una pizzeria di Taurianova.  L’omicidio si segnala soprattutto per la ferocia della ‘ndrangheta. Era il figlio di Pasquale Inzitari, imprenditore e politico di Rizziconi che aveva “osato denunciare” una cosca mafiosa

Infanzia rubata: Gianluca e Marcella

Gianluca Canonico, che amava il mare di Calabria e gli aerei, non è sopravvissuto a quella sparatoria che il 3 luglio 1985 si consumò nel rione Pescatori di Reggio Calabria. Giocava su un pianerottolo, quando fu raggiunto fatalmente alla testa da una pallottola vagante. Aveva dieci anni.

Quella corsa disperata in ospedale e poi una lotta impari durata cinque giorni, prima che l’8 luglio la speranza della sopravvivenza di Gianluca si spegnesse per sempre. Come quell’estate appena iniziata e già finita. Gianluca fu una vittima involontaria di uno scontro tra gruppi.

Avevano già visto troppo e non avrebbero dimenticato i volti dei responsabili di quella violenza efferata. Per questo quei grandi occhi verdi sono stati chiusi per sempre. Neppure i 10 anni che aveva hanno salvato Marcella Tassone dalla violenza mafiosa quella sera del 23 febbraio del 1989 a Laureana di Borrello, nella piana di Gioia Tauro. Era in macchina con il fratello Alfonso, ventenne militare in convalescenza già noto alle forze dell’ordine, quando sette colpi di pistola la raggiunsero. Improvvisamente non era più una bambina ma una scomoda e temibile testimone. Suo fratello era il bersaglio dell’agguato.

Il sacrifico delle donne e delle madri

Tra le vittime innocenti delle mafie 134 sono le donne finora annoverate. Sfidando l’asfissiante sistema patriarcale oltre che mafioso, hanno lottato fino a perdere la vita per restare libere.

La libertà negata: Angela e Maria

Angela Costantino è scomparsa a Reggio Calabria, il 16 marzo 1994 quando aveva 25 anni. La ragione di quella condanna a morte, senza possibilità di appello, era stata il tradimento. Mentre Pietro Lo Giudice, uomo al quale era legata dall’età di 16 anni, era carcere, lei si era concessa di innamorarsi di un altro uomo. “Aveva osato” scegliere un altro uomo dal quale essere finalmente amata.

Rapita il 6 maggio 2016 davanti all’ingresso della sua azienda agricola a Limbadi, nel vibonese e poi brutalmente uccisa. Aveva 42 anni Maria Chindamo, imprenditrice di Laureana di Borrello. Pagò con la vita l’aver difeso le sue terre dalla longa manus del clan Mancuso e la sua una nuova vita dopo la fine del matrimonio.

La ribellione: Rossella e Maria Concetta

Rossella Casini aveva 25 anni quando il 22 febbraio 1981 è scomparsa nel nulla a Palmi, nel reggino. Il suo corpo non è stato mai ritrovato. Fu la punizione per avere denunciato quello che aveva visto accadere in Calabria. Rossella si recava a Palmi al seguito del fidanzato Francesco Frisina. All’apparenza uno studente fuori sede a Firenze ma nella sostanza un affiliato alla cosca Frisina-Gallico, in quel frangente in piena faida contro le ‘ndrine Parrello-Condello.

Maria Concetta Cacciola viveva a Rosarno. Già dall’età di 13 anni era sposata con Salvatore Figliuzzi, in carcere dal 2002 per associazione a delinquere di stampo mafioso. Anche lei apparteneva a una famiglia di mafia. Era figlia di Michele Cacciola, cognato del boss di Rosarno Gregorio Bellocco. Con l’arresto del marito, i familiari cominciarono ad avere sospetti di una sua relazione extraconiugale. Seguirono per Maria Concetta botte, minacce, una vita segregata in casa.

Maria Concetta decise così di diventare una testimone di giustizia e di raccontare tutto quello che sapeva. Entrò così nel programma di protezione, andando a vivere a Bolzano, lontana dai figli. Pochi giorni dopo, decise di ritornare a Rosarno. Qui i familiari la costrinsero a ritrattare quanto aveva precedentemente dichiarato, forse intenzionata a ripartire portando con sé i figli. Ma il 20 agosto 2011, si portò alla bocca una bottiglia di acido muriatico e ne ingoiò il contenuto. Morì così, suicida. O suicidata.

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