“Mediterraneo, gli invisibili”: a Roccella l’artista Tina Parisi restituisce ai migranti senza nome e senza volto una luce di umanità
In occasione della giornata mondiale delle Migrazioni, l’ex Convento dei Minimi ospiterà l’evento, organizzato e patrocinato dall’Amministrazione comunale, incentrato sulla mostra e su alcune testimonianze

“Mediterraneo, gli invisibili” è il nuovo progetto artistico della pittrice reggina Tina Parisi, al centro dell’incontro in programma oggi alle 18 a Roccella, presso l’ex Convento dei Minimi, le cui sale ospiteranno per l’occasione e per la prima volta la mostra, di cui cura l’allestimento Antonella Aricò.
L’evento, organizzato e patrocinato dall’amministrazione comunale e moderato dall’assessora alla Cultura del comune di Roccella Jonica, Rossella Scherl, in occasione della giornata mondiale delle Migrazioni (istituita da Papa San Pio X nel 1914) sarà incentrato sul dialogo con la pittrice e con i rappresentanti della Caritas diocesana Locri-Gerace, i volontari della Croce Rossa Italiana Riviera dei Gelsomini e i ragazzi del progetto di accoglienza Jungi Mundu di Camini.
Per Tina Parisi una lunga storia figurativa e tanti riconoscimenti pubblici come il Premio Pubblica Istruzione (1969) e la medaglia d’oro al Premio Villa San Giovanni (1977), dell’indimenticato compianto Ingegnere Calì. Numerose le presenze in diverse esposizioni e rassegne locali e nazionali e larghi consensi critici, da Massimo Bignardi a Italo Mussa e Venturoli. Appassionata di pittura con una purezza e una spontaneità che adesso l’hanno condotta a sfiorare con la leggerezza sapiente del suo pennello anche la tragedia delle migrazioni.
L’arte come testimonianza civile
Un tributo «a tutti quegli ‘invisibili’ senza nome che spariscono nel buio coi barconi, nel tentativo disperato di fuggire dalla tragedia della guerra e della miseria che affligge il loro paese. Un dramma epocale di cui Tina Parisi sente di dover dare una testimonianza civile, affidando all’arte il compito di porre domande e far pensare su un fenomeno che morde sulla nostra coscienza storica, coinvolge la nostra responsabilità e mette a rischio un pezzo importante della nostra umanità di uomini». È quanto mette in evidenza il critico d’arte Paolo Ciro.
L’inabissamento della coscienza
Il mare con la vita che custodisce e con quella che contribuisce in modo essenziale a preservare. E anche il mare che la storia, trascinandosi alla sua stessa deriva, ha reso cimitero di ogni forma di coscienza e civiltà. Questo è diventato il mare Mediterraneo dove si consuma giorno dopo giorno e da decenni, la tragedia dei naufragi dei migranti. Su quei fondali pieni di vitalità e biodiversità, riposa la vita che si infrange, si spegne. Quella che non riesce a sopravvivere per ricominciare altrove.
Quel mare, che se non toglie la vita ne regala una nuova, è stato esplorato dall’artista reggina Tina Parisi che ha spinto lo sguardo dentro quella storia alla deriva. Il suo talento, la sua sensibilità e i suoi intensi colori d’oceano hanno accarezzato questa nostra storia, scandita in Calabria dai recenti naufragi di Cutro e Roccella, in modo nuovo. Un contributo necessario in una società che riesce a restare indifferente mentre a naufragare con i migranti, ad inabissarsi, sono anche la nostra coscienza, la nostra “altisonante” civiltà, la nostra umanità.
Il naufragio di Roccella
Proprio a Roccella, nella notte tra il 16 e il 17 giugno 2024 si è consumato il naufragio invisibile, silente, negato. Sono stati 26 (su 56 dispersi dei 67 migranti) i bambini di cui non si è più avuta alcuna notizia. Due bambini soltanto tra gli 11 superstiti. Una bambina, dieci anni, ha toccato la terraferma dopo avere perso in mare tutta la sua famiglia. Quella bambina ha toccato l’anima e mosso la mano di Tina Parisi che la ritrae con il castello Carafa alle spalle e uno sguardo in cui si convivono incredibilmente stupore e terrore. Tutto ciò che assale nel momento della scoperta di un posto nuovo la cui bellezza deve fare i conti inesorabilmente con il dolore struggente della perdita e dell’improvviso senso di abbandono.
Gli invisibili
«Una bambina che quasi da sola è venuta fuori dal pennello, come sempre accade. La pittura – spiega Tina Parisi – è un atto che muove da dentro, ogni quadro nasce da dentro. Ho sentito l’urgenza di fermare quella storia sulla tela perché, in fondo, è la nostra storia. I migranti arrivano da lontano, a volte hanno anche dei tratti anche fisionomici diversi, portano una storia e una cultura diverse. Eppure sono persone e, purtroppo, occorre ricordarlo visto che non riusciamo a fissarli, ci sfuggono, sfuggono alla nostra coscienza come alla nostra memoria. Per questo restano invisibili.
Il ricorso ad alcuni elementi materiali come il cellophane, che si mescola alla natura sottomarina e terrestre, rende l’innaturalità di quanto accade e al contempo la sua innegabile immanenza. Altro elemento caratteristico dell’originale interpretazione di Tina Parisi sono le maschere, «sempre diverse tra loro e dunque con una loro personalità». Seppure spesso senza nome, i migranti non sono anonimi come è più sostenibile per la nostra coscienza credere per disfarsene presto e facilmente. «I migranti che “restano” nel Mediterraneo e quelli che arrivano esanimi sulla terraferma hanno un nome e una storia e la maschera ne diventa il segno tangibile. Un segno non si può ignorare. I loro volti hanno avuto una luce, non sono stati sempre spenti», spiega ancora la pittrice.
La storia millenaria e i drammi senza tempo
Il mare Mediterraneo e quel suo bacino Ionico così illustre e funestato dal naufragio di Roccella dello scorso anno. Scrigni di storie millenarie, di tesori e di dolore, di misteri. Al largo di Riace, dalle acque del mar Ionio nell’agosto del 1972 riemersero gli straordinari Bronzi. «Ero presente e ricordo i due capolavori tirati fuori dalle acque con le corde. Le incrostazioni – racconta Tina Parisi – dovute alla lunga permanenza in mare, non ne pregiudicavano il fascino. Il loro recupero ha contribuito a riportare sulla terraferma arte e bellezza, ne ha salvato due tracce ineguagliabili. Quell’immagine mi è tornata alla mente mentre davo vita a questo progetto. Per la prima volta ho dipinto uno dei due bronzi, soffermandomi sul fatto che questa nostra umanità è capace di realizzare siffatti capolavori e anche di riportarli in superficie, lasciando poi affondare e naufragare persone, uomini, donne e bambini alla ricerca di una speranza di vita».
Due destini nello Ionio
«Mi sono interrogata su questo lasciando la risposta a chi vorrà immergersi in questi quadri perché, come diceva sempre mio marito, il maestro Ugo D’Ambrosi, noi dipingiamo. Il quadro ha poi vita a sé per chi e in chi vorrà guardarlo. Così un bronzo risale le acque verso la superficie mentre un giovane giace sul fondo, bendato. Una sorta di cecità psicologica – sottolinea ancora la pittrice Tina Parisi – di chi consegna la sua vita, o di genitori che consegnano la vita dei loro figli lasciati partire soli, ai trafficanti. Un gesto spinto dalla disperazione che quella soluzione sia comunque l’unica possibile». Ma forse in realtà la cecità non è la loro ma la nostra che non abbiamo bende ma che, molto più banalmente e irresponsabilmente, non guardiamo. Questo nuovo e suggestivo viaggio nell’arte, che si consacra grazie a Tina Parisi come viatico per scrutare la storia nella quale siamo immersi, di occhi potrebbe aprirne molti.
Tina Parisi e la carezza dei colori
«La Parisi è sempre stata un’artista fedele a sé stessa, incapace di venire a patti con la propria verità. Negli anni in cui imperavano, per esempio, le avanguardie più radicali, con la tirannia del “nuovo”, a getto continuo, ha rifiutato di seguire esperienze che non offrivano corrispondenze e un controllo nel proprio pensiero figurativo, svelando solo un relativo interesse per l’Arte informale, di cui accoglierà non più di qualche suggestione, o meglio di qualche impulso compositivo che, a mio parere, le ha fatto bene, perché spingerà il suo linguaggio verso una più convinta astrazione della forma (…).
L’autrice non ama l’enfasi cromatica e gestuale, la grafia convulsa, aggressiva, impulsivamente scoordinata, magari sotto lo stimolo di un generico quanto sfrenato espressionismo formale. Non ama aggredire la forma, ma definirla accuratamente, e accarezzarla lentamente col colore, con un
gusto figurativo sempre sobrio e equilibrato, aperto a un simbolismo che non depotenzia la forza della testimonianza, anzi la rende ancora più inquietante. Con implacabile coerenza rispetto al suo mondo figurale, la Parisi ci mostra che si possono ancora interpretare i fermenti, i drammi di un’epoca
oscura come l’attuale, col linguaggio collaudato e sempre nuovo della tradizione moderna, e questo costituisce forse il principale segreto della sua comunicativa» – Paolo Ciro.