Locri, processo Marjan Jamali: ultima udienza rinviata al 16 giugno
Era prevista la sentenza invece la pm ha chiesto di replicare. Fuori dal tribunale per manifestare solidarietà alla giovane iraniana anche l'attivista curdo-iraniana Maysoon Majidi, assolta dalle stesse accuse lo scorso febbraio

C’era attesa. Avrebbe dovuto essere l’ultima udienza, invece la pm ha chiesto un rinvio per replicare all’arringa difensiva. Del destino della giovane donna iraniana accusata di essere una scafista, Marjan Jamali, si deciderà il prossimo 16 giugno. «Nella mia lunga esperienza di legale che si occupa di questi casi non era mai accaduto che si chiedesse un rinvio per replicare nella fase conclusiva. Tuttavia ascolteremo le repliche ed eventualmente controreplicheremo, come consente la procedura. Solo una dilazione, il quadro circa l’estraneità alle accuse di Marjan per me resta chiaro. È innocente».
Commenta così Giancarlo Liberati, l’avvocato difensore di Marjan Jamali, l’inatteso epilogo processuale odierno. La giovane iraniana è sotto processo a Locri con l’accusa di essere una scafista. È stata rilasciata lo scorso marzo, dopo essere stata posta ai domiciliari (dal maggio 2024) e prima ancora detenuta in carcere. Con suo figlio di otto anni, dovrà ancora attendere per qualche settimana la conclusione del processo in corso dinanzi al tribunale di Locri. Lo farà a Camini all’interno nel progetto Sai gestito dalla cooperativa sociale Eurocoop servizi a r. l. (Jungi Mundu), dove con suo figlio è stata accolta già lo scorso anno.
La difesa
«Durante il processo le testimonianze dei migranti che hanno viaggiato con Marjan hanno confermato quanto la giovane iraniana sostiene fin dal principio, ossia di non avere mai svolto alcuna attività da scafista e di essere anche stata molestata durante il viaggio. Per altro – prosegue l’avvocato Giancarlo Liberati – fin dalla prima udienza abbiamo prodotto la prova del pagamento del viaggio di Marjan e le registrazioni delle conversazioni con lo zio al quale la giovane aveva subito raccontato delle molestie subite nel tragitto dalla Turchia all’Italia. Tutto questo, dal mio punto di vista, prova l’innocenza di Marjan».
Marjan Jamali è imputata insieme a Amir Babai, che aveva tentato di difenderla dagli abusi di altri tre migranti che poi si sono resi irreperibili.
La solidarietà fuori dal tribunale
Oggi fuori a sostenere Marjan il comitato Free Marjan Jamali, con attiviste giunte anche da Reggio Calabria. Fuori dal tribunale c’è anche Maysoon Majidi, l’attivista curdo-iraniana, assolta dalla stessa accusa lo scorso febbraio, dopo aver trascorso in carcere dieci mesi. Sta sostenendo la giovane nel processo e con altri rappresentanti dell’associazione Tre dita (simbolo di resistenza contro l’oppressione e di solidarietà nei confronti dei gruppi marginalizzati e discriminati) che presiede ha manifestato con poster e cori, denunciando la criminalizzazione dei rifugiati politici.
La denuncia di Maysoon e dell’associazione Tre dita
«I rifugiati non sono criminali – siamo tutti e tutte scafiste», hanno gridato con forza.
«Il termine scafista – ha dichiarato Maysoon Majidi, presidente dell’associazione nata per protestare contro l’articolo 12 del Testo Unico sull’Immigrazione Irregolare – è una parola vuota di significato. I trafficanti di esseri umani non salgono mai a bordo delle imbarcazioni e non mettono in pericolo la loro vita. Le persone che viaggiano in mare sono rifugiati, costretti ad affrontare questa rotta a causa di minacce alla vita e alla sicurezza nei loro Paesi, a causa di guerre, esecuzioni, torture e ingiustizie.
La fuga non è una scelta, ma una necessità. Chi è costretto all’esilio non cerca una “vita migliore”, ma la sicurezza. Le politiche globali hanno negato loro il diritto di vivere nella propria terra.
È vero che Marjan Jamali – ha sottolineato ancora Maysoon Majidi – non è direttamente una figura politica, ma è una donna e viveva in Iran. È vittima delle leggi patriarcali della Repubblica Islamica. Tra queste quella che assegna la custodia dei figli alla madre solo fino ai sette anni, dopo di che il figlio passa al padre. Marjan voleva soltanto vivere serenamente con suo figlio di otto anni».
L’arrivo
Sbarcata a Roccella nell’ottobre 2023 con un figlio minorenne, Marjan era stata arrestata subito con l’accusa di essere una scafista. Nel maggio dello scorso anno, le era stata accordata la sostituzione della detenzione in carcere con la misura degli arresti domiciliari per stare accanto al figlio di otto anni che aveva portato con sè dall‘Iran. Ha sempre riferito di essere stata vittima di violenze anche in Iran da parte del marito. Per questo motivo, si era allontanata con il figlio dal Paese d’origine, per assicurare a sé e al figlio un futuro migliore.
Il rilascio
Nella serata tarda dello scorso 27 marzo i carabinieri le hanno notificato la sentenza con cui il tribunale del Riesame di Reggio Calabria, dopo l’udienza, svoltasi quella stessa mattina, aveva accolto il ricorso dell’avvocato Giancarlo Liberati che prontamente, dopo la riserva posta dallo stesso tribunale poche ore prima per valutate le trascrizioni dell’ultima udienza dello scorso 24 marzo, aveva prodotto la documentazione richiesta. Soltanto poco prima dell’udienza, dinanzi al tribunale del Riesame, il tribunale di Locri, con una pronuncia di segno opposto, aveva rigettato la nuova richiesta di modifica della misura cautelare formulata dalla difesa. Nella stessa giornata, dunque, il tdl ha accolto il ricorso presentato dopo il rigetto della revoca della misura in occasione dell’udienza dello scorso 28 febbraio.