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Porticello e Roccella, naufragi raccontati e naufragi negati e l’ostinata infedeltà alla nostra stessa umanità

Lo scrittore napoletano che nel 2017 approdò a Reggio a bordo della nave di Medici Senza Frontiere che aveva soccorso 640 migranti in mare: «Il Mediterraneo è diventato una fossa comune. C'è disparità tra titolari degli stessi diritti»

Porticello e Roccella, naufragi raccontati e naufragi negati e l’ostinata infedeltà alla nostra stessa umanità

I naufragi ai quali anche solo una persona non sopravviva sono sempre una tragedia. Sempre. E tuttavia la percezione chiara di un rischio di assuefazione quando a naufragare siano migranti che restano senza nome è pari almeno a quella del rischio di discriminazione rispetto a fatti che sono sempre e comunque delle tragedie sulle quali far luce e sulle quali informare, sulle quali il livello di attenzione e interesse dell’opinione pubblica non dovrebbe essere variabile o misurabile.

Il recente naufragio del veliero di lusso Bayesian, al largo di Porticello nel palermitano, la morte di sette persone delle ventidue a bordo, a distanza di una settimana, a ragion veduta aprono ancora telegiornali e occupa le home page delle testate on line. Non c’è solo la tragedia della morte di sette persone ma ci sono anche tutti i dubbi e i misteri su cui ancora indaga la procura di Termini Imerese, impegnata ad accertare la precisa dinamica di fatti e comportamenti. Dunque prosegue la ricerca di una verità che è anche una risposta in termini di giustizia per chi non è sopravvissuto e ai familiari. Questo accade perché è giusto che accada. Perché questo è quanto deve accadere. Eppure non sempre accade.

Ci sono naufragi e naufragi…

Non tutti i naufragi sono uguali e purtroppo non tutte le vittime hanno diritto alla giustizia, non tutti gli affondamenti alla verità. Quando le vittime restano senza nome pare quasi più giustificabile, ed invece non dovrebbe esserlo mai, consentire che il silenzio e l’indifferenza completino l’opera di un destino iniquo e tragico. Prende il sopravvento una sorta di forza auto assolutoria che velocizza il processo di rimozione di un fatto di cronaca dalla realtà storica, mediatica e processuale. Una rimozione complessiva che deriva direttamente dalla rimozione dalla nostra coscienza.

Eppure il mare che inghiottisce è sempre lo stesso. Il mare Mediterraneo solcato da turisti, che si allontanano da casa con l’intento di viaggiare e vivere nuove esperienze per poi di ritornarvi, e dai migranti che lasciano la loro casa con l’intento di cercare altrove la possibilità di una vita e forse di non ritornarvi mai più. Ma non è questo il punto. Non si tratta di instillare una stucchevole e momentanea pietà ma di ammettere che la questione è di pura giustizia e dunque di dignità. Invece la storia che già stiamo scrivendo è ormai troppo spesso infedele a quella dignità inviolabile (solo a parole) e alla nostra stessa umanità.

Il naufragio silente di Roccella

Lo scorso giugno al largo di Roccella, lungo la costa ionica reggina, in un naufragio hanno perso la vita decine e decine di migranti, molti dei quali rimasti senza nome. Rimaste ignote anche molte delle salme delle vittime recuperate. Un naufragio seguito all’immane tragedia di Cutro dello scorso anno e i naufragi nel canale di Sicilia e al largo di Lampedusa di un decennio fa. Parliamo dei naufragi noti perché nessuno sarà mai in grado di definire la mole di questa immane e silenziosa tragedia in atto nel Mediterraneo.

Ma il naufragio di Roccella è rimasto silente, frammentato nelle informazioni rese dalle autorità competenti e nella destinazione di superstiti e salme allo scopo di non crearne probabilmente un caso mediatico, di non favorirne certamente il racconto, che con fatica abbiamo comunque cercato di non far mancare ma senza potere assicurare completezza.

Sono tanti gli interrogativi rimasti senza riposte e le ombre sulle dinamiche dei soccorsi che non saranno mai dissipate. Risposte che abbiamo cercato, rendendoci conto che ogni difficoltà incontrata era il segno che quanto accaduto non era poi così importante al punto da doverne dare conto. Eppure c’erano dei dispersi, c’erano delle vittime. Ma quelle non avevano nome.

Non si negano la difficoltà di ricostruire fatti e accertare responsabilità che hanno origini da traffici e attività illegali, la sussistenza di situazioni complesse, la cui analisi risulta anche assai ardua, perché ciò sono questi viaggi della disperazione e ancora di più i naufragi che ne conseguono. Si potrebbe ammettere tutto questo e per onestà intellettuale si fa. Si riconosce anche l’impegno straordinario nell’accoglienza che spesso riserva anche dei miracoli, che genera vita e nuove energie anche per le nostre comunità. Un impegno che stride con un’ostinata e cieca politica che riconosce nei rimpatri o nel controllo dei flussi in mare gestiti in modo discutibile, la soluzione di questo fenomeno. Un fenomeno che non potrà essere fermato e che non può essere governato con questa presunzione.

Pur riconoscendo tutto questo ciò non legittima la sottostima di alcun naufragio, di alcuna vittima. Ma questo, però, è stato.

Il naufragio di Roccella può essere (forse deve) essere dimenticato. Si può accettare e tollerare che svanisca nel nulla come quelle vite spezzate che forse i familiari non sapranno mai neppure di dover cercare. Migranti dispersi e salme, molte delle quali neppure riconosciute e piante dai congiunti, anche loro in pellegrinaggio prima di trovare degna sepoltura. 21 sono state sepolte al cimitero di Armo a Reggio Calabria soltanto all’inizio di agosto. Un punto luce, accesso da istituzioni e cittadini insieme, in un percorso rimasto però al buio e che ci vede tutti responsabili.

Le parole di Erri De Luca

«Il Mediterraneo è diventato una fossa comune, un cimitero liquido dove i corpi senza nome si accumulano. Stavolta i nomi ci sono. Esistono disparità nelle condizioni di lavoro, di pubblica sanità, di istruzione. Si sta in una condizione di disparità tra titolari degli stessi diritti», sottolinea lo scrittore napoletano Erri De Luca. Negli anni scorsi scelse di condividere l’esperienza di soccorso in mare con gli operatori umanitari di Medici senza Frontiere a bordo della nave Prudence. Il 16 aprile 2017, giorno di Pasqua, la nave fece ingresso nel porto di Reggio Calabria con 640 migranti e lui a bordo. Da questa esperienza nacque il suo diario di bordo “Se i delfini venissero in aiuto”.

“Se i delfini venissero in aiuto”

«Le due settimane a bordo mi hanno impresso un tatuaggio nuovo: una scala di corda che pesca nel vuoto. Dal suo ultimo gradino ho visto spuntare una per una le facce di chi risaliva dal bordo di un abisso. Stipati in una zattera, scalavano i gradini della loro salvezza. Quelle centinaia di facce: non ho la virtù di poterle trattenere. Ho avuto l’assurdo privilegio di averle viste», scriveva. Le sue parole e i suoi scritti dedicati alle vittime delle migrazioni contribuiscono a illuminare laddove ostinatamente permane l’ombra, anche in questo frangente in cui sembra che le vittime del mare non siano tutte uguali, persone con uguali diritti siano considerate in modo impari.

Uguali solo nella morte

La morte, e non solo quella in mare, non esprime giudizi. Arriva e basta. Così in mare, ma non solo, muore chi è ricco e chi è povero, il turista di lusso e il migrante in fuga dalla miseria. La stessa morte e lo stesso strazio di chi resta con l’aggravante inimmaginabile di chi cerca e non trova neppure un corpo. Dunque non è la morte a discriminare. A farlo sono la vita e un’umanità perduta, incapace di riportare le persone al centro e che, dunque, ha smarrito sé stessa.

Mare nostro che non sei nei cieli

Nella sua preghiera laica nel 2015, Erri De Luca scriveva “Mare nostro che non sei nei cieli e abbracci i confini dell’isola e del mondo, sia benedetto il tuo sale, sia benedetto il tuo fondale, accogli le gremite imbarcazioni senza una strada sopra le tue onde, i pescatori usciti nella notte, le loro reti tra le tue creature, che tornano al mattino con la pesca dei naufraghi salvati». Ma i pescatori, da soli, basteranno per salvare la vita dei migranti che anche in questo momento stanno morendo nel Mediterraneo? Basteranno per salvare la nostra coscienza e la nostra umanità?




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