martedì,Settembre 10 2024

Reggio, il cimitero di Armo “accoglie” 21 salme di migranti: musulmani e cattolici in preghiera prima dell’abbraccio della terra – VIDEO

Non sopravvissuti al naufragio di Roccella, ancora senza nome, da oggi hanno degna sepoltura. Il vescovo Morrone: «La nostra umanità sia un atto di resistenza a questo immane dolore». Hassan El Mazi e don Rigobert Elangui: «Occorre gestire il fenomeno come un approccio globale»

Reggio, il cimitero di Armo “accoglie” 21 salme di migranti: musulmani e cattolici in preghiera prima dell’abbraccio della terra – VIDEO

Gerbere delicatamente arancioni e un mazzetto di roselline bianche con leggere sfumature di colore. Nessun nome. Solo numeri. Ma il dramma arriva tutto, ugualmente, perché quella bara bianca (numero 30), davanti alle 20 in fila, racconta di un bambino che non crescerà mai e quella prima bara con uno scarno numero 25, più grande rispetto alle altre, custodisce le membra esanimi di una madre che non darà mai alla luce, dopo averlo portato in grembo per quasi nove mesi, il suo bambino. Questa è la salma che per prima è scesa nella terra.

Sono 21 (una è stata identificata e già rimpatriata), le salme inumate questa mattina nel cimitero di Armo a Reggio Calabria (dove sono rimasti altri 9 posti disponibili per l’area riservata ai migranti), proprio nello spazio concesso dal Comune alla Caritas italiana per edificare il cimitero dei migranti.

Il momento di preghiera

L’inumazione è stata preceduta da un momento di preghiera alla presenza di Hassan El Mazi, il responsabile del centro culturale islamico di Reggio Calabria, di don Rigobert Elangui, direttore ufficio pastorale migrante diocesi Locri- Gerace, dell’arcivescovo di Reggio Calabria Bova, monsignor Fortunato Morrone, della prefetta Clara Vaccaro, dei vicesindaci di Reggio Calabria e Roccella Jonica, rispettivamente Paolo Brunetti e Francesco Scali. Presenti anche molti volontari del coordinamento diocesano sbarchi e della croce rossa che prestano il loro servizio al porto al momento dell’accoglienza.

In fila, anonime perché la tragedia è infinita e va oltre la storia della morte in mare quella notte tra il 16 giugno e il 17 giugno la largo di Roccella, nel reggino, per toccare l’apice dell’impossibilità di dare un nome, un volto e una storia a queste persone, consentendo anche ai familiari di sapere, di capire, di piangere oppure di continuare e sperare.

Una impossibilità che si è sfidato fino all’ultimo, eseguendo fino a ieri sera il matching con il dna che le ambasciate hanno inviato dai Paesi in cui familiari ritengono che propri congiunti potessero essere rimasti vittime di quel naufragio. Un’attività che la polizia scientifica, con il coordinamento della prefettura reggina, continuerà a porre in essere.

Così quell’impossibilità diventa possibilità e l’anonimato viene colmato dall’umanità delle presenze di oggi al cimitero per questo addio sentito e corale.

«Speriamo di poter restituire a tutti almeno il nome»

«Il governo sta facendo tutto quello che deve e che può fare. Questa – ha sottolineato la prefetta di Reggio Calabria, Clara Vaccaro – è una vicenda nostra che viviamo in questa terra. Abbiamo avvertito la chiara necessità di dare una degna sepoltura a queste persone approdate qui seppure non più vive. Questo è il compito delle istituzioni, della comunità cattolica e di quella musulmana o di qualunque religione. In questa giornata così triste, il momento più bello di oggi credo sia stato l’incontro delle due preghiere. Due mondi che sembrano così lontani che poi alla fine si riuniscono nel momento della tragedia.

Siamo impegnati con la polizia scientifica a dare un nome a queste persone. Tenteremo fino alla fine. Purtroppo le condizioni del recupero sono state complesse e per i corpi la possibilità di riconoscimento è legata al dna che stiamo continuando a ricevere dalle ambasciate che suppongono di avere dei connazionali tra le vittime di quel naufragio. Continueremo ad eseguire questa attività di matching che per esempio ci ha consentito ultimamente di identificare tredici salme e anche una di questo iniziale gruppo di 22 che destinato alla sepoltura odierna che è stata già rimpatriata. Continueremo ma intanto diamo degna sepoltura, con l’impegno di attuare la procedura inversa qualora il dna dovesse fornirci l’identità e di procedere con il rimpatrio. Speriamo di poter restituire a tutti almeno il nome». Così la prefetta di Reggio Calabria, Clara Vaccaro.

Oggi hanno comunque una “casa” nel cimitero dei migranti di Armo di Reggio Calabria. Erano in cerca di un futuro di speranza in terra diversa dalla patria. Invece hanno trovato la morte in mare. Un momento molto sentito che ha racchiuso in sé la preghiera islamica e quella cattolica, per dare un ultimo addio prima dell’abbraccio della terra.

«Anche questa è accoglienza»

«Queste sono tutte vittime dell’immigrazione clandestina. Tutti fratelli e sorelle – ha spiegato Hassan El Mazi, responsabile del centro culturale islamico di Reggio Calabria – che avevano lasciato i loro paesi per trovare una vita migliore. Io ringrazio tutte le autorità calabresi perché questa è accoglienza anche se non sono arrivati sani e salvi, vivi.

Sono stati comunque accolti dal Comune di Reggio Calabria e oggi hanno degna sepoltura. Queste salme non hanno un nome ma possiamo dedurre che tra loro vi siano anche persone di religione musulmana. Per questo siamo qui per dare loro l’ultimo saluto con una preghiera che Dio li accolga nel suo paradiso, offrendo ai parenti la pazienza. Sappiamo bene che i familiari di queste vittime che ancora non hanno una identità stanno aspettando almeno una telefonata che forse, non arriverà.

Vorrei rivolgere un appello a tutti i fratelli che ancora sono nei loro paesi e che hanno intenzione di raggiungere le coste europee: Non fatelo farlo metodi clandestini. Mi appello anche alle autorità affinché le politiche finalizzate a creare le alternative legali all’ingresso illegale in Italia siano effettivamente garanti di accoglienza e permanenza regolare.

Occorre una legge sull’immigrazione in cui l’ingresso tramite flussi migratori sia poi garanzia di non finire nella spirale della clandestinità». Così Hassan El Mazi, responsabile del centro culturale islamico di Reggio Calabria.

«L’umanità come atto di resistenza»

«In questo momento di dolore verrebbe da dire che l’umanità non esiste. Io credo, invece che esista proprio in questo afflato di oggi, in questo atto di resistenza che come umanità compiamo per non dimenticare che i migranti sono persone e che la loro vita spezzata è una tragedia. Il nostro compito è quello di essere presenti lì dove c’è sofferenza.

Una resistenza – ha spiegato monsignor Fortunato Morrone, vescovo dell’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova – che, tuttavia, non può essere passiva ma deve essere attiva e creativa per fare quel poco che può ma sempre con tutte le proprie forze. Riconosciamo con questa sepoltura l’umanità ferita delle persone migranti, a prescindere dalla nazionalità, dalla religione e dalla cultura, che è anche la nostra. Preghiamo per loro e anche per noi che restiamo e che non possiamo essere indifferenti.

Come istituzione e come chiesa siamo qui nell’alveo di una significativa collaborazione tra le chiese sorelle in questa tragedia che sono quella di Reggio Bova e di Locri-Gerace. Un bel segnale di impegno corale che certamente non basta ma che è essenziale che ci sia.

Anche noi siamo figli di migranti perchè la migrazione è nella storia umana. Non c’è luogo, stato, paese, epoca in cui non ci siano stati sempre spostamenti e il Mediterraneo nei millenni è stato luogo di incontri e interscambi, e anche di guerra. Ogni cosa ha il suo lato oscuro ma sono le esperienze positive quelle alle quali dobbiamo guardare ossia quello del Mediterraneo come luogo di scambio, di incontro e di arricchimento in cui l’altro non è una minaccia ma una risorsa e un’opportunità come avviene oggi per molti luoghi che i migranti rivitalizzano.

Dunque è così che vogliamo guardare al Mediterraneo, per noi un luogo cattolico, dunque un luogo universale aperto a tutti». Così monsignor Fortunato Morrone, vescovo dell’arcidiocesi di Reggio Calabria – Bova. Come le altre diocesi calabresi, anch’essa ha compiuto un gesto di carità sostenendo le spese per il rimpatrio di una salma visto che i familiari avevano difficoltà economiche ma desideravano che il loro congiunto “tornasse a casa”.

Responsabilità condivisa e politica globale

«Non abbiamo capito che la mobilità e la migrazione – ha evidenziato don Rigobert Elangui, direttore ufficio pastorale migrante diocesi Locri- Gerace – sono un fenomeno legato agli esseri umani. Senza questa consapevolezza e l’azione consequenziale si continuerà a morire come è successo a Roccella, nonostante si fosse detto che non sarebbe più accaduto dopo Lampedusa e dopo Cutro. Si continua a morire, in base a quanto sappiamo. Ma di tante altre morti neppure veniamo a conoscenza. Noi abbiamo toccato con mano il dolore dei familiari giunti da lontano e che non hanno neanche potuto avere la certezza che qualcuno di quei corpi fosse di un congiunto. Aspettano ancora.

Occorre una responsabilità condivisa e una politica globale per contrastare il fenomeno. I soccorritori fanno il massimo le nostre comunità dimostrano di avere un cuore grande e i volontari accolgono, voi giornalisti date voce. Tante persone hanno parlato poco ma hanno fatto tanto ma ciò che deve cambiare è l’approccio che non può continuare ad essere emergenziale. Questo è l’errore più grande. Rispetto a Lampedusa e a Cutro, poi, nel caso di Roccella c’è stato un silenzio istituzionale spaventoso». Così don Rigobert Elangui, direttore ufficio pastorale migrante diocesi Locri- Gerace.

Il cuore straziato

«Dopo tempo sono stati definiti tutti gli atti burocratici e amministrativi necessari – ha dichiarato Brunetti – grazie alla sinergia tra tutte le istituzioni, Prefettura, diocesi, Comunità islamica e associazioni di volontariato, che si sono prodigate, abbiamo garantito una degna sepoltura a queste persone, ennesime vittime del mare. L’augurio è che mai più in futuro ci dovremo trovare di fronte a queste bare, a questi morti, a queste morti che avrebbero potuto essere evitate. Abbiamo il cuore straziato. Vorremmo che fosse l’ultima volta che partecipiamo a cerimonie come questa».

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